Mastella. It’s the politics, stupid

LUIGI COVATTA
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Il 16 gennaio 2008, quasi dieci anni fa, il ministro della Giustizia Clemente Mastella doveva illustrare alla Camera la Relazione annuale sullo stato dell’amministrazione giudiziaria. Invece comunicò le sue dimissioni. Aveva appena appreso che sua moglie Sandra Lonardo, la quale all’epoca era presidente del Consiglio regionale della Campania, era stata raggiunta da un provvedimento di custodia cautelare richiesto dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere.

Quella volta l’aula reagì come avrebbe dovuto reagire il 3 luglio del 1992, quando Craxi ricordò ai suoi colleghi che il sistema del finanziamento dei partiti era in larga parte illegale, e li invitò ad intervenire con senso di responsabilità per sanare una situazione che altrimenti sarebbe andata fuori controllo. Allora tutti tacquero.

Dopo le comunicazioni di Mastella, invece, tutti applaudirono, dalla Destra di Buontempo a Rifondazione comunista di Bertinotti: e si poteva immaginare che quella mattina si fosse rotto l’incantesimo che aveva portato i leader della prima Repubblica a subire la sconfitta senza combattere, e che la politica avesse ritrovato le ragioni della propria autonomia.

Come sappiamo, non fu così. Anzi. Da allora ha cominciato a crescere quel sentimento antipolitico che, pur essendo nato ai tempi di Mani pulite, negli anni precedenti era stato bene o male canalizzato dalla “discesa in campo” di Berlusconi e dalla esibizione da parte del centrosinistra di qualche “Papa straniero” (e di qualche “lista Beautiful” alle elezioni europee): fino ad esondare cinque anni dopo, alimentando la fiumana limacciosa che ha portato in Parlamento il Movimento 5 stelle.

Ora, nove anni dopo i fatti, Mastella, Sandra Lonardo e gli altri dirigenti dell’Udeur mandati a giudizio sono stati assolti, ed i giornali hanno segnalato la deplorevole lunghezza dell’iter giudiziario e le conseguenze politiche delle iniziative della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Non hanno messo sufficientemente in luce, però, la natura del capo di imputazione: e cioè che per l’ineffabile Pm Mariano Maffei (quello di “mo’ se cade il governo fosse colpa mia?”) una normale trattativa politica (magari più dura di altre) configurava la fattispecie penale della concussione. Da qui a criminalizzare la politica in quanto tale il passo è brevissimo. Tanto che la Procura di Napoli non avrebbe avuto difficoltà a ripeterlo: per esempio istruendo un processo contro Berlusconi (poi finito in prescrizione) per avere “comprato” il voto del senatore De Gregorio.

Allora si ignorò che De Gregorio aveva abbandonato la maggioranza fin dall’inizio della legislatura, quando si era fatto eleggere dal centrodestra alla presidenza della Commissione Difesa (ruolo che la maggioranza dell’Unione aveva peraltro candidamente assegnato ad una pacifista tutta d’un pezzo come Lidia Menapace). E comunque si pretese di sindacare il voto di un parlamentare, come la Costituzione vieta espressamente di fare. Ma il caso di Mastella è diverso: tant’è vero che – con inoppugnabile coerenza logica – Maffei imputò di “associazione a delinquere” anche l’intero gruppo dirigente dell’Udeur campana.

Ora, senza scomodare Bismarck (il quale diceva che “meno le persone sanno come si fanno le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte”), sappiamo tutti che da che mondo è mondo la politica si fa anche sotto il tavolo, e che non tutte le sue pratiche sono gradevoli. Men che meno lo è quella della lottizzazione (oggetto del contendere fra la Lonardo e Bassolino), decisamente poco virtuosa, e che è del tutto lecito (ed auspicabile) contrastare nelle sedi proprie: nelle assemblee elettive, nel dibattito pubblico, e quando ci vuole anche in piazza. Ma alla magistratura spetta il controllo della legalità, non quello della virtù di chi esercita i pubblici poteri.

A suo tempo fu Alessandro Pizzorno (a ridosso di Mani pulite) a segnalare la pericolosità di questa nuova tendenza della giurisdizione, destinata inevitabilmente a provocare l’esondazione del potere giudiziario e la delegittimazione del potere politico. Non si può dire però che in questi anni si sia meditato a sufficienza sul suo monito. Ma ancor meno si è meditato sull’osservazione dello stesso Pizzorno, per il quale la pretesa del potere giudiziario di sindacare la virtù dei politici e non la legalità dei loro comportamenti poggiava innanzitutto sui mutamenti che si sono verificati nell’universo mediatico: tali da indurre anche i giudici a perseguire un “pubblico riconoscimento”, prima ancora che una sanzione processuale di azioni illecite. Ed allora c’è da chiedersi quanto abbiano contribuito al successo dell’antipolitica i media che ora si interrogano con qualche inquietudine sui motivi delle fortune di Grillo, mentre peraltro celebrano il decennale del “Vaffa day” come se fosse la scissione di Livorno o l’adunata di piazza San Sepolcro.

Non c’era bisogno di essere Woodward e Bernstein – i due reporter del Watergate – per denunciare tempestivamente l’insostenibilità delle elucubrazioni di Maffei (peraltro, coi suoi anacoluti dialettali, neanche dotato di particolari capacità comunicative). Così come ora non ce ne sarebbe stato bisogno per seppellire con una risata le indagini del capitano Scafarto nei cassonetti della spazzatura adiacenti gli uffici di Alfredo Romeo. Perché allora non lo si è fatto? Perché ormai nelle redazioni è invalsa l’abitudine di mettere direttamente in pagina le veline delle Procure? Anche. Ma soprattutto per l’abitudine ad osservare il confronto politico dal buco della serratura: per cui, ad esempio, la colpa della caduta del secondo governo Prodi è ascrivibile alternativamente a Mastella o a De Gregorio, ma non al logoramento della coalizione di maggioranza ed all’annuncio di Veltroni di non volerla rinnovare nella legislatura successiva.

It’s the politics, stupid, avrebbe detto Clinton: ma in Italia c’è ancora chi preferisce passare per stupido pur di non riconoscere alla politica il suo spazio autonomo e la logica delle sue dinamiche interne. Lo vediamo anche in questa precoce vigilia elettorale, in cui ci si sfinisce nella ricerca di futuribili candidati alla premiership mentre non si sa se dopo le elezioni ci sarà una maggioranza: con la speranza che quando in Parlamento si apriranno le trattative per formare un governo di coalizione non ci sia un Maffei pronto ad accusare Berlusconi di concussione, Renzi di traffico di influenze e Gentiloni di abuso d’ufficio. E poco importa se ora l’interventismo giudiziario si rivolge come un boomerang contro la Lega e i 5 stelle, sequestrando conti correnti o sindacando le procedure per la scelta dei candidati. Come diceva Pietro Nenni, c’è sempre un più puro che ti epura. Ma sappiamo anche che quando le carte bollate sostituiscono i volantini e i manifesti la democrazia non sta molto bene.

mondoperaio

 

Mastella. It’s the politics, stupid ultima modifica: 2017-09-18T22:25:58+02:00 da LUIGI COVATTA
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