Spagna-Catalogna, uno scontro tra due treni. Si può evitare?

La crisi iberica si fa frenetica, è sempre più difficile trovare un senso e ipotizzare gli sviluppi, visto che i suoi protagonisti sembrano agire senza nessuna logica spiegabile da parametri come la convenienza o la razionalità politica, inseguendo una visione di parte che non si cura dell’interesse del paese.
ETTORE SINISCALCHI
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La Spagna sprofonda in quella è ormai la peggiore crisi politico-istituzionale della storia della sua giovane democrazia. Una crisi frenetica, nella quale è sempre più difficile trovare un senso e ipotizzare gli sviluppi, visto che i suoi protagonisti sembrano agire senza nessuna logica spiegabile da parametri come la convenienza o la razionalità politica, inseguendo una visione di parte che non si cura dell’interesse del paese.

Una crisi i cui principali responsabili sono il governo catalano, in particolare nella sua azione dal sei settembre ad oggi, e il governo spagnolo di Mariano Rajoy, il cui ottuso tentativo di impedire con la forza un referendum che aveva ormai solo un valore simbolico e la cui gestione di queste ore dell’applicazione dell’Articolo 155 illumina della sinistra luce dello stato di eccezione i proclami di difesa della democrazia e della Costituzione con cui ha risposto alla sfida del referendum illegale catalano.

Seguire l’evoluzione della vicenda mette a dura prova il mestiere dei cronisti, e la pazienza dei lettori, davanti al flusso di atti e dichiarazioni che si contraddicono a ripetizione.

Sabato scorso il governo, dopo aver trovato l’appoggio di Ciudadanos e, soprattutto, del Psoe nella richiesta di applicazione dell’articolo 155, ha annunciato le misure. Educazione, media pubblici catalani, Mossos, praticamente tutti gli ambiti di responsabilità dell’Autonomia cadrebbero nella rete del commissariamento e il Parlament, che non verrebbe commissariato, resterebbe però notevolmente menomato nella sua capacità legislativa. Una doccia fredda per un Psoe che aveva appoggiato un 155 “breve e chirurgico”, col principale scopo di riportare l’Autonomia al voto nei tempi più rapidi possibili.

L’imbarazzo socialista è stato immediato e così anche le reazioni interne. Quattro sindaci del Psc hanno sottoscritto un comunicato per esprimere il “più radicale disaccordo e rifiuto” delle misure proposte, chiedendo al partito che si opponga “frontalmente” alla proposta di applicazione del 155 in questi termini. Tra loro anche la sindaca di Santa Coloma de Gramenet, Núria Parlón, membro dell’Esecutivo federale del Psoe, che si è anche dimessa dalla Direzione nazionale socialista nella quale ricopriva la carica di segretaria per la Coesione e integrazione.

Mercoledì scorso poi Mariano Rajoy è andato alla Camera e ha respinto ogni ipotesi di blocco del meccanismo del 155 anche in caso di scioglimento del Parlament catalano e di indizione nuove elezioni. Per Rajoy il commissariamento non può essere fermato a meno che, forse, il presidente catalano Carles Puigdemont, vada a piedi a Madrid col cilicio e chiedendo perdono per i suoi peccati. Per i popolari l’avversario deve essere umiliato.

Anche i tempi del voto catalano non sono definibili in anticipo – sei mesi, di più? – in un commissariamento della Catalogna non conosce potenzialmente confini. Una svolta accolta con indignazione dalla direzione socialista.

Questo è ignorare i nostri accordi col governo, hanno fatto sapere i socialisti, e non si può giocare né imbrogliare in una situazione tanto grave, [confermando la loro contrarietà al 155 se il Govern scioglie il Parlament e indice elezioni, una soluzione aperta] fino all’ultimo minuto.

L’intervento di Rajoy è stato preceduto e accompagnato da dichiarazioni di alti dirigenti dei popolari che evocano scenari inquietanti, come l’applicazione della Ley de Partidos a partiti e associazioni che si dichiarano o possano essere accusate di essere indipendentiste. Una legge nata sulla scorta dell’emergenza del terrorismo basco e mai applicata al di fuori di quello scenario, essendo anche allora oggetto di pesanti critiche e perplessità.

