Lunedì prossimo 24 settembre con molta probabilità Angela Merkel varcherà la soglia del quarto mandato come capo del governo tedesco. Un incarico che, se giungerà fino in fondo, porterebbe la responsabile della Cdu tedesca a battere il record stabilito da Helmut Kohl: sedici anni non stop da cancelliere.
L’altro primato della politica tedesca, quattordici anni alla guida della democrazia cristiana detenuto da Adenauer, nel 2005 era già nella mani dell’ex dissidente della Ddr. Carriera strabiliante quella di Angela Merkel, non solo per la durata ma anche per il metodo utilizzato per mantenersi al potere: non tematizzare i problemi lasciando che si risolvano da soli.
Ebbene pochi ricordano che alla base di questa “smobilitazione asimmetrica” della politica tedesca vi è un personaggio che negli anni in cui si è stato cancelliere ha usato esattamente l’approccio opposto: Gerhard Schröder. È stato infatti il veto posto dal leader Spd il 18 settembre 2015, sera dei risultati elettorali, alla possibilità che la democristiana potesse guidare la Germania a costringere i partiti dell’Unione a fare blocco su di lei. La futura prima Kanzlerin della Germania era arrivata in piena caduta libera al rush conclusivo della campagna elettorale rischiando di perdere una battaglia iniziata con un sostanzioso vantaggio. Per Schröder essere stato capace di portare al testa a testa finale una Spd giudicata sconfitta in partenza, equivaleva a una vittoria morale che andava ricompensata. È successo diversamente.
Gli interessi di Rosneft
Lo scorso agosto l’ex leader socialdemocratico ha di nuovo favorito Angela Merkel servendole su un piatto d’argento un argomento che la cancelliera non ha mancato di sfruttare. La presunta, forte, identità di vedute tra Spd e Russia. L’11 agosto infatti sull’homepage del governo russo appariva un decreto secondo cui il 29 settembre l’assemblea straordinaria degli azionisti di Rosneft, la maggiore industria petrolifera della Russia e del mondo, proporrà Gerhard Schröder come direttore indipendente del consiglio di vigilanza aziendale. L’elezione dell’ex cancelliere tedesco è data per certa.
Con questa carica Schröder diventerebbe parte di una commissione allargata di 11 membri composta da ministri federali, consiglieri presidenziali e direttori amministrativi. Nonostante la notizia sia arrivata in Germania in pieno estate, il clamore è stato vasto. Rosneft infatti non è una azienda qualsiasi di un settore strategico come quello degli idrocarburi russi. La struttura guidata dal 2004 da Igor Sechin negli anni si è espansa cancellando tutto ciò, uomini e imprese, ritenuto ostacolo ai propri piani: diventare il maggior attore sul mercato globale del petrolio ma anche del gas.

Martin Schulz in campagna elettorale
Maggiori vittime di questa strategia, nel 2003 la Yukos di Michail Khodorkovskij, nel 2014 la Bashneft di Vladimir Evtushenko. In ambedue i casi il procedimento è stato identico. Le aziende che avevano piani energetici diversi da Rosneft, dunque dal governo, hanno visto prima gli arresti dei propri responsabili, poi la statalizzazione. La battaglia per Bashneft ha inoltre avuto in Alexej Uljukaev una clamorosa vittima collaterale. Il ministro dell’economia, inizialmente contrario all’assegnazione a Rosneft di Bashneft, è stato accusato di aver incassato una mazzetta di due milioni di dollari per acconsentire all’affare. A Mosca si afferma che il tutto non è altro che un messaggio inviato a Dimitry Medvedev. Il capo del governo russo condivideva infatti le posizioni di Uljukaev.

Gerhard Schröder interviene al congresso della Spd il 25 giugno 2017
Alla base di tutti questi sommovimenti vi è il motto, v pol’zu Rossii, a favore della Russia, che Sechin ha messo sulle bandiere di Rosneft. Nulla di strano allora se in Germania l’impegno di Schröder nell’azienda petrolifera russa sia visto soprattutto come una forma di lobbismo a favore di Mosca. Naturalmente l’Unione democristiana non si è fatta sfuggire l’occasione per polemizzare contro il partito dell’ex cancelliere.
Anche parte della Spd si è trovata però imbarazzata dall’annuncio di Schröder di non voler rinunciare alla carica. Martin Schulz, il candidato socialdemocratico alla cancelleria, si è smarcato dal proprio compagno di partito sottolineando che “lui non l’avrebbe fatto”. Più defilato invece il ministro degli esteri tedesco e influente personalità Spd, Sigmar Gabriel.
Per quale ragione la maggiore azienda petrolifera del globo ha sentito il bisogno di mettere un ex cancelliere tedesco tra i propri dirigenti? Senza dimenticare che il leader Spd, già alla testa del consorzio Nord Stream, ha dato prova di saper difendere gli interessi di Mosca, sono le relazioni di Schröder con la Spd a far gola a Rosneft. Soprattutto quelle con l’ex ministro degli esteri e attuale presidente tedesco, Frank Walter Steinmeier, e con lo stesso Sigmar Gabriel. Con Schröder tra i propri dirigenti, Rosneft acquisterà maggior prestigio, serietà e credibilità globale.
La vicinanza del socialdemocratico a Gazprom, ma anche a molte industrie tedesche s’inserisce perfettamente nei piani dell’azienda russa. Rosneft, che intende infatti investire nel business del gas liquefatto nell’Artico e nell’estremo oriente russo per realizzare i propri piani, ha bisogno delle competenze tecnologiche di Linde, azienda tedesca tra le più importanti al mondo in quel settore. I piani di geopolitica energetica del Cremlino ritengono poi indispensabile la costruzione di Nord Stream II, la pipeline che dovrebbe portare gas russo in Germania attraverso il golfo di Finlandia bypassando Paesi baltici e Polonia. Per Mosca il tedesco sarebbe il garante che il progetto, nonostante le resistenze, sarà realizzato. Infine la Russia spera in un addolcimento delle sanzioni e anche qui Schröder potrebbe rivelarsi un asso nella manica.

