I lettori di ytali. hanno già avuto modo di affrontare il tema della legge sulla cittadinanza, il cosiddetto “ius soli”, e non hanno bisogno di essere convinti sulla bontà di questo provvedimento. Tuttavia, anche alla luce delle polemiche delle ultime settimane, può essere utile ritornarvi su, perché il dibattito su questa riforma ci permette di riflettere su una serie di realtà italiane: la società civile, il mondo dell’associazionismo, la qualitò del dibattito pubblico e dell’informazione, il sistema dei partiti e le nostre istituzioni. Vedremo che proprio la nuova legge sulla cittadinanza ha mostrato la fragilità di queste realtà.
Iniziamo da un rapido excursus storico, prima di passare alla cronaca. L’attuale legge sulla cittadinanza risale al 1992, un periodo in cui l’italia non era ancora meta di immigrazione. Quella legge confermava lo “ius sanguinis”, cioè è italiano colui che nasce da genitori con nazionalità italiana, indipendentemente da dove sia nato. Una impostazione da Paese di emigrazione che vuole tenere vivi i legami con i propri emigranti. In più era prevista una procedura per gli stranieri che venivano a vivere in Italia (almeno dieci anni di residenza in Italia).
Ma già dopo pochi anni le condizioni erano cambiate: il Paese era diventato meta di immigrazione, e i governi di centrosinistra avevano varato una nuova legge in materia, la Turco-Napolitano. Ma l’opinione pubblica non aveva ancora capito che moltissimi immigrati non erano solo “lavoratori” bensì anche “persone”: mettevano su famiglia con figli, che andavano a scuola, frequentavano i nostri oratori o le nostre scuole calcio.
Ad accorgersene furono le Associazioni più legate alle realtà educative (in senso ampio), in particolare quelle cattoliche come la Caritas, Migrantes, le Acli, l’Agesci, che proposero una nuova legge sulla cittadinanza negli ultimi anni del secolo scorso. Il ministro Livia Turco, tra i primi politici a cogliere questi mutamenti della società, propose il superamento dello “ius sanguinis” in una intervista al Corriere della Sera il 20 gennaio 2000.
Chi nasce e cresce qui inevitabilmente riconosce l’Italia come propria terra,
disse, ricordando che erano già 135.000 i bambini nati in Italia da genitori stranieri.
Dopo pochi anni, nel 2004, i bambini in quella situazione erano diventati 300.000 come ricordarono Caritas, Acli e Migrantes all’allora ministro dell’interno Beppe Pisanu in un incontro in cui consegnarono alcune proposte, tra le quali lo “ius solis”: è cittadino italiano chi è nato e vive in Italia, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Era il 9 novembre 2004 ma nel frattempo il vento era cambiato.
C’era un governo di centrodestra che aveva varato una legge più restrittiva sull’immigrazione, la Fini-Bossi, ma soprattutto la Lega Nord era riuscita ad imporre a livello culturale il tema della diffidenza e della paura verso lo straniero. E’ vero che in termini assoluti gli immigrati in Italia erano in numero inferiore rispetto a Francia, Gran Bretagna, Germania ed anche Spagna; ma mentre quei paesi erano da decenni mete di immigrazione, con flussi costanti, da noi i numeri erano cresciuti con incremento geometrico in pochi anni.
A livello parlamentare si aprì il dibattito, con una pdl della Margherita a prima firma di Beppe Fioroni e Giannicola Sinisi presentata il 25 febbraio 2004, cui seguirono proposte di altri gruppi d’opposizione. Il testo unificato approdò anche in Aula il 16 maggio 2005. Già allora nella destra di governo, cioè in An, emersero due tendenze, una favorevole ed una contraria alla riforma della legge sulla cittadinanza. Fra i primi c’era il sottosegretario all’immigrazioneAlfredo Mantovano.
Ad un seminario il 10 ottobre 2004, Mantovano auspicò una nuova legge entro la legislatura che andasse
soprattutto nella direzione di una sostanziale integrazione, valorizzando aspetti come la conoscenza della lingua, della storia, del diritto, che consenta alla persona di non sentirsi straniero. […] Oggi quando si parla di immigrazione la parola chiave deve essere integrazione, e la cittadinanza si inserisce in questo quadro.
In ogni caso la Lega bloccò tutto e la legge fu rinviata dall’Aula alla Commissione, e lì morì. Interessante leggere gli argomenti della Lega. Pietro Fontanini, vicepresidente della Commissione affari costituzionali, motivò il “no” in Commissione il 13 aprile 2005 affermando:
C’è ancora troppa clandestinità ed è ancora molto alto il rischio di terrorismo. Facilitare la cittadinanza non ci sembra, in queste condizini, una buona idea.