E, mentre gli arresti dei dirigenti della Assemblea nazionale catalana e della Òmnium Cultural, Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, avvenuti il 16 ottobre, fanno dibattere i giuristi se si sia davanti a dei “prigionieri politici”, ipotesi poco affine alla civiltà giuridica europea, si adombra la responsabilità penale per gli atti espressi dai parlamentari catalani nelle loro funzioni. L’inviolabilità e l’immunità parlamentare, sanciti dallo Statuto e dalla Costituzione spagnola, verrebbero stravolti, con il perseguimento di un reato tanto grave quanto indefinito come quello di “sedizione”, che non trova eguali nelle legislazioni europee, neanche nelle più discusse normative antiterrorismo.

Il progetto del governo prevede un commissariamento diretto delle radio e televisioni pubbliche catalane attraverso

gli organi e autorità che verranno giudicati adatti [affinché] garantiscano la trasmissione di un’informazione veridica, obiettiva e equilibrata, rispettosa del pluralismo politico, sociale e culturale.

Quello delle radio e televisioni pubbliche autonomiche è un sistema di informazione dipendente dagli esecutivi che è certamente esempio dell’informazione subalterna al potere politico di riferimento. Vista l’informazione omissiva e vicina all’esecutivo che viene fatta dalla radiotelevisione nazionale spagnola, oggetto di denunce continue da parte dei comitati di redazione di Rtve e palese proprio in occasione degli avvenimenti catalani, quando non son state fatte dirette del primo ottobre e si son selezionate le notizie sulle manifestazioni successive, espellendo quelle relative alle manifestazioni dei contrari alla violenza poliziesca e dei “bianchi” di Hablemos / Parlem, e si è giunti addirittura a modificare nei sottotitoli in spagnolo le dichiarazioni in lingua dei politici catalani, si teme che al governo spagnolo prema soprattutto di sostituire una parzialità con la propria.

Perlomeno è quello che pensano tutte le associazioni di giornalisti, compresi i comitati di redazione della radiotelevisione pubblica spagnola, che hanno denunciato la gravità dell’intervento. In democrazia solo una volta, quando il governo delle Canarie si rifiutò di applicare misure fiscali europee, venne minacciata la sua applicazione, che poi non ebbe luogo. E intanto si moltiplicano le voci di costituzionalisti e giuristi che ritengono, chi incostituzionale questo tipo di 155, che, semplicemente, di difficile se non impossibile applicabilità.

Nelle ultime ore la danza politica ha raggiunto il parossismo. Mentre gli uffici giuridici della Generalitat alternavano pareri circa l’illegalità di una Dichiarazione d’indipendenza (Dui, come amano abbreviare gli spagnoli) a quelli sull’incostituzionalità dell’applicazione del 155 così come prospettata dal governo spagnolo, i tentativi di mediazione andavano avanti. Iñigo Urkullu, il Lendakari (presidente) del governo basco, è il principale protagonista dei tentativi di riannodare il dialogo.

Pareva avesse trovato un accordo che prevedeva elezioni catalane il 20 dicembre e il blocco del commissariamento. Mercoledì mattina sembrava certo che Puidgemont sarebbe andato il giorno dopo al Senato a difendere la sua posizione e a illustrare le motivazioni contrarie all’applicazione dell’articolo 155, anche sulla scorta della mediazione basca. A molti che in questi giorni tentano di ricostruire la trama di un dialogo politico istituzionale sembrava l’occasione per rompere l’irresponsabile rimpallo dei governi spagnolo e catalano.

Nel pomeriggio, invece, fonti ufficiali della Generalitat facevano sapere che Puidgemont non sarebbe andato a Madrid né giovedì né oggi, quando è previsto il voto del Senato sulla richiesta del governo. Dopo l’intervento di Marino Rajoy “non c’era più spazio per la mediazione”. Solo ieri, via Burofax, il governo catalano ha mandato le sue motivazioni, a termini orami scaduti ma il Senato le ha accolte ugualmente.

Martedì e mercoledì e sembrava inoltre che Puigdemont si fosse deciso per lo scioglimento del Parlament, quindi per indire nuove elezioni prima dell’applicazione del 155 – alle 13,30 era stata data per certa una comunicazione telefonica in tal senso del President ai soci del Govern. La Candidatura d’unitat popular (Cup) gridava al tradimento del voto popolare. E, nella tarda serata di mercoledì, arrivava la dichiarazione del vicepresidente Oriol Junqueras, di Esquerra republicana de Catalunya (Erc), per il quale il governo “non aveva lasciato altra opzione” che la Dui. Poi sono cominciate a girare le voci delle dimissioni di Santi Vila, “ministro” dell’Impresa del Govern, contrario alla Dui – che prese il posto di Jordi Baiget, destituito da Puigdemont proprio perché ostile all’indipendenza, – e nella tarda serata le quotazioni della secessione erano in discesa. E si è giunti così alla giornata di ieri.

