In vista del referendum consultivo che si terrà il 22 ottobre prossimo in Veneto ytali pubblica una serie d’interventi, iniziando con questo odierno di Bepi Covre. Il referendum è stato deliberato dal consiglio regionale del Veneto per conoscere il parere degli elettori della regione circa l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia al proprio ente territoriale. Per l’efficacia della consultazione è richiesta la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto. Nella stessa giornata del 22, si terrà un analogo referendum in Lombardia.
L‘autonomia è radicata nella storia della gente veneta; è il “lievito madre” dello sviluppo economico, sociale e culturale avvenuto dal dopoguerra.
Non mi riferisco all’autonomia politico amministrativa da sempre invocata, mai ottenuta, ma a una forma di autonomia domestica, che si è sviluppata all’interno delle famiglie patriarcali.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, l’economia veneta era sostanzialmente agricola; eravamo il sud del nord (libro di Francesco Jori). Le famiglie contadine, erano composte da più nuclei eterogenei che comprendevano nonni, fratelli, cugini, cognati/e figli numerosi. Avevano una cassa comune in cui confluivano le magre risorse del lavoro dei campi. C’era un amministratore unico che solitamente era il genitore o il fratello più anziano. Sopravviveva latifondismo e mezzadria.
Finita la guerra molti giovani tra miseria e disperazione, scelsero l’alternativa al lavoro dei campi: l’emigrazione. Altri rimasero e, appena partirono le prime attività artigianali, industriali e commerciali, decisero di “imparare un lavoro”.
La nuova realtà disgregò la dinamica della famiglia tradizionale. Mentre venivano a mancare braccia da lavoro (sostituite dalle macchine), nelle famiglie ci furono nuove e regolari entrate economiche: le paghe dei figli operai/e. Da qui la necessità, per singolo nucleo famigliare, di poter gestire in autonomia il flusso di benessere. In pochi anni venne a cessare il ruolo dell’amministratore unico, presente nell’eterogenea famiglia patriarcale.
Molti genitori iniziarono a esercitare in proprio, il diritto/dovere di una nuova, stimolante e responsabile gestione familiare autonoma. Diventarono piccoli ma importanti imprenditori domestici e finì per sempre, senza rimpianti il centralismo-dirigista patriarcale.
Nacque in embrione la futura struttura industriale e produttiva del Veneto. Un moltiplicatore di opportunità, di libere iniziative, di assunzioni di rischi calcolati. Spesso, per iniziare, veniva offerto in garanzia alle banche la proprietà terriera, per avere i necessari finanziamenti.
Torniamo a oggi. La sfida della globalizzazione è durissima. Il Veneto chiede di poterla affrontare adeguatamente. Ciò significa disporre di maggiori risorse economiche (risultanti dal nostro duro lavoro, non siamo abituati a lamentarci e piangere, non chiediamo risorse di altri), di poter gestire la formazione, la scuola, l’università. Di poter realizzare infrastrutture e servizi tecnologici adeguati. Iniziative sociali a beneficio della famiglia, contributi per nuove nascite, come avviene oggi nel vicino Trentino Alto Adige. Puntando su demografia autoctona piuttosto che d’importazione. Sì all’autonomia per realizzare più benessere, comunque a beneficio del Paese. Il superato, burocratico centralismo continuerebbe a farci male, a danneggiarci.
Con il SI’ al referendum facciamo gli interessi del Veneto, non della Lega, nemmeno di Zaia.
in alto un’illustrazione di @AlfioKrancic

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