La crisi catalana avanza, lungo il piano inclinato della politica che nega le sue responsabilità. La morte della politica prende la forma del mezzo scelto per comunicare, il Burofax. Cosa pensare di due governi, quello centrale spagnolo e quello autonomico catalano, che si parlano attraverso un servizio di certificazione da parte di terzi [correos.es], cosa pensare di istituzioni pubbliche che comunicano attraverso strumenti del diritto privato, di leader politici che usano ogni mezzo per lanciare messaggi – interviste, conferenze stampa – ma non alzano il telefono per parlarsi, se non che debba averli morsi una bestia il cui veleno ottunde i sensi e il senno?
Ripercorriamo a grandi linee la “catena delle irresponsabilità”. Quella del governo catalano, che ha promosso un referendum senza alcun valore legale e democratico, infrangendo le stesse norme catalane a tutela della legalità e della democrazia; quella del governo di Madrid, nello schierare un apparato poliziesco da stato di eccezione per tentare di impedire quello che, dopo la sospensione del Tribunale costituzionale non era più un referendum ma una semplice azione politica nulla più che simbolica – riuscendo anzi addirittura a far diventare, per molti che erano ostili, quel voto una questione di difesa della democrazia contro una ingiustificata repressione.
Di nuovo quella Madrid nel fingere di non capire che, quando il presidente catalano Carles Puigdemont è andato il dieci ottobre nel Parlament l’indipendenza unilaterale (o Dui, come dicono gli spagnoli che amano le sigle) non è stata dichiarata; e l’irresponsabilità catalana a margine con la firma in piedi di una specie di non-dichiarazione, fatta da chi comunque non aveva nessun potere di farla. Mariano Rajoy e il governo hanno risposto via Burofax – con una approfondita disamina della vicepresidente María Soraya Sáenz de Santamaría [ecestaticos.com] che Puigdemont doveva chiarire, presentando il doppio ultimatum di lunedì scorso – risponda sì o no alla domanda l’indipendenza è stata dichiarata – e di ieri, giovedì – rettifichi la dichiarazione.
Rajoy avrebbe potuto dire a Puigdemont che non aveva capito bene – volendo girare il coltello nella piaga ma agendo nell’interesse generale – che comunque venisse lui stesso a spiegarsi alla Moncloa, la sede del governo spagnolo. Nulla di tutto questo, nessun tentativo di abbassare la tensione ma anzi il doppio ultimatum.
Tralasciare la responsabilità della politica è anche delegare ai tribunali le sue competenze. E la macchina giudiziaria è andata avanti con poca leggerezza. Fino agli arresti dei “Jordis”, il leader della Assemblea nazionale catalana (Anc), Jordi Sànchez, e quello di Òmnium Cultural, Jordi Cuixart – le due organizzazioni non governative ma filogovernative che sono state scheletro e muscoli della costruzione dell’indipendentismo catalano negli ultimi anni.
Con accuse gravi, sedizione, e incerte. Senza entrare nel ginepraio che non ci compete delle discettazioni legislative, men che meno trattandosi di un altro paese, basti dire che il reato è molto discusso fra i giuristi spagnoli, quanto alla sua legittimità e circoscrivibilità. Ieri è intervenuta anche Amnesty International, che chiede [es.amnesty.org] al governo spagnolo il ritiro delle accuse e la messa in libertà dei “Jordis”.
Un reato con cui si confronta anche il capo dei Mossos, Josep Lluís Trapero, al quale non è ancora stato contestato. E la macchina giudiziaria va avanti. Agenti della Guardia Civil hanno perquisito ieri il commissariato di Lleida dei Mossos d’Esquadra, per sequestrare le registrazioni delle comunicazioni interne del primo ottobre, durante le operazioni di voto del referendum di indipendenza.
Lunedì scadeva il primo ultimatum, quello del “non abbiamo capito bene”. Ed è arrivato puntuale il Burofax catalano che ha confermato la fedeltà dei protagonisti al ruolo in commedia. A stretto giro arriva la lettera di Rajoy.
Poi, ieri, alla nuova scadenza arriva il Burofax di Puigdemont, scaricabile qui anche in italiano. L’inizio è oltremodo incerto. “Il popolo catalano” – ahi, quella parola, “popolo”, che non ha diversità al suo interno, che non è una società, composta da diversità, ma un’entità anti-plurale.
Il popolo catalano il giorno 1 di ottobre, ha deciso l’indipendenza col supporto di un’elevata percentuale di elettori. Una percentuale superiore a quella che ha permesso di iniziare il processo della Brexit e con un numero di catalani maggiore di quello che votò lo Statuto d’autonomia di Catalogna.
Cosa abbia convinto gli estensori del Burofax di Puidgemont a collezionare in poche righe un tale numero di strafalcioni è un mistero. Sta di fatto che al referendum britannico – che era legale e rispondente alle garanzie democratiche, insomma era un referendum – votò il 72,2 per cento degli aventi diritto contro il 43 dei dati forniti dalla Generalitat per il primo ottobre. E che al voto per lo Statuto del 2006 partecipò il 48,8 per cento.
Numeri errati a parte, Puidgemont dopo aver richiamato alla gravità del momento, aver ricordato la repressione del primo ottobre, rinnovata negli arresti di Sànchez Cuixart, eleva il tono, gonfia il petto, irresponsabilmente minaccia e poi ammette quel che Rajoy non ha capito, cioè che il 10 ottobre non ci fu nessuna dichiarazione unilaterale d’indipendenza.
Se il governo dello Stato persiste nell’impedire il dialogo e continuare la repressione, il Parlamento di Catalogna potrà procedere, se lo riterrà opportuno, a votare la dichiarazione formale d’indipendenza che non votò il giorno dieci di ottobre.
Il corsivo è nostro, sarebbe la risposta chiarificatrice ma è inutile.
Il governo risponde, questa volta nella forma di un comunicato in cui fa sapere che aspetterà sabato per la rettificazione, quando un consiglio dei ministri già previsto richiederà al Senato di votare l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione. Il copione non va cambiato.