Nella mattinata si è riunito il Senato per iniziare la discussione sul 155, senza Puigdemont che aveva annunciato una dichiarazione istituzionale dal Palazzo della Generalitat per le 13,30. Rimandata prima alle di un’ora, poi di un’altra e alla fine annullata.

Nel frattempo, nell’orario previsto per la prima dichiarazione di Puigdemont, nella Plaza San Jaume, dove affacciano il Palazzo della Generalitat e, dirimpetto, quello del Comune di Barcellona, arrivava la manifestazione degli studenti, contro la repressione e contro l’applicazione del 155, diventata presto contro il voto anticipato e per la Dui. Una manifestazione non troppo numerosa in cui mancavano del tutto le bandiere bianche (il movimento Hablemos/Parlem che si oppone alla deriva dello scontro tra nazionalismi) e forte era la presenza indipendentista, con grida di “Puigdemont traditore” e la richiesta di proclamazione della Repubblica catalana. Faceva uno strano effetto vedere le immagini di giovani che fischiavano una bandiera e ne esaltavano un’altra, urlando slogan da inizio ‘900 che evocano nazione e libertà dall’oppressore.

Nel pomeriggio si è poi tenuta la riunione plenaria del Parlament che si sperava decisiva ma che non lo è stata. Puigdemont e il Govern addirittura non sono intervenuti e hanno solo ascoltato gli interventi dei gruppi politici. Che hanno ribadito le loro posizioni, anche se gli unici a parlare espressamente di Dui sono stati i rappresentanti della Cup. Il segretario del Psc, Miquel Iceta, ha lanciato un appello a Puigdemont perché freni lo “scontro di treni” – le locomotive di Madrid e Barcellona lanciate sullo stesso binario l’una contro l’altra – sciolga il Parlament e si presenti oggi al Senato che continuerà la discussione sul 155 e dovrebbe votare il provvedimento.

So che non sono d’accordo con molto di quello che dirai – ha detto rivolto al President – ma sono disposto a venire con te per riprendere il filo del confronto democratico.

In serata Puigdemont, in una dichiarazione, ha però chiarito che non convocherà le elezioni catalane perché “Non c’è nessuna garanzia che possano prodursi con normalità”, cioè che il Senato non voti comunque l’applicazione del 155. E Santi Vila ha comunicato ufficialmente le sue dimissioni. La dichiarazione lascia aperta ogni possibilità, anche che oggi la prosecuzione della plenaria del Parlament, prevista per mezzogiorno, veda un voto sulla dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Alle dieci è previsto anche il prosieguo dei lavori al Senato.

Intanto, la magistratura a cui la politica ha appaltato le sue responsabilità continua il suo lavoro, investigando i Mossos, per non aver sequestrato le urne del primo ottobre, e la polizia nazionale, per aver perquisito sedi politiche senza ordine del magistrato e per le cariche contro i cittadini ai seggi.

Ieri una periodica eliminazione di documenti dei Mossos è stata impedita da agenti della Polizia nazionale che hanno sequestrato i materiali prima che arrivassero all’inceneritore. E si apprende che nella notte di lunedì sette agenti della Guardia civil in borghese hanno provocato una rissa in un locale del Born, quartiere del centro storico di Barcellona. Secondo le testimonianze dopo aver consumato, visibilmente ubriachi, si sono rifiutati di pagare e hanno iniziato a insultare le persone nel locale, scagliandosi contro un cameriere italiano che scambiava alcune parole con un amico nella sua lingua, erroneamente ritenuta catalano.

Sono le truppe dell’Armada Piolín – il nome in spagnolo del personaggio dei cartoni animati da noi conosciuto come Titti – così chiamati perché ospitati nelle due navi italiane nel porto di Barcellona decorate con le immagini dei protagonisti dei Looney Tunes.

Assieme alle numerose denunce di provocazioni ai lavoratori del porto di Barcellona, sono preoccupanti segnali di nervosismo da parte di agenti che, oramai da un mese, sono alla fonda, chiamati come truppe in territorio ostile.

Nella notte sono continuate, febbrili, telefonate, incontri e pressioni in ogni direzione.
Oggi la tragedia in cui in maniera ridicola sta sprofondando la democrazia spagnola arriverà a un punto. Forse il punto di non ritorno.

Spagna-Catalogna, uno scontro tra due treni. Si può evitare? ultima modifica: 2017-10-27T12:10:22+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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