Il fascino della settima arte. Luigi Nono e il cinema

Unire il nome del musicista veneziano a un’arte che per molti versi gli restò estranea, può sembrare abbastanza curioso. Una correlazione, allo stesso tempo, è pur sempre possibile sondando percorsi meno diretti, forse, ma ugualmente interessanti
ROBERTO CALABRETTO
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Parlare di Luigi Nono e il cinema, unendo il nome del musicista veneziano ad un’arte che per molti versi gli restò estranea, può sembrare abbastanza curioso. Può anche dare l’idea che tale ricerca, con delle forzature, si muova all’interno di percorsi molto aleatori e, in definitiva, marginali alla poetica del compositore.

A ragione Mario Messinis, in un breve articolo a commento delle attività musicali della Biennale di Venezia del 1993 dedicate a Nono in cui avevano trovato posto un paio di appuntamenti cinematografici, aveva commentato in questo modo l’accostamento del compositore al Cinema:

Non è certo Nono un compositore che abbia scritto colonne sonore, e forse niente è più distante dalla sua poetica come la musica da film. In lui la dimensione dell’ascolto è prevalente ed esclusiva, è contrapposta al vedere, che può condizionare lo stesso ascolto. Vedere è un voler riconoscere, è un voler dominare gli eventi, ascoltare è invece per Nono un disporsi nell’attesa dell’ignoto che sopraggiunge. (1)

Una correlazione fra Nono e il cinema, allo stesso tempo, è pur sempre possibile sondando percorsi meno diretti, forse, ma ugualmente interessanti. Nono, va subito detto, non è stato un compositore cinematografico. Non è, quindi, un “cinematografaro”, come tanti altri musicisti del secondo dopoguerra che al mondo delle immagini in movimento si sono dedicati come loro vocazione principale. Non è però neppure un musicista che, saltuariamente, ha collaborato con qualche regista per determinati film.

È piuttosto un artista che ha concesso l’utilizzo della propria musica per determinati documentari; è un intellettuale che ha dimostrato una grande sensibilità e una sorprendente competenza ogniqualvolta si è trovato a parlare di cinema; è, infine, un compositore che ha realizzato una bellissima traduzione musicale di un film da lui particolarmente amato, “Sacrificio” di Andrej Tarkovskij.

Il fascino della settima arte

In realtà Nono ha sempre nutrito un forte interesse nei confronti della settima arte, per cui ha seguito la vita del cinema italiano spesso assumendo atteggiamenti polemici nei confronti di blasonate istituzioni, come la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, e frequentato il Circolo del cinema “Francesco Pasinetti” di Venezia, partecipando attivamente a tavole rotonde e proiezioni che puntualmente si svolgevano al suo interno.

Sempre negli anni Settanta egli aveva seguito anche i lavori della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, in particolar modo quelli della settima edizione (11-18 settembre 1971) dedicata al cinema dell’America latina – Jorge Sanjinés sortirà in lui una vera e propria folgorazione – e ai documentari cubani da lui tanto amati.

Date queste premesse, non deve sollevare stupore la sua presenza in alcuni celebri festival, come la Muestra de Cine Documental Latinoamericano di Mérida in Venezuela, oppure l’Internazionale Leipziger Dokumentar und Kurzfilmwoche für Kino und Fernsehen, uno dei principali festival della Repubblica democratica tedesca alla cui diciassettesima edizione che si tenne dal 23 al 30 novembre 1974 Nono partecipò nelle singolari vesti del membro di giuria.

Non deve parimenti stupire se, nel corso della propria esistenza, Nono ha anche conosciuto e frequentato molti registi, seguendo con particolare attenzione la loro filmografia. Tra questi vanno annoverati alcuni maestri del cinema latino-americano, come Fernando Solanas, assieme a lui giungerà ad ipotizzare una collaborazione per l’allestimento di alcuni film, Mario Handler, uno dei maggiori rappresentanti del neorealismo latinoamericano, Carlos Rebolledo e soprattutto Jorge Sanjinés, maestro del cinema boliviano e artefice della sua svolta a partire da “Ukamau” (1965), un film sulla vita degli indios parlato nella loro lingua che costò al regista la destituzione da direttore dell’Istituto di cinema boliviano.

