Il manifesto pubblicitario tra le due guerre

Il Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso ha inaugurato, col titolo “Tra le due guerre”, la seconda mostra quadrimestrale della serie “Illustri persuasioni”
ENNIO POUCHARD
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Il Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso ha inaugurato, col titolo “Tra le due guerre”, la seconda mostra quadrimestrale della serie “Illustri persuasioni”: centotrentadue manifesti pubblicitari e locandine selezionati dai 24.850 della propria raccolta, arrivata allo Stato per lascito testamentario del trevigiano Ferdinando Salce (1878-1962). “Nando”, come tutti lo chiamavano, aveva ereditato dal padre un’azienda locale leader nel commercio dei tessuti, ma per indole non si sentiva portato a dirigerla.

Decise quindi di affidarne la gestione a uno staff di collaboratori di provato valore, per poter vivere – così era iscritto nei registri comunali – da “benestante”. Per lui significava sentirsi libero di dedicarsi alle proprie ricerche. Plurivalenti agli inizi, ma ben presto indirizzate ai soli manifesti, con la piena consapevolezza della loro importanza culturale e del suo personale coinvolgimento nella protezione di quello che già considerava un patrimonio nazionale. Lo documentano le sue lettere alle aziende committenti, alle tipografie e ad autorità, sia italiane che straniere. Nei riguardi di queste ultime, per esempio, in uno scritto del 1941, parla di un funzionario tedesco inviato a lui con il compito di scegliere esemplari da esportare in Germania

…per esporli permanentemente in una specie di Museo, con grande dignità e un enorme pubblico internazionale.

Ma poi aggiunge:

Per quanto non si trattasse che di cartelli [sic], io non mi presterei mai a favorire l’esodo all’estero di un esemplare che fosse l’ultimo.

Quanto ai suoi metodi di ricerca, questo inciso del 1938, indirizzato a un’imprecisata “Onorevole Segreteria”, ne mette in piena luce l’intelligenza:

Per la mia notissima collezione di cartelli e manifesti figurati incominciata nel 1895, chiedo il favore che mi venga procurato qualcuno dei “PLAKATE” pubblicati per la liberazione dei Sudeti. Nel principio io raccoglievo soltanto i cartelloni artistici (Stuck, Sattler, Zumbusch, Heine, Diez, Hohlwein, ecc.) ma poi ho trovato necessario raggruppare anche quelli storico-politici; e così i visitatori trovano da me i saggi delle propagande per la Guerra mondiale, e per la Rivoluzione Fascista, e per la liberazione della Saar, e per la Spagna…

Nel testamento Salce lasciò scritto che l’intera collezione doveva essere destinata a

scuole e accademie preferibilmente locali o del Veneto, a studio e conoscenza di studenti, praticanti e amatori delle arti grafiche.

Per sei anni rimase però nella vasta soffitta della sua residenza in Borgo Mazzini (poi adattata a casa di riposo), per passare quindi in deposito al Comune di Treviso, che trovò il modo di sistemarla nella sede dell’Ente Provinciale per il Turismo (Palazzo Scotti).

Dopo un trentennio, grazie a un accordo tra il direttore dei Musei Civici e il responsabile locale di Publitalia, fu possibile iniziarne l’informatizzazione, delegando il compito a un’equipe di giovani studiosi. Sistemata in apposite cassettiere metalliche, fu immagazzinata in una scuola dismessa, dove rimase per un ulteriore ventennio. In totale, quindi, per ritrovarla nel museo trevigiano, attuando finalmente le volontà di Nando Salce, si son dovuti attendere cinquantacinque anni. Nel frattempo sono stati acquisiti altri ventimila manifesti e ora l’insieme del programma gestionale e delle iniziative già avviate, sotto la regia della direttrice Marta Mazza, promette bene.

L’attuale rassegna – che rimarrà aperta fino al 14 gennaio 2018 – presenta una selezione degli anni Venti e Trenta: una ventina gli autori italiani e d’oltralpe; ci sono quelli più in vista e vari altri, sempre ottimi e non sempre meno ricercati. Ricordiamo che la mostra precedente incentrata sulla “Belle Époque” (conclusa il 2 ottobre, con chiusura ritardata su richiesta) è stata recensita su ytali a fine giugno ed è tuttora consultabile.

La scelta delle opere per ogni singola mostra è ardua, considerato che va fatta, volta per volta, tra un’enorme quantità di esemplari da esaminare: poco più di quattromila erano quelli riguardanti la prima mostra, datati tra il 1841 del poster più antico al 1962, anno della morte di Salce (un arco di 132 anni); circa diecimila invece quelli disponibili per la seconda (riguardanti un venti anni). I fogli esclusi dalle scelte non potranno più essere visti pubblicamente se non – conclusi la risistemazione del materiale, l’allestimento dei laboratori e la digitalizzazione, il tutto in corso d’opera nell’ex chiesa di Santa Margherita – attraverso le immagini memorizzate nel sistema.

Altro problema sta nel criterio con cui va allestita ogni singola mostra: tipologico (in relazione al prodotto pubblicizzato), stilistico, per autore o altro: lo si spiega diffusamente nel catalogo della Silvana Editoriale (192 pagine, 34€), con i testi di Marta Mazza, Anna Villari e Maddalena Dalla Mura, e in modo chiaro benché sintetico nella piccola Guida (5€) e nei pannelli posti all’ingresso delle tre sale: nella quattrocentesca Dudovich al terzo piano, da cui inizia il percorso espositivo,

…nella Carboni, anch’essa al terzo (la si raggiunge salendo alcuni gradini in quanto fa parte di un edificio costruito in altra epoca)


… e nella Grignani al secondo.

