1917. Inizia la storia che non avrebbe dovuto finire mai

Quell'Ottobre, cent'anni fa. Cosa resta di un modo di concepire il mondo e di un mondo che poi ne fu plasamato.
FRANCESCO MARIA CANNATÀ
Condividi
PDF

Tutto inizia con un tedesco. E non si tratta di Karl Marx come si potrebbe supporre. No, all’inizio c’è il conte e  diplomatico Ulrich von Brockdorff-Rantzau. È lui che dal 1902 al 1917 dalla Danimarca tiene d’occhio quanto accade nel vicino Impero russo. È lui, che aveva iniziato la propria carriera come segretario di legazione a San Pietroburgo, a spingere per una pace separata tra Russia e Reich tedesco. Non per pacifismo ma perché solo cosi la Germania avrebbe potuto concentrare tutte le proprie forze sul fronte occidentale.

Da mesi gli eserciti della prima guerra mondiale si trovavano impantanati nel fronte orientale. In Russia, sotto la spinta della rivoluzione moderata di febbraio, il 15 marzo 1917 lo zar Nicola II era stato costretto ad abdicare. Il governo provvisorio inizialmente guidato dal principe Georgij Lvov e dopo da Alexander Kerenski era indeciso se proseguire il conflitto o cercare la pace. Brockdorff-Rantzau invece non aveva dubbi. Occorreva fare di tutto affinché la Russia sprofondasse nel maggior caos possibile. Per raggiungere questo scopo, afferma in un dispaccio l’uomo che sarà il primo ambasciatore di Berlino in Urss, occorreva finanziare gli elementi più radicali  della politica russa.

Ulrich von Brockdorff-Rantzau

Il progetto è azzardato. Il cancelliere imperiale Bethmann Hollweg prima lo respinge poi lo accetta. La svolta strategica del Reich si concretizzerà rapidamente. Nella seconda settimana di aprile 1917 la Germania organizza il ritorno di Lenin in Russia. Un vagone che parte da Zurigo porterà Vladimir Ilich al porto tedesco di Sassnitz sul mare del Nord. Da lì via nave in Finlandia e poi San Pietroburgo. In Russia, alla testa dei bolscevichi, la minoranza radicale del partito socialdemocratico russo, Lenin guida l’insurrezione che il 7 novembre 1917 conquista la capitale imperiale.

A dicembre sarà siglato con le potenze centrali un l’armistizio che formalmente rappresenta l’uscita del paese dalla guerra. Molti governi valuteranno il potere dei soviet un avvenimento passeggero. Un errore clamoroso. La Rivoluzione d’Ottobre, come sarà chiamata secondo il calendario russo, si rivelerà uno dei maggiori momenti di discontinuità nella storia dell’umanità. Al potere andrà un regime che nell’esistenza economica, nel materialismo storico, vedrà la questione delle questioni dell’umanità trascurando ogni altro punto di vista. Partiva cosi il più grande esperimento della storia.

Rivoluzione in un paese arretrato

Le idee di Lenin si basavano sulle teorie di Marx. Ma il filosofo di Treviri quando pensava al comunismo aveva in mente qualcosa di molto differente di quanto raggiunto dal politico russo. Oggetto dei suoi studi non erano state le comunità agrarie dell’est Europa ma le società capitalistiche sviluppate dell’occidente. Era nelle nazioni industriali che lui e Engels valutavano realistica la trasformazione rivoluzionaria. Concentrato sull’indagine delle regole dello sviluppo storico il pensatore tedesco non riflette su come superare il capitalismo e non indica le forme che prenderà il nuovo ordine sociale. La svolta russa non avverrà dunque come il compimento di leggi storiche ma sarà dovuta all’atto di volontà di rivoluzionari pronti a capire e sfruttare le conseguenze della prima guerra mondiale.

Stalin e Lenin, 1919

La prima rivoluzione comunista mondiale si afferma in una nazione prevalentemente agraria e a bassa intensità industriale e non in un paese sviluppato occidentale. Troppo complessi in Occidente i rapporti economici e sociali per cancellarli con un colpo di mano come si capirà in seguito al momento della, mancata, rivoluzione nei paesi avanzati. Qui per molti, compresa la classe operaia, adottare le forme dello Stato comunista russo significava perdere qualcosa in termini di benessere e libertà. La scelta tra evoluzione e insurrezione porterà alla spaccatura nella maggior parte dei partiti socialisti europei. In quasi tutti però la maggioranza sarebbe andata ai riformisti.

Del resto l’evoluzione sovietica non invitava a seguire l’esempio di Mosca. Il consolidamento  bolscevico stava avvenendo grazie a una guerra civile che solo tra i soldati avrebbe fatto 770mila vittime. Senza contare i milioni di morti per fame ed epidemie e il crollo definitivo di una economia già sconquassata dalla guerra. E se nelle teorie ufficiali Marx e il suo primato dell’economia continuavano a dettare legge, il conflitto interno spingerà il potere sovietico a elaborare metodi che puntavano quasi esclusivamente a mantenere il potere. Il monopolio del partito non andava messo in nessun modo in discussione. Spariva cosi dagli orizzonti russi l’obbiettivo marxiano della scomparsa dello Stato. Al contrario l’idea che fosse possibile ristrutturare e modernizzare con la forza l’economia dava vita a un capitalismo di Stato che avrebbe rapidamente superato tutti i metodi di sfruttamento rimproverati al resto del mondo.

