Delle sorti dell’Uomo di Altamura – il famoso scheletro del Paleolitico, forse poco meno di duecentomila anni di età – si discuterà addirittura in parlamento.
Una deputata di quel grande centro pugliese, Liliana Ventricelli, ha chiamato la ministra dell’istruzione e il suo collega dei beni culturali a dirimere la grana che impegna da un lato il centro altamurano ricerche speleologiche e dall’altro gli antropologi dell’università romana della Sapienza.
Il centro, geloso della scoperta fatta nel 1993 nella grotta di Lamalunga, si batte perché quest’unicum resti dov’è stato scoperto, la più importante scoperta paleo-antropologica mai avvenuta in Italia: il suo trasferimento, si sostiene, rischierebbe di danneggiare irreparabilmente il reperto.
Ribattono da Roma, e lo fa per tutti il prof. Giorgio Manzi:
Paure immotivate: il nostro progetto è assolutamente prudente e si adotterebbero tutte le cautele necessarie come si fa già da molti mesi: dopo ogni discesa nella grotta si studiano i dati, sono impegnati i migliori specialisti, ma c’è bisogno di ambienti adatti, altro che una grotta.

Speleologi studiano l’Uomo di Altamura
Perché tanto interesse dell’una e dell’altra parte?
Sembra che Altamura resista non per gelosia (o, almeno, non solo per questo) ma soprattutto per la tutela assoluta di uno scheletro, l’unico al mondo da cui sia mai stata estratta la chiave genetica, con tutto quel che ne consegue per la ricerca scientifica. Senza considerare che la conservazione nel suo ambiente millenario costituirebbe oltretutto un potenziale ed eccezionale richiamo turistico.
Dall’altra parte si osserva che l’ottimo stato di conservazione, l’integrità dello scheletro, l’assenza di deformazioni e la presenza del cranio, intero, costituiscono una occasione per una migliore conoscenza e definizione dei meccanismi di evoluzione che hanno portato al popolamento europeo e al ciclo neanderthaliano.
Spiegano infatti gli scienziati che
lo scheletro è infatti riconducibile ad un maschio adulto, altezza 1,60-1,65 cm., il cui cranio presenta sia i tratti arcaici che quelle trasformazioni morfologiche, stabilizzatesi nelle popolazione neamderthaliane, che consentono di collocarlo nel gruppo di fossili del Pleistocene Medio europeo, ovvero tra le forme dell’Homo Erectus (400mila anni fa) e le forme tipiche dell’Uomo di Neanderthal (85mila), in una fase cioè di passaggio stimata a circa 200mila anni fa
Dal primo (2015) degli studi della Sapienza lo scheletro è databile tra i 128mila e i 187mila anni fa, e dunque si tratta del più antico reperto di Neanderthal al mondo da cui sia mai stato estratto – questo è il punto essenziale – il Dna che fornisce, com’è noto, le indispensabili, essenziali informazioni genetiche.
Ecco perché all’Uomo di Altamura è dedicata tanta importanza (c’è una enorme letteratura scientifica internazionale sul reperto che ha suscitato un forte interesse dell’Unesco), e su queste basi è aperto da anni il confronto tra due “partiti” ciascuno con le sue buone ragioni da rivendicare.

La grotta di Altamura, luogo di ritrovamento dello scheletro
Fatto è comunque che il Tar e addirittura anche il consiglio di stato hanno riconosciuto “gruppo scopritore della grotta” il centro altamurano e tre speleologi di Bari (Lorenzo Di Liso, Marco Milillo e Walter Scaramuzzi) che, esplorando un pozzo carsico di Lamalunga, costituito da un complesso sistema di grotte sottostanti le collinette tipiche della Murgia, hanno trovato ad appena otto metri di profondità lo scheletro integro e parecchie ossa di animali, probabilmente l’alimentazione di chi abitava gli anfratti. Una “paternità” della scoperta che pesa, eccome, sull’opzione di lasciare l’Uomo dove si era spento.
Certo è che, intanto, questo tesoro antropologico resta al suo posto, nella grotta, tra stalattiti e stalagmiti che ne sono in qualche modo i tutori naturali e che hanno contribuito alla perfetta conservazione integrale dello scheletro praticamente semi-avvolto in un blocco di concrezioni calcaree.
Ma sin dalla scoperta del ’93 c’è chi aveva progettato di rimuovere il reperto, con l’intero blocco, per esporlo a Roma. Ipotesi a suo tempo bloccata dall’alto. Poi è nato (e morto presto) il “progetto Sarastro” del noto antropologo (pugliese) prof. Vittorio Pesce Delfino che, prima di morire, aveva dedicato quindici anni allo studio di quello scheletro e proponeva una “tele-fruizione” del reperto, lasciato nella grotta, con terminali posizionati in una vicina masseria. Fu realizzato un costoso (e secondo alcuni, dannoso) impianto, ma presto rimosso.
Ora, con l’iniziativa parlamentare di Liliana Ventricelli (ammesso che ci sia il tempo di una risposta: il cosiddetto sindacato ispettivo procede sempre con esasperante lentezza, e siamo agli sgoccioli della legislatura), la palla passa al governo: l’Uomo resta nella grotta di Altamura o verrà estratta? E quali sono i rischi di un’eventuale rimozione? E infine: lo studio e la “fruizione” del bene (con adeguati investimenti, s’intende) non possono avvenire invece nell’area in cui lo scheletro è stato scoperto “senza sottrarlo alla comunità” come si chiede, con ingenuo spirito patriottico, nell’interrogazione?

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!