Gerhard Schröder all’epoca del suo cancellierato (1998-2005)
Avvicinare Russia e Germania
Bisogna però dare atto al socialdemocratico di aver sempre puntato al miglioramento strategico delle relazioni tra la Russia, la Germania e l’UE. A chi ne contestava le idee, l’ex cancelliere ha dato sempre la stessa risposta:
Tedeschi ed europei dimenticano il tempo servito nel vecchio continente alla democrazia per affermarsi e poi svilupparsi come forma funzionale di Stato.
Tipico il caso della Germania, ammonisce Schröder che durante i 150 anni del processo è stata visitata da “ogni tipo di fratture ed eccessi”. Perché, chiede il socialdemocratico,
si pretendono salti mortali da Stati che solo ora osano i primi passi in questa direzione? [Dovrebbero essere] proprio i tedeschi a esercitare pazienza e moderazione nei confronti della Russia di Putin.
A queste fondate affermazioni ha risposto con altrettanta attendibilità Peter Schneider. Secondo lo scrittore berlinese è difficile pensare che proprio Putin sia l’uomo che “attraverso mille ostacoli guiderà la Russia verso la democrazia”. A giustificazione della propria diffidenza, Peter Schneider porta un lungo elenco. Secondo l’autore de “Il saltatore del Muro”, in Russia
la fine della libertà di opinione e della divisione dei poteri, la repressione delle ong, l’inazione davanti alla privazione dei diritti e della proprietà subiti dalla popolazione rurale da compagnie immobiliari sostenute dallo Stato, la criminalizzazione delle minoranze sessuali, la riabilitazione di Stalin,
sono dovute principalmente all’opera e al pensiero del presidente russo.
Occorre dire che, riguardo a Putin, gli umori tedeschi in questi anni sono molto cambiati. Così se nel 2004 solo il 17 per cento non aveva una buona opinione del presidente russo, nel 2015 questa percentuale è passata al 66 per cento. Il motivo del ribaltamento è semplice: il 64 per cento dei cittadini della Germania ritiene che Mosca sostenga il separatismo ucraino, il 61 che la Russia voglia assoggettare il paese vicino, il 51 che il conflitto nell’Ucraina orientale esiste solo perché Putin lo vuole, il 42 che la Russia tenterà di annettere anche altri territori dei paesi ex sovietici.
Comprensibile allora che l’attuale candidato Spd cerchi di smarcarsi dalle aspettative dell’ultimo cancelliere socialdemocratico. Del resto politicamente Schulz e Schröder hanno poco in comune indipendentemente dai differenti approcci alle questioni internazionali.

Sigmar Gabriel in campagna elettorale
A febbraio l’ex presidente del Parlamento europeo ha preso le distanze dall’Agenda 2010, la riforma del mercato del lavoro voluta da Schröder nel 2003 per rilanciare la competitività tedesca. A sua volta l’ex cancelliere, facendo capire di puntare su Sigmar Gabriel, ha sempre ritenuto scarse le possibilità di Schulz.
La simpatia tra Gabriel e Schröder si basa sul fatto che il ministro degli esteri possiede una retorica che ricorda l’ex leader Spd, con questo condivide la vicinanza al presidente russo e ritiene indispensabile la costruzione di Nord Stream II. I tre erano infatti insieme quando ai primi d’agosto nella città termale di Soci in una lunga cena si è discusso proprio dei destini della nuova pipeline.
A volte però essere più realisti del re non paga. Pochi giorni fa lo ha appreso il ministro tedesco che sulla possibile disposizione dei caschi blu ONU nell’Ucraina orientale è stato beffato proprio da Putin. Sull’argomento Gabriel aveva appoggiato l’iniziale proposta del presidente russo, considerata dalla cancelleria come il tentativo di fare dei territori separatisti del Donbass un protettorato di Mosca. Vista l’irrealizzabilità dell’obiettivo Putin è passato a più miti consigli e ha scelto una telefonata con Angela Merkel per annunciarli. Al contrario, le avance di Gabriel, il Cremlino non le ha nemmeno prese in considerazione. Putin ha cosi indicato di aver capito chi è, e chi sarà anche nei prossimi anni, il personaggio fondamentale dei rapporti russo-tedeschi. Nonostante Gerhard Schröder.

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