Prevedibile appare la sua frequentazione dell’Instituto Cubano de Arte e Industria Cinematográficos (Icaic) e del Grupo de Experimentación Sonora che operava al suo interno sotto le direzione di Leo Brouwer. Qui egli ebbe modo di conoscere Huberto Solàs con cui collaborerà all’allestimento della colonna sonora di “Un hombre de éxito”. Alcuni momenti del suo epistolario testimoniano anche dei rapporti con Elem Klimov, “il dinamico e innovante segretario dell’Unione dei cineasti sovietici” (2), che Nono ha talvolta incontrato nel corso dei suoi viaggi in Unione sovietica.

I registi amati

Nei suoi scritti e nelle proprie interviste, Nono spesso ha parlato di cinema, citando i registi amati, alcuni film prediletti e altri nei cui confronti nutriva forti perplessità. Accanto a Tarkovskij, vero e proprio punto di riferimento, molti nomi affollano il suo universo cinematografico. Innanzitutto vanno citati gli esponenti maggiormente noti del cinema russo, da Sergej M. Ejzenštein e Dziga Vertov per giungere agli ultimi registi ch’egli stesso aveva avuto modo di conoscere. Il cinema di Ejzenštein, di cui dice di apprezzare “Sciopero” e “La corazzata Potëmkin”, contrariamente a “Ivan il Terribile” e “Aleksandr Nevskij”, è particolarmente amato. Il fascino del “montaggio creativo”, per cui attraverso l’assemblamento di elementi documentari si produce un nuovo nesso di senso, è da lui reputato una tecnica di grande forza, ancor più percepibile nel linguaggio di Vertov che si basa su procedimenti elementari.

Altri registi, che Nono cita nel corso di interviste e colloqui, sono Jean-Luc Godard, “il genio cinematografico del nostro tempo per la volontà di ricerca, lo sperimentalismo, la sua continua capacità di fare teoria del cinema” (3), Friedrich Wilhelm Murnau e Josef von Sternberg, registi ch’egli rimpiange in quanto nel cinema “la produttività ha preso il posto della creatività, l’economia ha invaso il campo dell’estetica” (4). L’interesse verso film come “Guerre stellari” e George Lucas e il suo gruppo non lascia dedurre un suo coinvolgimento nei confronti del cinema di fantascienza, quanto piuttosto l’interessamento verso il modo di lavorare, con le apparecchiature e tecniche, che questo cinema richiede.

Questo mi interessava e mi interessa tuttora molto – ribadisce Nono a tal fine -. Mi hanno detto di andare da loro in qualsiasi momento e che mi avrebbero mostrato tutto. (5)

Altrove egli cita anche Carl Theodor Dreyer, dimostrando un vivo interesse verso la pluralità dei campi visivi del suo cinema. Parlando del suo capolavoro “La passione di Giovanna d’Arco”, sottolinea come il regista

dinamizza la staticità del processo a Giovanna d’Arco, operando genialmente rispetto all’elemento visuale con il mezzo a disposizione, la macchina da presa. (6)

Documentario di Alexander Kluge dedicato alla celebre opera di Nono “Al gran sole carico d’amore”

Un discorso a parte merita, invece, Alexander Kluge, e la scuola di registi tedeschi nata al suo fianco, con Wim Wenders, Werner Herzog, Margarethe von Trotta e Rainer Werner Fassbinder:

un gruppo di giovani – commenta Nono – che lavorano con la tecnologia d’oggi, ma totalmente autonomi rispetto alle urgenze e alle imposizioni che la commercializzazione di questi mezzi comporta. (7)

Ancora una volta, com’era lecito aspettarsi, Nono predilige le scuole cinematografiche maggiormente vicine alla sua poetica musicale. Egli, inoltre, dichiara di amare alcuni film molto più sentiti da un punto di vista etico e civile: è il caso del neorealismo italiano, e di alcuni film come “Kapò” di Gillo Pontecorvo oppure del documentario di Luis Buñuel Las Hurdes e in genere del cinema latino-americano.

La musica di Nono nel cinema

La musica di Nono è entrata a far parte molte volte delle colonne sonore di alcuni film, programmi televisivi e, soprattutto, documentari. In particolar modo dopo la sua morte, alcuni registi hanno fatto riferimento a determinate opere del suo catalogo utilizzandole come materiali di repertorio. Una scelta tipica dell’universo cinematografico – il ricorso alla musica della tradizione classico-romantica e del secolo ventesimo è infatti abituale nell’allestimento della colonna sonora di una pellicola – che ha permesso alla musica del maestro veneziano di entrare a far parte di molti film appartenenti a diversi generi. A Nono si è così ricorso sulla base di un comune impegno politico oppure grazie alle suggestioni provenienti da alcune sue opere che sono state utilizzate come commento sonoro di alcuni film.

