Una versione più lunga di questo articolo apparirà sul numero di ottobre del Centro di Studi sull’Europa Contemporanea (CeSEC) dedicato alla Brexit
[CAMBRIDGE]
Dopo il referendum ho interrotto ogni rapporto con mia sorella e mia cognata – mi dice il proprietario settuagenario, originario del nord dell’Inghilterra, di un B&B nella regione del Devon, dove mi sono fermato qualche giorno quest’estate -. Con loro non riesco più a discutere. Mia sorella dice che ha votato per uscire dall’Unione Europea perché ci sono troppi stranieri. Mia cognata, che è nata e ha sempre vissuto in un piccolo paese di campagna su al Nord, ha votato nello stesso modo perché un proprietario terriero, inglese, ha ottenuto il permesso di costruire un complesso di case nuove. Secondo lei le avrebbero comprate gli stranieri e lo spirito comunitario del paese sarebbe sparito. Sto pensando seriamente di andarmene via. Forse in Nuova Zelanda.
Un anno dopo il referendum sulla Brexit queste parole testimoniano quanto si sta facendo sempre più profonda la divisione nella società inglese, rompendo anche consolidati rapporti famigliari. Il mio interlocutore termina la nostra conversazione con una previsione che fa male:
Quelli che pagheranno il conto più salato saranno proprio le classi più povere e meno istruite che hanno votato in maggioranza per il Leave [il referendum chiedeva agli elettori di scegliere l’opzione Leave, ossia lasciare l’Unione Europea o quella Remain, ossia rimanere nella stessa. NdA].
In una società dove l’accento con cui si parla rivela inequivocabilmente a quale ceto si appartiene e per questo, forse, il sessanta per cento della popolazione si definisce ancora nel 2015 come classe operaia, nonostante solo il venticinque per cento della popolazione sia dedita ancora a lavori manuali, e il 47 per cento di chi ha risposto al sondaggio occupi oggi posizioni manageriali o da professionista, è proprio il voto proveniente dalla classe operaia inglese che ha fatto la differenza nel successo del Leave.
Si può parlare di una vera e propria frattura sociale che sta caratterizzando questa fase storica di varie nazioni occidentali, e che ha trovato forme e modi diversi per esprimersi – commenta con me il direttore di una scuola di business francese- nel Regno Unito la Brexit, negli Stati Uniti Trump. Anche il risultato delle elezioni legislative che hanno consegnato a Macron dei poteri che nessun altro presidente ha mai avuto prima di lui, riflette questo. Macron ha conquistato la maggioranza assoluta in parlamento con il 43 per cento dei voti ma quasi il sessanta per cento degli aventi diritto non si è presentato al voto perché ha ritenuto che nessun partito/candidato lo potesse rappresentare.
Su questa frattura sociale ha trovato terreno fertile la narrativa che, negli ultimi trent’anni, l’industria dell’informazione inglese, in mano a un cartello reazionario e di destra capitanato dal gruppo Murdoch, ha sistematicamente indicato l’Europa e la Commissione Europea come la causa di ogni male. La descrizione che se ne dava era al meglio quella di una banda di burocrati, super pagati a spese del contribuente, il cui scopo era di controllare sempre tutto, rendendo miserrima la vita dei cittadini britannici.

Il New York Post, il tabloid di estrema destra di proprietà di Rupert Murdoch inneggia alla Brexit e tifa per l’allora candidato Trump, 25 giugno 2016
Non che non ci fossero delle verità. Nel 1999 la Commissione Europea si dimise dopo una serie di scandali di corruzione che coinvolsero alcuni suoi membri le cui denuncie erano, però, partite da un gruppo di “euroburocrati” dimostrando, in qualche modo, che il sistema aveva e ha degli anticorpi.
Questa campagna d’informazione e propaganda anti-europea il più delle volte si basava su delle non notizie.
Per anni durante conversazioni occasionali mi veniva sempre riportato il caso della definizione delle banane storte e diritte di cui si era occupata la Commissione Europea e che, sinceramente, mi ero perso. Tutto ciò mi pareva impossibile, allora, da tradurre in italiano se non con un tono da barzelletta.
