Nonni, galline e mucche. Riaperta la caccia alle tradizioni

Le nuove vecchie favole della pubblicità negli ultimi spot
PIERALVISE ZORZI
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B A D V E R T I S I N G

Galline e fornai, osterie da e con camionisti, tavolatone di famiglia in idilliaci oliveti e compagnia cantante (letteralmente) ma soprattutto nonni. Nonni emigrati, nonni vignaioli con nipoti laureate, nonni eleganti e giovanili, nonni detentori e conservatori del denominatore comune di tutto ciò: la Tradizione. Con la T maiuscola, perché da quando la pubblicità si chiamava ancora réclame questo valore è sempre stato il più scelto per testimoniare la bontà e la qualità dei nostri prodotti. Mentre l’Inghilterra chiama a testimone la Royal Family e i suoi annessi con il “by appointment to” debitamente condito da ghiribizzi e stemmi vari, noi sfoggiamo date ultracentenarie e ci affidiamo, nella comunicazione visiva, a quanto di meglio abbiamo: i borghi, i palazzi, le piazze, le botteghe, perfino le vecchie care osterie.

Anche se molto ben confezionata, non è certamente un’idea nuova quindi quella di Balocco, che mette insieme con grande garbo e con la raffinata regia di Daniele Luchetti due adorabili stereotipi : il binomio nonno/nipotino e la fabbrica/fattoria. Il nonno è giovanile, elegante, passo da ex atleta, barbetta bianca ben curata; il bimbo è noiosino e pinocchiesco, vestito e occhialuto da Harry Potter nostrano; le scenette viste e riviste: si sente la pesante presenza del marketing, che si permette anche una sottilissima presa in giro dell’illustre concorrenza: il nonno, che forse si è fatto un bicchierino di troppo, saluta le galline familiarmente, e il nipotino lo sfotte: “Il nonno parla con le galline!”. Una vera provocazione. Invece di Zorro/Banderas/mugnaio bianco arriva però la prevedibile risposta marketing dello svelto anzianotto.

 

Grazie alla presenza di furgoncini rétro (onnipresenti quando si parla di tradizione) e di operai vestiti come quelli di Willy Wonka la teatralità è apertamente dichiarata e non si tenta l’eccesso di verismo: meno male perché i valori della tradizione e della qualità sono comunque buoni, buonissimi (specie quelli al cioccolato), e val la pena di sostenerli con ogni mezzo. Così come si sforza di fare il Grana Padano con un nonno molto ma molto più vecchio, dalla voce vagamente tremula, dalla nostalgia incalzante: si sente che abbandonare quelle mucche, le sue mucche, è stato un trauma. Al ricordarle si commuove, la voce si rompe, al punto che mia nipote di sei anni vedendolo mi ha chiesto: “Zio, ma che mucche sono le mucchesai?”. Meno male che nonostante la nostalgia ha trovato la forza di convertirsi in ricco ristoratore newyorkese, come scopriamo nell’ultima inquadratura.

Nonni a confronto quindi, mentre le galline vanno in pensione seguendo il loro fornaio ispano-italico, molto più zio che nonno, uno Zorro in pensione che incuteva rispetto a tutti fuorché alla sua gallina che se lo lavorava come voleva. La voglia di cambiare è nell’aria, anzi, precipita dall’aria come il meteorite dei Buondì, che ha scatenato una ridda di commenti e controcommenti sui social. Tra femministe indignate, benpensanti inorriditi e pubblicitari che “è copiato da uno spot degli anni ‘80”, preponderanti i commenti di coloro che avrebbero voluto eliminare la bambinaccia saccente. Amadori e Giovanni Rana sembrano essere in pensione, come anche Ennio Doris che ha passato il testimonial al figlio. Cosa ci riserberà la caccia alla tradizione nei prossimi spot? Francamente spero nella permanenza dei nonni, veri o falsi che siano. Anche perché le favole non le raccontiamo più: se non ci fate raccontare almeno la pubblicità, cosa ci resta?

Nonni, galline e mucche. Riaperta la caccia alle tradizioni ultima modifica: 2017-09-27T19:23:03+02:00 da PIERALVISE ZORZI
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