Obsolescenza programmata. Lo stop di Strasburgo

Il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione che impegna la Commissione e gli Stati membri ad adottare misure concrete per garantire una maggiore durata dei prodotti industriali
GIORGIO FRASCA POLARA
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Il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza – 662 sì, 32 no, due astensioni – una risoluzione che impegna la Commissione europea (cioè l’esecutivo) e gli Stati membri ad adottare

misure concrete per garantire una maggiore durata dei prodotti industriali, in sostanza per combattere la cosiddetta strategia dell’obsolescenza programmata, cioè l’adozione scientifica di difetti in un dispositivo in modo che questo si rompa o si guasti irreparabilmente in un determinato arco di tempo, il più breve possibile, in modo da imporne la sostituzione, l’acquisto di uno nuovo.

Si tratta di una decisione importante perché mira a colpire uno degli strumenti su cui si basa la speculazione della grande industria: immettere nel mercato prodotti ad alta o bassa tecnologia progettati per accelerare strumentalmente i processi di sostituzione, un vero e proprio crimine che mette in discussione l’intero sistema dei valori delle società industriali. Non a caso la risoluzione dice che

l’estensione della durata dei prodotti, pur rappresentando una sfida per i produttori, può avvantaggiare le piccole e medie imprese che, non potendo competere sul prezzo, possono farlo sulla qualità.

In una precedente nota citammo alcuni esempi di una pratica che risale almeno ad un secolo. L’obsolescenza programmata nasce infatti negli Usa quasi cento anni fa quando i produttori di lampadine crearono un cartello – il patto Phoebus – con l’obiettivo concordato di limitare la durata dei dispositivi di illuminazione a mille ore rispetto alla durata di norma (allora) di 2.500 ore. Venne poi la decisione della Dupont di rendere più sottili le prime calse di nylon, peggiorandone sì la qualità ma moltiplicandone la sostituzione. Sino al più comune e attuale esempio: il dimezzamento (dai dodici anni del 1998 ai sei di oggi) della durata media di una lavatrice (un classico: è bastato sostituire la vasca di lavaggio, un tempo in acciaio, con una in plastica che si spacca e costringe a sostituire l’inteso cestello).

Altrettanto sfacciato il caso della Apple, accusata anni addietro di aver messo sul mercato uno dei suoi primi iPod con una batteria destinata a durare un anno a mezzo e a rivelarsi poi insostituibile. Come dire: ti invecchio artificiosamente la durata di un prodotto, lo rendo difficilmente riparabile (se non a caro prezzo), e allora ti conviene comprare un nuovo modello o sei comunque costretto a sostituirlo.

Il primo paese europeo ad intervenire – il primo e l’unico, sinora – è stata la Francia che ha deciso, per legge, che l’obsolescenza deliberata è un reato punibile non solo con 300mila euro di multa ma anche, nei casi più gravi, con due anni di carcere. Ed ha definito giuridicamente la natura di questo colossale sistema truffaldino studiato dal capitalismo: è
“quell’insieme di tecniche con le quali un produttore mira a ridurre deliberatamente la durata della vita di un prodotto per aumentare il tasso di sostituzione.

Basta? Secondo le associazioni consumeriste, e comunque gli avversari dello spreco, neppure questa definizione basta: troppo vaga, crea le condizioni per vertenze giudiziarie infinite e di incerto esito sulla individuazione del dolo. E puntualmente questo è avvenuto. Ecco perché, con l’esperienza francese sotto gli occhi, l’Europarlamento ha sottolineato che

l’utilizzo del sistema dell’obsolescenza programmata può essere difficile da dimostrare, per cui si chiede alla Commissione di istituire un sistema indipendente per monitorare eventuali illeciti.

Certo, la risoluzione del Parlamento europeo è una indicazione politica di principio, ancora non vincolante ma che suona come una affermazione di principio cui devono attenersi tutti gli Stati dell’Ue. Come? Ora è necessaria una Direttiva che, poi, deve essere adottata per legge da ogni singolo Paese. E, nella risoluzione, si indicano le maggiori tutele chieste per i consumatori:

il criterio di resistenza minima fissato per ogni categoria, e anche una garanzia estesa nel caso che la riparazione duri più di un mese; una definizione comune di obsolescenza programmata con un sistema in grado di rilevarla e adeguate misure dissuasive nei confronti dei produttori; incentivi che favoriscano la fabbricazione di prodotti durevoli e riparabili dando la possibilità di ottenere i pezzi di ricambio essenziali a un prezzo commisurato alla natura e alla durata di vita del prodotto.

Il parlamento di Bruxelles invita infine la Commissione a prendere in considerazione la possibilità di

creare una etichetta europea volontaria che indichi durabilità, progettazione ecocompatibile e possibilità di modulazione dei componenti.

Quanto è sentito in Italia questo delicato complesso di problemi che riguardano le abitudini e il reddito di milioni, anzi di diecine di milioni di cittadini, soprattutto dei ceti meno abbienti? Un sondaggio Eurobarometro ci dice che il 77 per cento dei consumatori preferirebbe poter riparare un oggetto rotto invece di doverlo sostituire; eppure la stragrande maggioranza degli interpellati ammette che oggi la strada più facile (e, paradossalmente, più economica) risulta essere quella della sostituzione a causa degli alti costi di riparazione. Esattamente le esigenze, non solo degli italiani, che la risoluzione del Parlamento europeo ha voluto interpretare.

Ma perché, intanto, l’Italia non si muove autonomamente – e più incisivamente di quel che ha comunque fatto la Francia – con una legge di contrasto della obsolescenza programmata e delle sue conseguenze? È chiaro che esistono fortissime lobbies industriali (diciamo capitalistiche, seppur temo che anche questa parola sia obsoleta) contrarie a qualsiasi modifica dell’attuale sistema. Sono così potenti da impedire una autonoma iniziativa del governo e del parlamento italiani? Infatti nessuno si è sin qui mosso. Di più e di peggio, io registro un solo ed eloquentissimo dato: che da noi nessun giornale di qualche rilevanza, nessuna tv, nessun mezzo di comunicazione, almeno tra quelli di qualche peso nazionale, ha dato notizia della risoluzione del Parlamento europeo votata il 4 luglio scorso. Impressionante, nevvero?

Obsolescenza programmata. Lo stop di Strasburgo ultima modifica: 2017-09-28T22:02:55+02:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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