Per quanto riguarda l’utilizzo della sua musica in sede cinematografica, ricordiamo “Persistance” di Daniel Eisenberg – un film che si ispira e cita alcune scene di “Germania anno zero” di Roberto Rossellini unendo immagini della riunificazione a quelle della Germania uscita dal secondo conflitto mondiale – che si serve di alcuni momenti da “Hay que caminar”. Teresa Villaverde in “I mutanti” – un film girato in un istituto di Lisbona in cui minori disagiati rifiutano quanto viene offerto loro, e la cui rivolta è condannata all’autodistruzione – si serve invece di alcuni momenti di “Guai ai gelidi mostri” durante lo scorrimento dei titoli di testa.

Frame iniziale de “La guerra del golfo e dopo”

Nel 1991 Nejia Ben Mabrouk ha girato “Alla ricerca di Shaima”, secondo episodio di “La guerra del Golfo”… e dopo, utilizzando alcuni momenti di “No hay caminos, hay que caminar”. Il film vuole essere una risposta alla visione della guerra del Golfo offerta dalla stampa occidentale. Ben Mabrouk non cade mai nella retorica e, nell’utilizzare il metodo del reportage televisivo, mostra semplicemente quanto è accaduto in quei giorni

facendo parlare chi la guerra la vive sulla propria pelle, e i cui effetti, qualunque siano le cause, sono la distruzione e il cambiamento radicale della propria vita. (9)

Titoli di testa di “Un hombre de exito”

Il film in cui Nono viene abitualmente accreditato come compositore cinematografico è però “Un hombre de éxito” di Humberto Solàs, regista di punta del cinema cubano degli anni Sessanta-Settanta. Léon De La Holz, nel suo intervento all’interno del volume curato da Enzo Restagno, cita brevemente il nome del regista quando scrive:

Cercai Nono all’albergo e giunsi in tempo per sottrarlo ad Humberto Solás, che nel suo ultimo film usava la musica di Nono. (9)

Un “Hombre de éxito” tratta dell’ascesa al potere politico ed economico di un uomo opportunista e senza scrupoli in un momento (dal 1932 al 1959) di grandi turbolenze sociali nella storia di Cuba. Gli interventi di Nono, alcuni momenti da “Das atmende Klarsein”, servono a commentare le situazioni maggiormente “introspettive” o drammatiche del racconto, oppure i dialoghi più importanti dei protagonisti. Per il resto, la colonna sonora attinge largamente a repertori di diverso genere, con un largo e ampio spettro di scelte.

La musica per i documentari

L’esperienza con il documentario ha coinvolto Nono in maniera molto più profonda e continua, divenendo riflesso del filo rosso del suo impegno politico. Musiche per Manzù viene realizzato nel 1969 come colonna sonora per il documentario “Pace e Guerra” di Mario Bernardo prodotto dal Comitato Amici di Manzù. Questa pellicola, nata in assoluta economia di mezzi, documenta la realizzazione delle porte bronzee per la chiesa protestante di San Laurentz a Rotterdam distrutta dai bombardamenti nazisti e impiegò Manzù tra il 1965 e il 1968.

La cura con cui Nono si accinse a questo lavoro è testimoniata da una serie di documenti, tra cui le cronometrie dove il musicista, con molta precisione, non solo ha appuntato i tempi al secondo ma ha anche descritto le singole inquadrature, dimostrando una forma di approccio al commento delle immagini estremamente professionale. Il risultato è efficace e le immagini di Manzù si rispecchiano nelle musiche di Nono, già a partire dai sobri titoli di testa in cui stratificazioni sonore commentano le desolanti immagini effettuate dai cineoperatori tedeschi durante il bombardamento del porto di Rotterdam.