Mariano Rajoy a Bruxelles tra Jean Claude Junker Donald Tusk e Antonio Tajani
Ieri Rajoy era a Bruxelles, la Crisi catalana non era nell’agenda ufficiale ma è stata il principale argomento. La prima a parlare è stata Angela Merkel, non appena arrivata al Vertice europeo.
Stiamo monitorando la situazione e sostenendo la posizione del governo spagnolo. Speriamo che sarà possibile trovare una soluzione all’interno dei confini della costituzione della Spagna.
Merkel anticipa la posizione dell’Unione, volta anche a smentire le voci della propaganda indipendentista che parlano di mediazioni segrete in atto o di paesi europei pronti al riconoscimento. È Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento, a rompere il silenzio finora tenuto dalle figure ufficiali. “Nessuno in Europa riconoscerebbe l’indipendenza della Catalogna”, dice senza mezzi termini. Una secessione della Catalogna “sarebbe contro la legge”, ovverosia “contro la costituzione spagnola che è anche diritto europeo”. Quindi “non intendo fare alcuna mediazione, perché non è competenza del Parlamento europeo farla” e perché “non intendiamo riconoscere la Catalogna come un interlocutore allo stesso livello del governo spagnolo”.
“La posizione delle istituzioni e degli Stati membri è chiara: non c’è spazio per ogni tipo di mediazione”, chiosa anche il presidente del Consiglio europeo, Dinald Tusk.
Oggi quindi è un venerdì di passione. Il Psoe fa sapere alla stampa spagnola che c’è un accordo sull’applicazione del 155, che sarà “chirurgica”, e limitata a “garantire il processo elettorale” che si vuole a gennaio. Il che comporterà anche il commissariamento della tv pubblica catalana, TV3. “Sono d’accordo perché siamo arrivati a un accordo”, sancisce Rajoy nel suo consueto stile lapalissiano. “Annunceremo domani tutte le misure”, ha detto oggi in una conferenza stampa in Belgio. Ma il governo lancia segnali che contraddicono la data di gennaio, segnalata anche da Albert Rivera di Ciudadanos. “È presto per dirlo”, ha detto il portavoce del governo, Íñigo Méndez de Vigo, in conferenza stampa nel pomeriggio.
La goffa risposta di Puigdemont muove le cose anche alla sinistra del Psoe, comunque contraria al “commissariamento” catalano. Il leader di Izquierda Unida, Alberto Garzón, alleata a Podemos, parla di “grave errore” nella minaccia di dichiarazione. Anche Pablo Iglesias intervenendo al Congreso dice “vogliamo sconfiggere il processo indipendentista ma non con la forza”. Poi si sposta in Andalusia, da lui finora poco frequentata, per dire che c’è una strada, che lo Statuto andaluso dice cose simili a quello che diceva lo Statuto catalano bocciato dal Costituzionale nel 2006 e che bisogna ricominciare da lì. Ada Colau, la sindaca di Barcellona, approva e lancia un segnale al Psc, la posizione sull’articolo 155 potrebbe avere ripercussioni sull’alleanza di governo di Barcellona; il segretario Miquel Iceta, che pure fu tra i primi a dire che non era stata fatta nessuna Dui, non risponde, apre a possibili maggioranze coi democratici catalani di Puigdemont per dopo il voto, una volta “rispristinata la legalità”. Ma è la portavoce aggiunta del Psc al Parlament, Alicia Romero, a intervenire nel pomeriggio specificando che quanto all’applicazione del 155 “non daremo un assegno in bianco al Psoe”. Colau inoltre respinge la richiesta della Cup di dichiarare il re Felipe VI “persona non grata” nella città di Barcellona, a una simile richiesta un anno fa il suo partito si astenne.

Mariano Rajoy eCarles Puigdemont visti da Luis Grañena (CTXT)
E domani partirà la richiesta al Senato che, comunque, non potrà esprimersi prima del 27. Cosa accadrà nel frattempo? Il meccanismo del 155 lascia ancora qualche giorno in cui può sempre accadere qualcosa. In questi giorni si capirà se il Parlamento catalano verrà sciolto prima o dopo dell’applicazione del 155; se avverrà con la Dui o senza. La Cup spinge gli alleati del Partito democratico e di Erc per la dichiarazione unilaterale d’indipendenza ma loro non sembrano convinti. C’è chi vuole farlo nella speranza di scatenare la repressione. Ma democratici e Erc hanno bisogno di qualcosa da presentare come una vittoria, quel che Rajoy ha pervicacemente negato. Un’impresa difficile – anche per la potente macchina propagandistica che la Generalitat può schierare – seppure non impossibile.
Sempre domani ci sarà una grande manifestazione contro gli arresti. A differenza di quelle di questi giorni è convocata da una piattaforma ampia, che comprende anche tutti i sindacati maggiori. Non è una manifestazione per l’indipendenza, ma vi si misureranno sia gli indipendentisti sia i fautori di Hablem / Parlemos, chi vuole svicolare dalla tenaglia dei nazionalismi contrapposti. Si starà ancora col fiato sospeso, nella speranza che qualche accadimento di piazza non intervenga a accelerare, certamente in peggio, la discesa sul piano inclinato.

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