E in Aula rincarò la dose:
una legge sullo ius soli porterebbe ad una sanatoria indiscriminata a favore degli immigrati clandestini.
Esattamente come avviene oggi, la Lega faceva credere che la cittadinanza sarebbe stata “regalata” a chi vive in Italia e non a chi vi è nato – seppur da genitori stranieri – ci vive da sempre e parla italiano. Allora come oggi si mischiava il fenomeno degli approdi con i barconi con una realtà sociale del tutto estranea. Anche il presidente della Camera Pierferdinando Casini si espresse per lo “ius solis”, ma l’ipoteca della Lega sul centrodestra fece chiudere la legislatura con un nulla di fatto.
Le iniziative parlamentari rispecchiavano quelle a livello sociale e associativo. Oltre alle iniziative citate di Caritas, Migrantes e Acli, si aggiunse quella della Comunità di Sant’Egidio che il 14 dicembre 2004 chiese una nuova legge sulla cittadinanza, con don Matteo Zuppi, attuale arcivescovo di Bologna. Nei mesi successivi oltre all’associazionismo cattolico fece sentire la propria voce quello laico: il 18 luglio 2005 un cartello di associazioni indirizzò alla nascente Unione un documento sull’immigrazione in cui, tra l’altro si chiedeva una nuova legge sulla cittadinanza.

I ragazzi dell’Acireale Rugby e quelli della comunità guidata da padre Stefano, tra cui molti immigrati, gli “angeli del fango” di Acireale dopo il tornado del novembre 2014
Proprio il leader dell’Unione, Romano Prodi, a partire dal settembre 2005 iniziò a parlare di una riforma della cittadinanza, riguardante sia quella per gli stranieri adulti che giungono in Italia, sia quella dei bambini nati in Italia da genitori immigrati. Il 29 novembre i partiti dell’Unione resero noto un documento in cui era illustrata la posizione comune sull’immigrazione e all’interno di questo si parlava di cittadinanza a chi è nato in italia: lo ius solis. Proposta che entrò nel famoso programma dell’Unione di 250 pagine.
Dopo la vittoria elettorale, il 12 aprile 2006, parlando alla stampa estera, Romano Prodi si impegnò a cambiare la Fini-Bossi, inserendo anche nuove norme sulla cittadinanza. Il nuovo quadro politico indusse a pensare che fosse giunto il momento giusto per una riforma, ed effettivamente il 29 maggio il nuovo governo inviò al Parlamento una serie di disegni di legge, tra cui quello sulla cittadinanza. Come si ricorderà l’Unione fece harakiri litigando su tutto e dimenticando la legge sulla cittadinanza. Allora non era ancora “di sinistra”, e la Margherita non seppe sostenerla.
Nella successiva legislatura, iniziata con il successo elettorale di Silvio Berlusconi il 13 aprile del 2008, i margini erano ristrettissimi. Livia Turco, la persona che più aveva lavorato a questo tema, non era stata nemmeno ricandidata. Il suo vessillo fu preso da Andrea Sarubbi, il giornalista cattolico impegnato con l’associazionismo proprio sui temi dell’integrazione e della cittadinanza. Walter Veltroni lo aveva candidato proprio per questo. Ma le condizioni politiche non erano certo favorevoli visto che il centrodestra aveva la maggioranza. Sarubbi fece però una operazione politica intelligente, puntando all’approccio “bipartisan”. Il 30 luglio 2009 presentò un ddl assieme a Fabio Granata, deputato del Pdl vicino al presidente della Camera Gianfranco Fini. Questi il 17 ottobre 2009, parlando ad Asolo, lanciò quello che poi fu chiamato lo “ius solis temperato”: dare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri, al termine del ciclo scolastico delle elementari. È la scuola e la condivisione del vissuto quotidiano che integra, non il sangue e nemmeno la terra da sola.
La contrarietà della Lega, sempre con gli stessi argomenti, e le spaccature all’interno del Pdl in quei mesi non consentivano un reale avanzamento, anche se in Commissione sia la pdl Sarubbi-Granata che altre furono incardinate. Tuttavia un momento buono si aprì, ma il Pd a trazione bersaniana non seppe “cogliere l’attimo”: con la nascita del governo Monti a fine 2011 il Pd avendo ingoiato diversi “rospi” di destra (decreto Salva Italia con rifoma delle pensioni ed esodati annessi; legge Fornero con il licenziamento individuale e la liberalizzazione dei voucher) poteva chiedere un provvedimento che riequilibrasse “a sinistra” l’agenda. Anche perché uno dei leader della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, era ministro del governo Monti, e l’11 gennaio 2012 aveva assicurato l’impegno dell’esecutivo su questo tema.