1930, Stalin, Vorošilov, Molotov e Nikolaj Ivanovič Ežov, che fu ucciso nel 1940, e la foto fu in seguito ritoccata

Modernizzazione autoritaria

Quando nei primi anni Venti la Nuova Politica Economica proverà a forzare le maglie rigide dell’economia di Stato, dovrà scontrarsi con Stalin. La collettivizzazione forzata dell’agricoltura voluta dal georgiano metterà fine alla Nep. La svolta radicale si rifletterà nel successo del primo piano quinquennale, 1928-1933, e la trasformazione in tempi incredibilmente brevi dell’Urss in una nazione industriale. Una modernizzazione autoritaria accolta all’estero con un misto di paura e ammirazione. Il piano trionfava trascurando i bisogni elementari dei cittadini sovietici. Così, mentre nel primo paese del mondo capitalistico si diffondevano automobili e frigoriferi, l’Urss era incapace di soddisfare le necessità quotidiane del proprio popolo.

Per Stalin il conflitto mondiale paradossalmente rappresenta una fortuna. Il sentimento nazionale risvegliato nell’Urss dalla grande guerra patriottica, dando un senso alto ai sacrifici patiti per il successo dell’industrializzazione forzata, metteva tra parentesi il grande terrore degli anni Trenta e ne cancellava l’incapacità a contentare i bisogni più elementari della popolazione. L’imperativo accettato dall’intera nazione era che fosse giunta l’ora di produrre armi non quella di soddisfare i consumatori. E mentre il georgiano rispondeva ai problemi aumentando la repressione, gli ambienti intellettuali del mondo occidentale subivano l’incanto del regime comunista.

La presunta decadenza del capitalismo sviluppato, il suo caos anarchico alimentavano il rimpianto dell’ascetismo passato. Legata a questa nostalgia stava la circostanza che il comunismo prometteva forme di vita e modelli sociali più conservatori di quelli capitalistici. E soprattutto nelle caotiche condizioni del dopoguerra, le crisi e i disordini insolubili di quegli anni il l’ideale di una vita regolamentata e provvista di baricentro era sicuramente attrattivo.

Il contributo sovietico alla vittoria sul nazismo sarà ripagato con l’estensione fino all’Elba dell’impero comunista. Nessuno paese vi aderiva liberamente, anche se le rigidità delle imposizioni variavano da Stato a Stato. L’unità cui la guerra fredda spingeva i due fronti contrapposti era solo apparente. Il blocco formato dall’Occidente era pieno di dubbi. Nel dopoguerra il capitalismo responsabile della crisi del 1929 non godeva di buona fama. L’Urss riusciva a tenere unito il proprio blocco grazie alla minaccia del nazionalismo tedesco ma anche perché l’economia socialista sembrava in grado di svilupparsi. Crescita delle città e accesso ad alcuni beni di massa erano parte del trend internazionale seguito anche dai paesi dell’Europa orientale. Del resto chi fuggiva in occidente si trovava di fronte a una società ancora sostanzialmente frugale.

Fine del comunismo?

È solo con gli anni Settanta che il divario tra i due sistemi diventerà irrecuperabile. La rivoluzione edonista e individualista del decennio non solo non può essere affrontata e soddisfatta dal mondo comunista, arcaico e basato sui piani quinquennali, ma i suoi dirigenti non sono nemmeno in grado di capire il fenomeno delle nuove generazioni, le domande che queste pongono. Alla richiesta di nuove abitazioni, impossibile da soddisfare con l’industria pesante, si risponde con appartamenti prefabbricati. Definite dalla popolazioni “deposito di lavoratori”, queste costruzioni per la propaganda ufficiale sono invece  “case confortevoli di livello mondiale”. Il socialismo realmente esistente stava diventando una sequela di menzogne. Le sue incapacità erano giustificate con la necessità della transizione al comunismo.

Walter Ulbricht

Il massimo di queste ipocrisie si avrà con Walter Ulbricht. Nel 1957 il segretario generale della Sed, il partito di unità socialista della Rdt, afferma che il capitalismo sarà “superato senza essere raggiunto”. La realtà era ben diversa. Il susseguirsi delle insurrezioni operaie, Berlino est 1953, Varsavia e Budapest 1956, Praga 1968, Varsavia 1980 avrebbe fatto piazza pulita delle tesi di Ulbricht. In Polonia l’aumento del prezzo della carne darà il via a un movimento di protesta che nell’agosto 1980 sfocerà nello sciopero dei cantieri navali di Danzica, la nascita di Solidarnosc e sarà alla base del collasso dell’Urss. Con l’imperativo economico della perestroika Gorbacev metteva fine all’esperimento tentato da Lenin settant’anni prima. Un destino inevitabile. Nella fase finale della propria esistenza, l’Urss destinava il venti per cento del Pil alle armi. Per lo stesso obiettivo gli Usa spendevano il cinque per cento del loro prodotto interno lordo.

Il comunismo è finito con la dissoluzione sovietica? Un quesito cui è possibile rispondere affermativamente solo per quanto riguarda l’Europa orientale e la Russia. Per l’Asia invece il discorso è diverso. Nel 1989 Pechino rispondeva alla domanda di cambiamento della propria società con la repressione di Tien An Men. Dagli inizi degli anni Ottanta Deng Xiaoping aveva dato vita a una singolare rivoluzione. Introdurre elementi di capitalismo ed economia di mercato nel sistema comunista senza far perdere al partito il monopolio del potere politico. Un’idea di modernizzazione che mette in discussione tutte le certezze teoriche sull’argomento secondo cui il progresso economico deve andare a braccetto con quello politico. L’affermazione di un sistema basato sulla dittatura di un partito e un capitalismo gestito dallo Stato sarebbe un avvenimento fondamentale. Sarà la fine del comunismo o la sua rinascita sotto nuove vesti?

1917. Inizia la storia che non avrebbe dovuto finire mai ultima modifica: 2017-10-17T16:58:59+02:00 da FRANCESCO MARIA CANNATÀ
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento