Andrej Babiš. Come si costruisce un leader

Imprenditore, uomo d'affari, editore, ministro delle finanze. La storia del magnate che dovrebbe diventare il prossimo primo ministro della Repubblica Ceca.
FRANCESCO MARIA CANNATÀ
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Non siamo politici. Noi rimettiamo in ordine.

Con questo slogan nell’ottobre 2013 il partito Azione dei Cittadini Indignati, Ano, il suo acronimo ma anche parola che in ceco significa “Sì”, conquistava il 18,7 percento dei voti e il secondo posto nel parlamento di Praga. Nata diciotto mesi prima per mano di una personalità tra le più controverse e polarizzanti dell’Europa orientale, la nuova forza politica si caratterizzava per respingere ogni forma di collaborazione con gli altri partiti visti come la “quintessenza  di incapacità e corruzione”. Attributi presumibilmente opposti a quelle del suo fondatore.

Andrej Babiš, nato nel 1954 a Bratislava, è infatti il primo imprenditore ceco e, con fortune valutate alla fine del 2015 attorno a due miliardi e mezzo di euro, anche il più ricco cittadino della repubblica. Secondo Forbes, in termini di capacità di influire sulle decisioni politiche il miliardario di origini slovacche si piazza al quinto posto planetario. Soprannominato Babisconi o Badnews dai suoi avversari, Babiš di definisce molto modestamente un semplice immigrato. Un immigrato particolare visto i suoi legami con le élite economiche e politiche del paese. È anche grazie a queste connessioni che in vent’anni di lavoro è riuscito a costruire Agrofert, impero industriale formato da circa trecento imprese nei settori chimico, agroalimentare e del legno.

Andrej Babiš a Vilémov, durante la campagna elettorale (4 ottobre 2017)

Secondo quanto lo stesso imprenditore ha affermato, la propria ascesa politica inizia con un colpo di testa. Lo scossone arriva nel 2011. È l’ascolto di un’ intervista televisiva di Vaklav Klaus, nella quale l’allora presidente ceco glorificava quanto fatto dalla politica di Praga dopo la scissione con la Slovacchia, a dare fuoco alle polveri. Di fronte ad affermazioni di questo tipo Babiš capisce di “non potere stare più con le mani in mano”. Da qui la decisione improvvisa e rischiosa di entrare direttamente nella battaglia politica finanziando con circa quattro milioni e mezzo di dollari la nascita di Ano.

Il passo successivo sarà una lettera aperta alla società ceca in cui Babiš mette sotto accusa “le piaghe che demoralizzano la società”, impegnandosi a fare in modo che la repubblica divenga “un paese governato correttamente”. Affermazioni che trovano il consenso e l’impegno di personalità del mondo degli affari, intellettuali e cittadini ordinari. Meno improvvisati sono invece i modi con cui il magnate ha costruito il proprio impero economico.

E se la prima iniziativa arriva nel 1993 con la fondazione della compagnia Agrofert, il meglio si avrà otto anni dopo. È infatti durante le privatizzazioni delle aziende di stato ceche che il magnate riuscirà a sfruttare al massimo i rapporti con l’élite politica ceca. Esemplare in questo senso il modo in cui nel  2001 Agrofert riuscirà ad acquistare a prezzi stracciati l’azienda energetica pubblica, Unipetrol. Nonostante la britannica Rotch Energy avesse offerto quattrocentoquarantaquattro milioni di dollari, il governo di Miloš Zeman (attuale Presidente della repubblica, ndr) decide di cedere Unipetrol a Babiš per trecentosessantuno milioni, il 20 percento in meno del costo della struttura. Per consegnare Unipetrol ad Agrofert, l’esecutivo non teme nemmeno di scavalcare il parere, favorevole agli inglesi, di una propria commissione interministeriale.

Andrej Babiš a Plzen, durante la campagna elettorale (5 ottobre 2017)

Altrettanto importante poi quanto successo nel 2008. Nel momento in cui la crisi finanziaria globale inizia a far sentire i propri morsi, gli imprenditori stranieri dismettono gli asset del piccolo stato slavo e abbandonano il paese, sarà la Agrofert di Babiš a occupare le caselle lasciate vuote dagli investitori esteri. Un strategia che avrà il proprio fiore all’occhiello nel 2013 con l’acquisto di Mafra dai tedeschi di  Rbvd. Mafra, pagata otto milioni e mezzo di dollari, è una casa editrice proprietaria della versione ceca di Metro, del tabloid Mladá fronta Dnes, il secondo quotidiano del paese e di Lidové noviny, una delle più antiche testate di Praga. A queste voci editoriali Agrofert vi aggiunge un portale online, iDNES.cz, con quattro milioni di lettori mensili, catene radio e televisive. La strategia mediatica si rivelerà un momento importante nella marcia verso il potere di Babiš.

Gli effetti di tanti sforzi culmineranno nelle elezioni del 2013. Al partito del miliardario mancheranno meno del 2 percento dei consensi per diventare la prima forza politica del paese. Oggi il suo fondatore non è solo ministro delle finanze e vice primo ministro. Grazie alla combinazione di potere politico, economico e mediatico, Babiš è il vero deus ex machina della politica ceca. Ciò detto, il ministro delle Finanze è riuscito a farsi apprezzare politicamente. Una realtà difficile da ammettere dai suoi detrattori politici. La sua battaglia contro l’evasione dell’Iva ha permesso alle casse dello Stato di recuperare milioni di corone.

Sotto il suo controllo il debito ceco si è ridotto e ora gli investitori pagano il privilegio di poter continuare a conservare i titoli di stato di Praga. Progetti infrastrutturali da tempo impantanati, come la prima autostrada verso Vienna sono in fase di realizzazione. La possibilità di chiudere in pareggio il bilancio del 2019 non appare più un’utopia.

Andrej Babiš nella regione di Vysočině, durante la campgna elettorale (27 settembre 2017)

Ciò non toglie che la politica ufficiale di Praga continui a vedere in lui un corrotto, un imbroglione, un filo russo dal passato oscuro, abile solo a usare le risorse pubbliche per acquisire prima ricchezza e poi influenza politica. A queste accuse portate senza prove Babiš risponde ammettendo soltanto che se “la situazione non è normale” non è colpa sua. Grazie alla sua potenza economica e mediatica potrebbe “gestire il potere restando nell’ombra, utilizzando fantocci politici”. Ma, sostiene, “non sarebbe giusto”. Rivendica invece il dovere di agire alla luce del sole in modo che “tutti possano vedere e giudicare” quello che fa.

Soprattutto non vuole essere confuso con i primi ministri di Ungheria e Slovacchia, Viktor Orban e Robert Fico. E dato che un po’ di vittimismo non guasta mai, a chi gli chiede come sta, risponde “ancora in vita”. Nella sua visione del mondo cospirazionista il magnate vede complotti ovunque. “Un mucchio di gente mi vuole uccidere” sostiene l’uomo che il 22 ottobre potrebbe essere il nuovo premier ceco. Nessuno gli crede. Alla fine però la polizia gli ha concesso la scorta. Il motivo? Vi è chi minaccia alla vita di Andrej Babiš.

Andrej Babiš. Come si costruisce un leader ultima modifica: 2017-10-21T08:07:51+02:00 da FRANCESCO MARIA CANNATÀ
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