In un periodo di corsa globale agli armamenti, le elezioni tedesche si giocano anche sull’aumento o meno della spesa militare, con la cancelliera in carica che vuole alzarla al due per cento del Pil e l’avversario socialdemocratico, Martin Schulz, che punta, invece, a investire in diplomazia e aiuti allo sviluppo e mettere un freno all’export delle armi tedesche.

Angela Merkel con Donald Trump
Angela Merkel ha deciso di seguire l’invito a spendere di più per la propria difesa, che il presidente americano Donald Trump ha rivolto agli alleati europei.
Il governo federale non ha dubbi che la nostra spesa militare vada aumentata,
ha dichiarato la cancelliera, chiarendo come la Germania sia pronta a rispettare l’impegno assunto nel vertice Nato tenutosi in Galles nel 2014, quando gli stati membri dell’alleanza atlantica decisero che entro il 2024 la loro spesa militare avrebbe dovuto raggiungere il 2 per cento del Pil. Prova ne è anche che il bilancio per la difesa tedesco ha beneficiato nel solo 2017 di un aumento dell’otto per cento.

Sigmar Gabriel
Le dichiarazioni di Merkel si sono scontrate con quelle di un altro alto esponente del governo tedesco, Sigmar Gabriel, socialdemocratico, ministro degli esteri da quando lo scorso marzo Frank-Walter Steinmeier è diventato presidente della Repubblica federale, che ha commentato così la possibilità che la Germania aumenti la sua spesa militare, attualmente dell’1,3 per cento, fino al due per cento:
Non so dove parcheggeremo tutte le portaerei che saremo obbligati a comprare per investire settanta miliardi di euro all’anno nella difesa.
E ancora:
Non so veramente come i nostri vicini possano sentirsi tranquillizzati dal fatto che la Germania spenda settanta miliardi di euro all’anno in difesa. Ciò che sarebbe davvero necessario è lo sviluppo di un sistema di difesa collettivo, per sostenerci a vicenda, e non la creazione di una grande potenza militare, che forse tra dieci o quindici anni farà più paura che altro ai nostri vicini.

Gabriel con Merkel
Gabriel ha poi messo l’accento sull’importanza degli strumenti per la risoluzione pacifica dei conflitti, proponendo che la Germania investa, per ogni euro che mette in più nella difesa, 1,5 euro per la prevenzione dei conflitti, la stabilizzazione e gli aiuti allo sviluppo.
Su questo tema, il ministro degli esteri non ha avuto paura di forzare la mano, arrivando a dire che la Spd non entrerà in un altro governo di grande coalizione dopo le elezioni del 24 settembre a causa della decisione della Cdu di aumentare la spesa per la difesa, a discapito di quella sociale.

Ursula Von der Leyen
La presa di posizione di Gabriel è stata accolta con irritazione da un altro membro del governo tedesco, Ursula Von der Leyen, ministra della difesa in quota Cdu, che ha commentato seccata:
Il ministro degli esteri sembra aver dimenticato che già nel 2014 sedeva nel governo e che a quel tempo un altro ministro degli esteri socialdemocratico (Frank-Walter Steinmeier, ndr) firmò l’impegno ad aumentare la spesa militare fino al due per cento del Pil… Non va per niente bene che la memoria di un governo sia talmente corta che dopo tre anni non riesce a essere coerente con la parola data.

Martin Schulz con Paolo Gentiloni
Tre anni nei quali sono cambiate tante cose: ora la Spd è guidata da Martin Schulz, ex presidente del parlamento europeo, che con il governo di grande coalizione non ha mai avuto niente a che fare e che ha quindi le mani più libere di molti suoi colleghi per perseguire una politica di rottura rispetto alle scelte che la Spd ha preso di comune accordo con la Cdu negli ultimi quattro anni.
Martin Schulz ha fatto dell’impegno a investire nella pace invece che nelle armi una delle promesse più credibili della sua campagna elettorale. Il candidato socialdemocratico per la cancelleria ha fatto, infatti, appello a una nuova politica di pace, insistendo su come:
le cause strutturali dei conflitti e sfide come povertà, siccità, migrazioni, epidemie e fame nel mondo non si risolvono aumentando soldati e armi, ma attraverso un impegno per lo sviluppo economico, sociale e politico delle regioni afflitte da questi mali. Il mondo non ha bisogno di più armi ma di giustizia sociale e opportunità di sviluppo.
Schulz ha messo l’accento sulla necessità di controllare la diffusione degli armamenti e, in ultima analisi, di provare a ridurli. A tal proposito, ha portato a sostegno della sua tesi l’esempio dell’accordo con l’Iran, che è riuscito a mettere sotto controllo il programma nucleare di Teheran. Ma ha anche sottolineato l’importanza di combattere il terrorismo evitando innanzitutto che le armi finiscano nelle mani dei suoi seguaci. Per questo, Schulz si è impegnato a introdurre in costituzione – in caso di una sua elezione a cancelliere – il divieto all’esportazione di armi nei paesi terzi non Ue, Nato o assimilabili.
Al posto di un aumento della spesa militare tedesca al 2 per cento del Pil, Schulz propone poi di lavorare con gli altri stati membri Ue per la creazione di un’unione della difesa europea. Questa permetterebbe di ridurre la spesa militare dei singoli stati in maniera sostanziale: secondo alcuni studi, infatti, la messa in comune delle capacità militari nazionali dovrebbe consentire di abbassare del 30 per cento la quota che gli europei investono attualmente nella difesa.
“Più armi non significano più sicurezza”, questo è in estrema sintesi il messaggio di Martin Schulz, che, con ogni probabilità, farà valere anche nelle negoziazioni per la formazione del governo che seguiranno le elezioni.
Si tratta di un tema cruciale. Per il futuro della grande coalizione ma anche per la pace in Europa e nel mondo intero.

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