Polvere e ombre: la vita è quello che è, vero Rocco?

In testa alle classifiche il nuovo capitolo del “romanzo” di Antonio Manzini sulle indagini di Rocco Schiavone, vicequestore “insolito”
ROBERTO ELLERO
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Pulvis et umbra sumus, rilevava già ai suoi tempi il buon Orazio, poetando sull’inesorabile caducità dell’esistenza, tutt’altro che immemore del suo stesso “carpe diem” – cogliere  l’occasione e vivere al meglio l’attimo di felicità – ma senza troppe illusioni, dal momento che la vita è pur sempre quello che è. Figuriamoci la vita del vicequestore Rocco Schiavone, protagonista della serie poliziesca di Antonio Manzini edita da Sellerio, ora al sesto episodio con “Pulvis et umbra” (appunto), a sua volta in procinto di approdare sul piccolo schermo nei nuovi episodi del seriale Rai, regia di Michele Soavi, di nicchia ma con successo, dove il poliziotto ha le fattezze del bravo Marco Giallini. Talmente in parte, l’estroverso e burbero attore romano, da confondersi ormai con il personaggio letterario.

Del resto, i precedenti televisivi illustri non mancano; dal Maigret di Gino Cervi al più recente Montalbano di Luca Zingaretti. E se queste immedesimazioni forti non sempre fanno la felicità degli autori, finendo forse per condizionarli, o di parte dei lettori, che preferirebbero continuare ad immaginare i loro eroi eponimi senza inchiodarli ad un volto specifico, va pur detto che lo Stanislavskij seriale televisivo aiuta non poco il marketing: riconoscimento, fidelizzazione, popolarità. Prova ne sia che anche “Pulvis et umbra” svetta al primo posto da più settimane nella classifica dei best seller.

Man mano che passano i mesi e poi gli anni, sempre in quel di Aosta, con le Clarks anche d’inverno, manco stesse ancora a Trastevere, e tutt’al più un loden quando fa troppo freddo, Schiavone è giù di corda. Tanto per cambiare. Visibilmente contrariato dal trasferimento in un sottoscala per fare posto alla Scientifica. Puntuale, a guastargli ulteriormente le giornate, il ritrovamento di un cadavere ai margini della Dora, un trans argentino, sconosciuto e domiciliato – si scoprirà – in un palazzotto del centro, dove presumibilmente è stato ammazzato, in un appartamento ora spoglio, eccezion fatta per un curioso gancio al soffitto in assenza di lampadario. Un gioco erotico finito male? Parallelamente, a Roma, dalle parti della Pontina, due cani annusano la presenza di un altro cadavere senza identità, in tasca solo un foglietto, con il numero del cellulare di Schiavone. Che sia da mettere in relazione con chi gliel’ha giurata per l’uccisione del fratello, il Baiocchi, nel frattempo evaso dal carcere di Velletri?

Marco Giallini

Manzini sostiene, a ragione, che i romanzi di Schiavone non sono semplicemente una serie, bensì “capitoli di un libro più grande”, il romanzo di un uomo imperfetto, che di mestiere fa il poliziotto ma controvoglia, allergico alla disciplina, specie quando è asservita ad una legalità di mera facciata. Fuma e si fa le canne. Mantiene rapporti fraterni con gli amici di un tempo, tutti pregiudicati, mala vecchio stampo. Non si formalizza, pratica un sarcastico disincanto che qualcuno, sbagliando, potrebbe scambiare per cinismo e chiude più di un occhio per il bene della causa. Che poi è la giustizia, senza troppi infingimenti. Un vicequestore “insolito” più che strano, dice di sé. E ci tiene molto a quella qualifica di mezzo, vicequestore, perché denota operatività sul campo, quantunque mai troppo apprezzata nelle alte sfere, che infatti l’hanno relegato in provincia, privandolo, ora, persino di un ufficio degno di questo nome.

Ma il vero cruccio di Schiavone è Marina, la moglie uccisa in un attentato alla sua persona, non averla protetta e forse amata abbastanza, perdendola così presto, così assurdamente. Il fantasma di Marina, la sua ombra benevola, viene spesso a trovarlo. O meglio, veniva:

«”Perchè non vieni più?”. “Perché il vento cambia, Rocco. Io lo so: Anche tu lo sai”.»

Il vento cambia e, come s’è detto, tira una brutta aria. La storia del trans andrà infittendosi di misteri sino a tirare in ballo i servizi segreti, mentre l’identità dell’altro morto riapre una vicenda di coca colombiana mai del tutto chiarita. Per giunta, Sebastiano, uno degli amici romani, scompare, forse sulle tracce dell’uomo, sempre Baiocchi, che in un’altra imboscata a Schiavone gli aveva ucciso la moglie, Adele. E Rocco? Avrebbe voglia di mandare tutti a quel paese ma non è da lui. Indaga, collega, connette. Si scopre persino un’inedita vocazione paterna, aiutando Gabriele, un giovane vicino di casa poco incline agli studi e in piena crisi post adolescenziale. E si lascia andare, per una sera, con Caterina, una giovane agente della squadra, immaginando chissà quali possibili sviluppi sentimentali. Ma soprattutto s’accorge di arrivare sempre in ritardo sui fatti. Quasi che qualcuno conosca ogni suo pensiero e movimento. E lo preceda. Polvere e ombre. Il nuovo romanzo si chiude sui temi del sospetto e del tradimento. Nulla sarà più come prima, neanche il ferreo sodalizio con gli amici di Trastevere, loro ladri e lui guardia. Farà pure qualche differenza? Per dirla con le parole di uno di loro, Brizio:

Se sei un’aquila voli, amico mio. Se sei un cavallo trotti. E né io né te possiamo farci niente.

Vabbe’, che ce voi fa’ Rocco, passerà pure questa. La vita è quella che è. E già lo sai.

Polvere e ombre: la vita è quello che è, vero Rocco? ultima modifica: 2017-09-21T19:02:37+02:00 da ROBERTO ELLERO
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