Copertina della rivista “Cinema e Cinema” dedicata al documentario “Lotta partigiana”

Due anni dopo, nel 1971, Paolo Gobetti e Giuseppe Risso si sono serviti del “Canto sospeso” per commentare il documentario “Lotta partigiana”. Si tratta di una raccolta di documenti cinematografici che voleva offrire un’immagine della Resistenza durante i due terribili anni finali. Un’immagine reale e scevra da condizionamenti autoriali, fortemente legata al dato storico grazie alle riprese girate dagli stessi partigiani nei luoghi dell’azione e a quelle provenienti dagli archivi storici. Ne risulta un’operazione esente da qualsiasi forma di retorica, grazie anche all’utilizzo della voce fuori campo degli stessi partigiani che commentano i diversi racconti contribuendo a rendere le testimonianze ancor più vive. La pellicola, per utilizzare un’appropriata definizione di Gobetti, si mantiene “ruvida e aspra”, per cui le immagini

hanno il sapore forte dell’autenticità, non il dolce leccato e ricercato della bella immagine. (10)

Cartello del documentario Lotta partigiana

“La Fabbrica” e “Crimini di Pace” nascono in un preciso momento della cinematografia italiana in cui il documentario veniva utilizzato come mezzo per il disvelamento della realtà economica non ufficiale. Con la costituzione dell’Unitelefim nel 1964, poi confluita nel 1979 nell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, la produzione era ancor più aumentata. Prodotto nel 1971 e distribuito dall’Arci, “La Fabbrica”, dedicato agli scioperi del 1969 e alla contestazione del sindacato da parte della classe operaia torinese, vede la regia di Lino De Seriis, Alberto Lauriello, Lucio Libertini e Luigi Nono.

La colonna sonora,

efficacissima per rivelare il senso dell’alienazione del lavoro ripetitivo, della spersonalizzazione subita da chi è utilizzato come ingranaggio nell’ingranaggio, (11)

è sempre stata messa in risalto come componente espressiva fondamentale del film.

Titoli di testa del documentario “La fabbrica”

Titoli di testa del documentario “La fabbrica”

A distanza di tre anni, ritroviamo ancora la musica di Nono a commentare un altro documentario dedicato al mondo del lavoro e alla condizione operaia. Si tratta di “Crimini di pace”, dall’omonimo libro di Franco e Franca Basaglia Ongaro, prodotto dal Collettivo italiano cinema di lotta per la regia di Gian Butturini che denuncia le condizioni disumane in cui si trovavano costretti a vivere migliaia di lavoratori, alienati e privati degli affetti della propria famiglia.

Presentato alla Mostra internazionale del cinema, il documentario inizia con le immagini della morte di un operaio in un cantiere edile a cui segue l’analisi della giornata di uno dei “pendolari della morte bianca”, con l’intervista alla moglie di un lavoratore che drammaticamente dice: “Nostro figlio non conosce suo padre”. Il film, poi, s’allarga sugli altri problemi della società italiana, come l’agricoltura, i trasporti dei pendolari, la speculazione urbanistica, il neo fascismo e la strategia della tensione volta a reprimere le proteste operaie, e si chiude sulle immagini della strage di Brescia e della seguente risposta popolare. Alcune sequenze sono particolarmente forti e la musica di Nono, che senza soluzione di continuità accompagna quasi l’intero racconto, questa volta attinge a “Como una hola de fuerza y luz”, “Un volto, del mare” e “Non consumiamo Marx” aiutando a scandire i momenti di maggiore intensità, talvolta sovrapponendosi ai rumori provenienti dalle stesse immagini.

“No hay caminos hay que caminar… Andrej Tarkovskij”

A conclusione di questo nostro cammino, è inevitabile approdare al nome di Andrej Tarkovskij, regista verso cui Nono ha sicuramente provato le maggiori affinità. La folgorazione provata a Parigi dopo aver visto “Sacrificio”, testimonia in maniera eloquente quanto il regista russo fosse da lui particolarmente amato. Non a caso, a Tarkovskij egli dedicherà la sua celebre composizione del 1988 per sette gruppi strumentali (“No hay caminos hay que caminar… Andrej Tarkovskij”). Un omaggio molto particolare, che comporta una ricomposizione musicale delle suggestioni visive dell’estremo lascito del regista russo.

Giovanni Morelli, in un suo magistrale saggio sulla dedica di Luigi Nono (12), ha così parlato di “Sacrificio”, in particolar modo delle fasi di lavorazione della scena finale, come di una “esecuzione di tipo musicale” e, con rara profondità e acutezza, ha messo in risalto alcuni motivi che rendono affini le due opere.