In ciascuna sala le opere sono suddivise per sezioni, a seconda dei riferimenti. “Tra Avanguardia e Realismo magico” è la prima, in cui spiccano le interpretazioni futuriste echeggiate da Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Lucio Venna e Piquillo (Carlo Pandolfi).

Subito di seguito, l’estro del prolifico francese Achille Lucien Mauzan (lungamente attivo in Italia), decanta la saponetta “radioattiva” Radia (1923), il cui impianto grafico sembra anticipare –inconsapevolmente – le onde d’urto e le radiazioni di Hiroshima e Nagasaki.

L’altro tema di riferimento della Sala Dudovich è “Stile ’25: grafica e illustrazione”, che si rifà alle innovazioni portate dai Balletti russi di Diaghilev, dalla “Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes” di Parigi (svoltasi per l’appunto in quel 1925) e dalla parallela “Mostra Internazionale delle arti decorative” di Monza; emblematico il manifesto di Giovanni Guerrini qui riprodotto.

Non vanno dimenticate però altre preziosità, come “La Merveilleuse” di Carlo Nicco e le “Ciprie Gi.vi.emme”di Loris Riccio…

…né le “Brillantine OPSO” del versatilissimo Erberto Carboni, artista dallo sguardo giustamente definito “prensile”, tanto da giustificare chi, nell’ambiente dei pubblicitari, lo chiamava la “Lince”, in quanto capace di spaziare tra neo-classico, tracce di secessionismi e di rococò, suggestioni dei grandi couturier, pizzichi di folklore e vaghi sentori orientaleggianti. È sua questa sfavillante locandina

Nella Sala Carboni il tema è duplice: parte da “Il personaggio-idea”, cui risale il modello delle figure create da Leonetto Cappiello fin dal 1903. Il suo geniale manifesto del “Bitter Campari” esprimeva l’essenziale e radicale energia persuasiva del “personaggio-idea” con una semplice buccia d’arancio tagliata a spirale fino a formare una gabbia ascendente, da cui usciva danzando un folletto ridente con in mano una bottiglia del prodotto propagandato, posta al vertice dell’immagine, concludendone la struttura con valenza simbolica.

Ma il capolavoro prioritario, per la rassegna, è il “Bouillon Kub”, di formato orizzontale, scelto come logo della mostra e quindi usato per coprire l’intera copertina del catalogo, fronte e retro. Con l’assoluta innovazione di un bue-protagonista risponde anch’esso al tema del “personaggio-idea”, ma soprattutto, con l’eccesso grafico di quella testa bovina grigio-nera che irrompe nel giallo pieno del fondale, sfonda con potenza la porta del secondo tema sviluppato in questa sezione, “Il pugno nell’occhio”. (Una precisazione: questa espressione, comunemente usata per definire qualcosa di spiacevole a vedersi, è ripresa dal titolo del periodico dell’agenzia pubblicitaria milanese – e in seguito anche parigina – “La Maga”, fondata e diretta da Giuseppe Magagnoli).

Decisamente notevoli, inoltre, sono le presenze di Marcello Dudovich, del quale è da segnalare il famoso fenicottero rosa del “Carpano”, e di Mauzan, con l’immagine rotondeggiante di un negro felice della “Hydra-Crema sovrana per calzature” che spalma con la spazzola sui piedi nudi.

La sala Grignani, infine, documenta come alle ricerche d’avanguardia europee degli anni Venti – da Dada ai costruttivisti e al Bauhaus, concentrate sull’uso della fotografia, dei fotomontaggi, di tecniche miste studiate per imitarne pittoricamente le caratteristiche, del cinema (che nel 1928 imbocca la strada rivoluzionaria del sonoro) e della televisione, già in voga nei primi anni Trenta negli Usa e dal 1936 in Gran Bretagna, ma in Italia solo dal 1954 – rispondano nel decennio successivo i pubblicitari del nostro Paese. Meglio sarebbe dire di Milano: specialmente per merito di un’azienda modello in questo campo qual era la Olivetti del grande Adriano, di riviste specializzate come Casabella e “Campo grafico”, e di progettisti del calibro di Antonio Boggeri, al quale si deve la nascita di una grafica moderna squisitamente italiana e la progettazione di un servizio completo di comunicazione.
Nella sala figura in grande Eriberto Carboni, seguito, tra altri, da Marcello Nizzoli,

Giaci (Giacinto) Mondaini, Xanti Schawinsky,…

…e Gino Boccasile, …

… il cui nome rimane legato alle procaci e provocanti “Signorine Grandi Firme”, sempre vestite, ma in abiti attillatissimi, da lui realizzate per la seconda serie (anni 1937 e ’38) della rivista “Grandi Firme” (Settimanale dedicato alle “novelle dei massimi scrittori” e diretto da Pitigrilli, pseudonimo di Dino Segre). Sono una quindicina i suoi poster (“Amaro Ramazotti”, “Spumanti e vermut Riccadonna”, “Lotteria di Merano”, …), due dei quali, in formato locandina, con l’immagine ritagliata: “Sciampo Valli” e “Dentifricio KaliKlor”. In quest’ultimo è appariscente un aforisma, posto sotto il titolo, che imperversò nel nostro Paese per decenni, “A dir le mie virtù basta un sorriso”.

Con esso si conclude la mostra. L’anno in cui fu eseguito, il 1939, è quello dello scoppio dell’ultima guerra, scatenata dalla Germania nazista. Era il 10 settembre.
Strana la coincidenza tra le lacrime legate a quei fatti e il sorriso Kaliklor, n’est pas?

Il manifesto pubblicitario tra le due guerre ultima modifica: 2017-10-19T16:40:56+02:00 da ENNIO POUCHARD
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