Perché dunque non si giunse a nulla? La segreteria Bersani si caratterizzò per un accordo tra correnti interne del Pd (noi giornalisti ne contavamo quattordici): il Partito era una vera federazione tra correnti, ed ogni iniziativa politica si inquadrava in questo equilibrio federativo. La legge sulla cittadinanza era un po’ figlia di nessuno: se Livia Turco fosse stata in Parlamento avrebbe potuto spingerla in “quota dalemiani”; ma Sarubbi era un indipendente, candidato come tale da Veltroni nel 2008, e alla Camera non fu supportato. Infatti nel 2013 Bersani nemmeno lo ricandidò.
Nella attuale legislatura, quella del “pareggio” del 25 febbraio 2013, furono ben 24 le proposte di legge con modifiche alla legge sulla cittadinanza: a presentarle Nichi Vendola (Sel), diversi deputati del Pd tra cui il segretario Pierluigi Bersani, Mario Marazziti (Scelta Civica, e anch’egli esponente di Sant’Egidio), Dorina Bianchi (Ap), Elena Centemero (Pdl). E vi era anche un testo depositato da M5s e firmato da tutti i deputati del gruppo (prima firma Giorgio Sorial).
Le proposte giacciono in Commissione affari costituzionali della Camera fino all’avvento di Matteo Renzi alla segreteria del Pd, l’8 dicembre 2013. Il 16 gennaio successivo lo indica tra le priorità dell’agenda del governo (di Enrico Letta) e il 25 febbraio, nel discorso alla Camera sulla fiducia lo inserisce nel programma del suo governo. Invita al confronto tra “chi da un lato chiede lo ius solis all’americana e chi, dall’altro, non vuole fare nulla”. La proposta è lo “ius solis temperato”:
Pensare ai nostri figli – dice in Aula – che stanno nella squadra di calcio insieme a bambini che hanno cognomi difficili da pronunciare ma hanno condiviso lo stesso ciclo scolastico e sono collegati ciascuno all’altro da rapporti di amicizia, non è tema ideologico ma di rispetto che portiamo per i bambini.
Finalmente il 6 maggio, con un ciclo di audizioni di esperti, parte l’iter parlamentare in Commisisone, che si conclude nel settembre 2015 con l’approdo in Aula il 28. Dopo due settimane, il 13 ottobre, l’Assemblea di Montecitorio approva la riforma: 310 sì, 66 no e 83 astenuti. Ad astenersi M5s, nonostante avessero proposto la legge; contrari Lega, Fdi e Fi (ma molti deputati “azzurri” non si presentano in Aula per mascherare il dissenso); a favore la maggioranza più Sel.
In Senato la riforma va in Commissione affari costituzionali ma qui “viene messa in sonno”. Tra il 10 febbraio e il 12 aprile 2016 si svolge qualche seduta, poi tutto si blocca per un anno intero. Siamo al 6 aprile 2017 quando riprende l’esame, ma oltre ad essere trascorsi 365 giorni è cambiato completamente il quadro politico.
Il “suicidio” di Renzi al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha fatto cadere il suo governo, ha aperto una frattura insabanile nel Pd, ha rafforzato il centrodestra e M5s e ha posto il partito di Angelino Alfano in un angoscioso dilemma: puntare ad un “ritorno a casa” e quindi ad un riavvicinamento con il centrodestra (dove però Lega e Fdi non lo vogliono) o puntare a una “Cosa di centro” se non addirittura ad una futura alleanza con il Pd renziano?
Nel dubbio lo “ius soli”, anche se temperato, è diventato di sinistra, anche se in suo favore scende in campo addirittura l’episcopato italiano, oltre che al quotidiano Avvenire. Senza il partito di Alfano i numeri in Senato non ci sono più: i 29 senatori di Ap (oggi scesi a 25) non possono essere compensati da sette senatori di Sinistra Italiana e due di Campo Progressista. Il M5s ha ribadito l’astensione, ancora il 15 settembre scorso, che in Senato equivale al voto contrario.
È a questo punto che per Mdp lo ius soli diventa la bandiera delle politiche di sinistra e di “discontinuità dal renzismo”. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da sempre sensibile al tema dell’integrazione e favorevole al provvedimento, evita “esternazioni” perché in ballo c’è il delicato passaggio parlamentare della Legge di Bilancio, che quest’anno inizia l’iter proprio in Senato. E non a caso Mdp, a partire dal 10 settembre, minaccia di far mancare il proprio appoggio a questo provvedimento, che porterebbe all’esercizio provvisorio. A complicare il tutto c’è l’intreccio con la legge elettorale (anche su questo Mattarella ha smesso di lanciare appelli), con una divergenza tra Pd e Ap, emersa lo scorso giugno, che porta alla rottura anche personale tra Alfano e Renzi (si sono riparlati solo in agosto).
Qualcuno in Mdp sollecita Gentiloni di mettere la fiducia, sfidando Ap; mossa avventata alla vigilia della sessione di bilancio. E poi si sta forse in coalizione sfidando il partner più debole? In questo frangente Romano Prodi, il 15 settembre, ha accusato il Pd e Renzi di non insistere sulla legge “per timore dei sondaggi”. È vero che i sondaggi fotografano un Paese diviso a metà sul tema, anche perché la propaganda della Lega e di alcuni quotidiani che affermano che si concede la cittadinanza a tutti gli immigrati, evidentemente ha fatto breccia. Ma il Professore dimentica come anche lui ha dovuto mendicare voti sparsi in Senato, inserendo nella Finanziaria emendamenti per avere il voto del senatore Pallaro o di Rita Levi Montalcini, tanto per citare personaggi diametralmente opposti. Il capogruppo Dem Luigi Zanda mi ha detto che non porterà la legge in aula “per farla bocciare”: una bocciatura di questa riforma sarebbe forse fatale anche nella successiva legislatura.
Dopo la lunga storia è giunto il momento delle considerazioni
1 La lodevole sensibilità dell’associazionismo, prima cattolico e poi laico, che ha colto questa nuova realtà sociale, non si è tradotta in capacità di coinvolgere l’opinione pubblica più ampia. La “crisi della rappresentanza” non riguarda più solo partiti o sindacati, ma anche le associazioni e quelle realtà intermedie che riuscivano a far crescere la popolazione più complessiva. Tale problema riguarda anche la Chiesa cattolica, la principale Agenzia educativa italiana, che si è spesa in favore della legge. Siamo il Paese europeo con la più alta frequenza domenicale della Messa (circa il venti per cento rispetto al dieci di Germania e Francia), ma l’autorevolezza dell’episcopato è inversamente proporzionato quando si tratta di affrontare temi controcorrente. In Germania è il contrario. L’episcopato italiano paga oggi il prezzo di una ricerca di potere giocata sui temi eticamente sensibili sotto la gestione Ruini.
2 In questa ricostruzione emerge un silenzio clamoroso: quello degli intellettuali, degli uomini di cultura, dei giuristi, ecc. Non è una mia dimenticanza, ma un dato indicativo della qualità del nostro dibattito pubblico. Si sono lette interviste di filosofi in occasione delle primarie del Pd o delle sue vicende interne, ma nulla su una quesitone così rilevante. I giuristi così attaccati all’articolo 71 della Costituzione (bicameralismo perfetto) tanto da lanciare una crociata in suo difesa, non si sono interessati della prima parte della Costituzione, dei diritti fondamentali. Quale è oggi l’identità italiana? Cosa costituisce oggi una comunità nazionale? In Germania su questi temi i quotidiani hanno ospitato interviste ed interventi dei maggiori intellettuali, da Juergen Habermas, a Ludwig Beck, fino a giuristi come Ernest Blockenforde.
Certo, un appello di oltre cento scrittori ed esponenti del mondo del cinema e della cultura (promotori Gianfranco Bettini, Ginevra Bompiani, Goffredo Fofi e Carlo Ginzuburg) in favore della legge è stato diffuso lo scorso 11 settembre, ed oggi, 18 settembre un altro documento analogo è stato lanciato da un numero nutrito di insegnanti (promotori Franco Lorenzoni ed Eraldo Affinati). Il primo appello non ha nemmeno avuto seguito, per esempio con l’intervento di personalità di rilievo. Il tema non ha scaldato il cuore degli ex membri della Corte Costituzionale che sono stati invece prodighi di interviste e lettere ai quotidiani piene di sdegno su come fosse lungo l’articolo 71 nella riforma Renzi-Boschi.
3 Il tema della qualità del dibattito pubblico italiano, investe quello della qualità del giornalismo italiano. Proprio sul tema della cittadinanza, tranne Avvenire, nessuno ha promosso un dibattito alto, sui temi di fondo, riguardanti il concetto di cittadinanza e di comunità nazionale, o cosa significhi integrazione, o come la presenza di molti cittadini di fede musulmana interpelli il tema della laicità. I quotidiani si sono limitati a riportare il dibattito tra partiti, in una chiave molto politicista. Ma questo schema si ripete anche su altri grandi temi, come ad esempio il lavoro: vengono riportate le dichiarazioni pro o contro il jobs act, ma di una riflessione su quale è il “posto” dell’Italia oggi, nell’era della globalizzazione, non è stata mai promossa.
Senza contare le notizie false vere e proprie. In questi giorni quotidiani come Libero, anche in prima pagina, hanno scritto che la legge concede la cittadinanza a tutti gli stranieri. Se un giornalista non rispetta l’etica professionale, a cominciare dall’obbligo di scrivere la verità, dovrebbe scattare un procedimento disciplinare, cosa che non si verifica mai. È improscrastinabile un ripensamento da parte dei giornalisti del loro modo di informare e fare opinione pubblica.
4 Dalla storia raccontata emergono i partiti “populisti” i quali, come disse Mario Vargas Llosa, “hanno come caratteristica quella di dire menzogne”. La Lega, sin dai primi tentativi nel 2004, ha fatto credere che lo ius solis dà la cittadinanza a chiuque viva in Italia. Ha potuto sfruttare le debolezze prima evidenziate, cioè la pochezza del dibattito pubblico italiano. E può prosperare anche sull’ignoranza, in senso tecnico, degli italiani: appena pochi giorni fa una statistica Ocse ha reso noto che solo il 18 per cento degli italiani è laureato, rispetto al 36 per cento della media dei Paesi dell’Organizzazione. In un anno 56 italiani su cento non aprono un libro, figuriamoci giornali o riviste. Nel 1992 si è raggiunta la punta massima di vendite di quotidiani in Italia, superando per due mesi i nove milioni di copie giornaliere: in quell’anno nella Germania da poco riunificata se ne vendevano 27 milioni. È chiaro che o si ripensa a fondo la scuola italiana o non abbiamo molte chance di sopravvivere come nazione.
5 Al netto dei partiti populisti questa storia mette in luce il tatticismo di molti altri partiti. Abbiamo visto Ap cambiare idea sullo ius soli all’improvviso, in vista di un possibile riavvicinamento con il centrodestra. Abbiamo visto Mdp fare della legge una propria bandiera contro Renzi, solo dopo che il segretario Dem non aveva più il potere di spingerne il cammino. Addirittura nell’attuale storytelling ne è divenuto il nemico. Di Forza Italia si registra l’agnosticismo su un tema così rilevante: è contro lo ius solis quando deve avvicinarsi alla Lega, ed anzi ne sposa le assurde motivazioni, altrimenti è indifferente. Ma i partiti devono avere anche una visione “strategica”, di lungo periodo, almeno su punti fondamentali per la società. La crisi della politica nasce anche da questo tatticismo esasperato, che alla fine si risolve nell’avere la battuta più felice da dire in Tv per scavallare la giornata.
6 Last but not least, nell’elenco delle fragilità, va annoverato il nostro sistema istituzionale. Il bicameralismo perfetto fomenta il tatticismo politico, perché permette ad un partito (es Ap) di votare a favore dello ius soli alla Camera e poi contro al Senato. Non è solo questione di lunghezza dei tempi, benché si può osservare che se la Commissione affari costituzionali del Senato, non avesse tenuto in sonno la legge, essa sarebbe stata approvata prima del referendum costituzionale del 4 dicembre.
Il premier Paolo Gentiloni si è impegnato, ancora il 14 settembre a Corfù, ad approvare la legge sulla cittadinanza in autunno. Se le alchimie politico-parlamentari consentiranno la realizzazione dell’impegno ci rallegreremo per la sua capacità di leadership e perché diverranno italiani di diritto i circa 800.000 minori che per ora lo sono solo di fatto. Ma se ciò non avverrà rimarrà un pericolosissimo iato tra lo “ius” e la realtà, inizio della fine di una comunità nazionale, che per risollevarsi deve affrontare le fragilità che ho cercato di illustrare.

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1 commento
Personalmente ritengo gia’ adesso troppo facile diventare cittadino Italiano , la cittadinanza va GUADAGNATA e DESIDERATA. Prendendo spunto dalla Normativa Nipponica si evince chiaramente come si e’ cittadino giapponese alla nascita e le regole chiare e molto semplici da capire per una “naturalizzazione”. Questo sistema funziona benissimo ed argina migrazioni inutili di persone che non troveranno mai lavoro sul nostro territorio. Di cittadini Italiani disoccupati ne abbiamo 4.700.000, sono troppi solo per poter pensare che ci “servono” immigrati , qua ci serve lavorare e non importare manodopera a basso costo e pronta allo sfruttamento.
フメラ フランチ