Nel delineare le componenti dell’ultimo film del regista, egli parla così di due strutture di indagine temporale dello spazio, che si realizzano nel corso dell’opera “come spargimento e raccolta di relazioni verticali/orizzontali in plurime funzioni” (13). Da queste parole già si possono cogliere alcune evidenti affinità con la poetica di Nono. Basti pensare, quale testimonianza maggiormente evidente, alle sue ricerche sulla erracità della risonanza. Nello specifico della partitura in questione, troviamo poi una singolare consonanza nella fisicità della produzione-ascolto del suono, qui realizzata in movimenti verticali-orizzontali e circolari. In questo caso, pertanto, non abbiamo a che fare con una semplice dedica, ma piuttosto con una vera e propria “traduzione musicale” della pellicola.
Ecco perché, sempre Morelli, parla di questa dedica come

l’effusione, compressa, di un sistema di molte comprensioni simultanee dell’ultima opera del regista russo (esperite sincronicamente da Nono, intuitivamente da spettatore ingenuo, ma con convinzione estatica. Comprensioni d’ipersensibilità recettiva plurime, tutte restituite in un particolare stato d’omaggio, oscillante fra il sentimento di riconoscenza per quel quanto di autocoscienza poetica che l’incontro, tardivo, con l’opera di Tarkovskij ha trascinato nel processo di rappresentazione dell’idea-motto dell’ “hay que caminar” e il sentimento, forse inconfessato di invidia per quel che Offret riesca a essere nella sua forma compiuta e finita; irrimediabilmente, e oramai […] quasi retoricamente “ultima”. (14)

Nate a ridosso l’una dell’altra (1986 il film di Tarkovskij, 1987 la partitura di Nono), queste due opere si richiamano vicendevolmente, si coappartengono e, caso pressoché unico nella storia della musica per film, realizzano un binomio che procede secondo modalità inesplorate. È quindi, l’opera di Nono, un grande omaggio al cinema, molto più significativo dei tanti prodotti che hanno affollato in maniera disordinata l’esistenza di questo universo. Non ha senso, a questo punto, chiedersi cosa avrebbe potuto scrivere Nono per Visconti, o per i tanti registi del secondo dopoguerra ch’egli stesso ha avuto modo di conoscere; ben più importante è il suo aver dato vita ad una vera e propria traduzione sonora della poetica di Tarkovskij, in

una miracolosa potenza poetica che sorge dalla creazione di legami indissolubili fra testi che l’un l’altro si sacrificano perché tutto “resti ancora o sempre come prima.

 

(1) Mario Messinis, “Su Luigi Nono e il cinema”, Circuito Cinema, III/6, giugno 1993.
(2) Luigi Nono in “Nono”, a cura di Enzo Restagno, Torino, Edt, 1987, p. 66.
(3)”L’alchimista dei suoni”, Intervista di Fiona Diwan cit., p. 371.
(4) Ibidem.
(5) “Ascoltare le pietre bianche”. “I suoni della politica e degli oggetti muti”. Intervista di Franco Miracco, in “Nono, Scritti e colloqui”, vol. II cit., p. 301.
(6) “Nono, Musica e teatro”, in “Scritti e colloqui”, vol. I, a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, Milano, Ricordi LIM, 2001, p. 212.
(7) “Idee e acustica” Intervista di Ágnes Hetényi, ivi, p. 384.
(8) Alessandro Paesano, “La guerra del golfo… e dopo”, “Film: tutti i film della stagione”, I/5, settembre-ottobre1992, p. 277.
(9) Léon De La Holz, “Luigi Nono, lo specchio della creazione”, in “Luigi Nono”, a cura di Enzo Restagno, Torino, Edt, p. 276.
(10) “Paolo Gobetti”, Introduzione, ivi, p. 11.
(11)  Nostra conversazione con Claudio De Seris, Roma 10 settembre 2010.
(12) Giovanni Morelli, “Dedicato a una dedica ‘No hay caminos hay que caminar… Andrej Tarkowskij'”, in “Con Luigi Nono. Festival Internazionale di Musica contemporanea”, a cura di Mario Messinis, Milano, Ricordi La Biennale 1993, pp. 131-141.
(13)  Ivi, p. 133.
(14) Morelli, “Dedicato a una dedica ‘No hay caminos hay que caminar… Andrej Tarkowskij'”, cit., p. 136

Il fascino della settima arte. Luigi Nono e il cinema ultima modifica: 2017-10-08T19:17:53+02:00 da ROBERTO CALABRETTO
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