Il giorno dopo il referendum non ho trovato più niente da ridere, però, nel sentire le interviste della Bbc in cui le persone si felicitavano per la vittoria del Leave. Ora, dicevano, potevano mangiare la colazione a base di uova e pancetta senza che nessuno glielo impedisse o avere la copertina del passaporto come una volta di colore blu e non bordeaux. Si sanciva così il raggiungimento di quell’obiettivo che tutta quella stampa reazionaria e di destra aveva perseguito da anni: la creazione di una profonda sfiducia tra una grande parte della società, molte volte quella meno istruita e più povera, e i politici e la politica in generale. Come si tradurrebbe in italiano questo risultato? “Sono tutti dei ladri”? “Tutti a casa, vaff…”?
Come ricordato anche da Guido Moltedo parlando di Trump su ytali, Antonio Gramsci, sulle pagine della rivista L’Ordine Nuovo nel 1919-20, aveva chiamato tutto questo “sovversivismo delle classi dirigenti” che non era di per sé sinonimo di rivoluzione o di rinnovamento, ma spesso tutto il contrario, ossia il sovversivismo delle classi subalterne che si saldava con quello delle classi dirigenti e che deflagrò, come la storia dimostrò di li a poco, nel fascismo.
Nella storia della Gran Bretagna, il Partito laburista aveva indetto un referendum nel 1975, chiamato del Mercato comune, dopo che il Regno Unito aveva aderito allo stesso nel 1973 sotto un governo conservatore. Il politico laburista Roy Jenkins, che si era opposto all’uscita e che fu anche l’unico presidente di nazionalità britannica della Commissione Europea dal 1977 al 1981, dopo il risultato, che consegnò la vittoria agli europeisti, affermò che gli elettori “avevano ascoltato quelli a cui solitamente davano retta”.
Esisteva ancora a quei tempi un rapporto fiduciario tra la società e i politici che li rappresentavano. Che cosa è cambiato dal 1975? La frattura sociale e la martellante propaganda anti Commissione ed Europa aiutano a capire come il Leave ha vinto ma non il perché. Nel febbraio 2016 durante una riunione a Londra di simpatizzanti del movimento “Un’altra Europa è possibile”, un’attivista inglese affermò:
Senza la mobilitazione dell’elettorato di sinistra Remain non vincerà. Le persone si mobilitano per un ideale, per qualcosa che sentono personale, non per rendere più ricchi quelli che ricchi sono già.
Durante un giro di tavolo di opinioni su cosa significasse sentirsi europei emerse chiaramente che questo lo si potesse esprimere solo attraverso un polisindeto: “io sono inglese ed europeo”, “io sono londinese ed europeo”, “io sono gallese ed europeo”, “io sono scozzese ed europeo” e così via.
Chi ha pianificato la campagna per il Leave ha sicuramente sfruttato l’incapacità del campo avverso di “far sognare” e rendere partecipi gli elettori nella costruzione di un mondo migliore e più giusto a partire dalle loro radici, sollecitandone solo i bassi istinti.
A questo riguardo, è interessante riprendere, anche, le osservazioni di George Orwell che in “La strada di Wigan Pier” del 1937, scriveva che
per l’operaio inglese ordinario, ossia quello che potresti incontrare il sabato sera al pub, il Socialismo non significa molto di più che un salario più elevato per meno ore lavorate e nessuno che ti controlli continuamente su cosa stai facendo.
Con l’omicidio della deputata Jo Cox, prima della sua famiglia ad accedere all’università e a laurearsi in scienze politiche a Cambridge, il suo assassino non ha voluto solo eliminare una sostenitrice del fronte Remain ma anche un esempio di come, con la formazione e lo studio che richiedono “fatica”, si può avere successo nella vita senza dimenticare i più poveri e più deboli.
Ho pensato a lei quando ho sentito il 19 luglio scorso nella pausa del concerto dei Proms a Londra, il maestro Daniel Barenboim indirizzarsi la pubblico con uno stupendo discorso:
…In Europa [continentale] le tendenze all’isolazionismo e al nazionalismo in senso stretto sono molto pericolose e possono essere sconfitte solo mettendo un grande e reale accento sulla formazione e lo studio per le nuove generazioni … Le nuove generazioni devono capire che la Grecia e la Germania, e la Francia, e la Danimarca hanno tutte una cosa in comune chiamata Cultura Europea. Non solo l’euro! La Cultura!…In questa comunità culturale chiamata Europa c’è spazio per la diversità, per le culture differenti e per modi diversi di vedere le cose, ma tutto questo si può avere solo attraverso la formazione e lo studio … Il male del mondo può essere sconfitto con l’umanitarismo che ci tiene tutti assieme, incluso voi inglesi.
E se la musica, come dice sempre Barenboim, non ha bisogno di traduzione, le parole sì. E allora in questo esercizio di traduzione è utile ricordare quanto affermato, in una recente intervista, da Michael Roessner dell’Università di Monaco di Baviera.
In un mondo globalizzato post coloniale […] tradurre vuol dire sciogliere un contenuto dal suo contesto e inserirlo in un altro e queste cose non si fanno senza lasciare tracce. Non si traduce solo dall’inglese all’italiano ma dalla cultura britannica o americana in quella italiana ed europea, anzi di più, si traduce dal mondo religioso protestante in quello cattolico, dal mondo della generazione dei cinquantenni a quello dei ventenni, dalla parola scritta a quella orale e viceversa.
Allora, i contesti in cui sciogliere il significato di Brexit dall’inglese all’italiano diventano fondamentali per rendere chiaro al lettore le tracce lasciate. E questi contesti, per me, attengono inevitabilmente alla mia storia personale di residente nel Regno Unito per un tempo che – mi accorgo ora che scrivo – rappresenta un quinto della mia vita. Il giorno del referendum avevo scritto per ytali un articolo che descriveva intimamente queste emozioni.
Molti mi chiedono se la vittoria di Leave avrà anche delle conseguenze per la mia vita professionale. Molto probabilmente sì, ma l’impatto maggiore non è quello sull’azienda che ho co-fondato dodici anni fa. Sono convinto che ogni imprenditore agisca nella realtà storica che ha davanti come un dato di fatto, cercando testardamente di raggiungere i propri obiettivi di business, senza dimenticarsi di restare umano. È sulla dimensione personale che il risultato del referendum ha colpito. E come tradurre questo in italiano?
La mattina del 24 giugno 2016, alle 3:30 del mattino consultando il mio smartphone sono stato informato che per “volere del popolo” il risultato del referendum, a cui, in quanto cittadino europeo non avevo potuto partecipare, aveva decretato che dove vivevo non era più casa mia. Quando poi il primo ministro, Theresa May, iniziò a dire ai quattro venti che per lei “Brexit means Brexit”, frase che il servizio di Google Translate traduce con “Brexit significa Brexit”, allora non può che venirmi in aiuto il sommo Poeta che canta
Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui
dove però, in questo caso, non c’ è nessun altro da te. Quel pane è anche tuo. È nostro.
Come venirne fuori? È interessante notare come la strada indicata da Barenboim, fu messa in pratica dal 1943 al 1945 da un grande “storico della musica”, il torinese Massimo Mila. Norberto Bobbio racconta che Mila, avendo notato “idee un po’ strane” da parte dei suoi partigiani delle formazioni di Giustizia e Libertà che agivano nel Canavese e pur non avendo una formazione politica specifica, aveva scritto “una specie di breviario di democrazia spiegata al popolo”. Su queste note teneva delle lezioni ai suoi compagni, essendo anche commissario politico, e insisteva molto nello spiegare la separazione dei poteri, del potere esecutivo dal potere legislativo, del potere giudiziario dal potere esecutivo e, aveva aggiunto Mila, del potere economico dal potere politico.

Massimo Mila a 25 anni, nella foto scattata alle carceri Nuove di Torino subito dopo l’arresto per antifascismo.
Quanto ci sia un urgente bisogno oggi di formazione e studio e come la democrazia li richieda come esercizio costante da parte di tutti, è apparso evidente il 4 novembre 2016, quando sulla prima pagina del quotidiano Daily Mail, capeggiarono le foto di tre giudici sotto al titolo, a caratteri cubitali, “i nemici del popolo”. Erano i tre giudici che avevano da poco sentenziato che il governo avrebbe dovuto avere l’autorizzazione dal Parlamento per invocare l’articolo 50 del trattato di Lisbona e iniziare così il processo di abbandono dell’Unione Europea.
“Un’idea un po’ strana”, avrebbe detto Mila, ma che non ha impedito allo stesso giornalista che aveva scritto quell’articolo di essere assunto il 18 aprile 2017 come capo ufficio stampa dell’attuale primo ministro Theresa May.
Siamo con Brexit, forse, di fronte a un altro caso storico di “sovversivismo delle classi dirigenti”?

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