Perché monumenti “fascisti” sono ancora in piedi. Risposta al New Yorker

ROBERTO D’AGOSTINO
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La studiosa americana Ruth Ben-Ghiat si chiede su The New Yorker perché in Italia facciano ancora bella mostra di sé edifici e monumenti di epoca mussoliniana, in particolare all’Eur e al Foro Italico di Roma. La docente di storia e studi italiani presso la New York University si riferisce in particolare al tanti monumenti “fascisti” sono ancora in piedi, come il Palazzo della Civiltà Italiana all’Eur, descritto come “una reliquia di un’aberrante aggressione fascista”, osservando come “lungi dal prendervi le distanze in Italia è celebrato come un’icona modernista”, ed è stato perfino riconosciuto come “sito di interesse culturale”.

L’articolo del New Yorker è intrigante e presenta numerose sfaccettature, ma in definitiva cosa sostiene? Che in Italia permane una grande quantità di monumenti (e di simboli) fascisti, in quanto per ragioni storiche – dopo la guerra gli alleati temevano più i comunisti che i fascisti, i limiti della legge Scelba finalizzata esclusivamente ad impedire la ricostituzione di un partito fascista, e altro, fino ad arrivare al governo Berlusconi che rilegittima la destra di ispirazione fascista – per ragioni storiche dicevo e per ragioni più specificamente di cultura politica – che riguardano, in particolare ai nostri giorni, non solo l’Italia – da noi non è stata fatta una sufficiente opera di rimozione del passato fascista, come in Francia o in Germania o come sta accadendo negli Stati Uniti con la demolizione dei monumenti del passato confederato.

C’è sicuramente anche questa componente nella vicenda italiana dentro la quale può essere vista la permanenza di molti “simboli” che richiamano il passato fascista del nostro paese, ma del tutto diversa è la questione della permanenza di molti “monumenti” realizzati durante il ventennio.

Le due cose non stanno assieme. Predappio e il Palazzo della Civiltà Italiana, il memoriale dedicato a Graziani e la Casa del Fascio di Terragni, o le architetture di Sabaudia, o il Palazzo delle Poste a Napoli, per non parlare dei molta parte dell’architettura coloniale fuori dai nostri confini, appartengono a mondi completamente diversi.

Da un lato ci sono dei simboli fascisti che hanno a che fare con la permanenza o, peggio, oggi il recupero, di un pensiero che in Italia (ma in Germania no? e che dire del razzismo suprematista degli Stati Uniti che si oppone alla demolizione dei propri simboli) ha sempre avuto una sorta di legittimazione a partire dalle amnistie togliattiane volte alla pacificazione nazionale, per arrivare ai riconoscimenti odierni.

Dall’altro ci sono realizzazioni fatte durante il ventennio fascista, ma che col fascismo come ideologia non hanno nulla a che fare, se non per il fatto che il fascismo nel campo delle realizzazioni urbane e architettoniche ha fatto propria sia la continuità con la tradizione culturale italiana, sia l’elaborazione innovativa e internazionalista del razionalismo.

Nel campo dei “monumenti”, estendendo il termine a tutte le trasformazioni che hanno lasciato ricordo di sé sul territorio, il periodo tra le due guerre mondiali ha visto la dittatura fascista, a differenza di quanto facevano i contemporanei dittatori in Germania e in Unione Sovietica che si inventavano una specifica architettura di regime i cui residui sono oggi poco più che delle curiosità, elevare a architettura di regime la traduzione italiana dell’architettura razionalista che, nonostante concessioni imperiali, manteneva forti agganci con il movimento moderno.

Ma le stesse concessioni imperiali non erano altro che il tentativo di riagganciarsi ad una tradizione culturale fortemente radicata nel nostro paese i cui segni presenti e dirompenti erano e sono del tutto metabolizzati dalla nostra cultura nazionale.

I prodotti, o almeno i prodotti migliori, di questa vicenda storica sono diventati dunque parte integrante del nostro patrimonio culturale e non possono certo essere confusi con il permanere dei simboli fascisti, come sarebbe l’intitolazione di una via al maresciallo Pétain o un monumento al generale Grant.

Per questo e per fortuna tanti monumenti “fascisti” sono ancora in piedi oggi in Italia.

Perché monumenti “fascisti” sono ancora in piedi. Risposta al New Yorker ultima modifica: 2017-10-11T17:52:30+02:00 da ROBERTO D’AGOSTINO
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