Venezia, Milano, Roma e poi Torino, Napoli e le altre. Una storia dei luoghi del cinema italiano che, se letta nella controluce di una diversa dimensione, può diventare una appassionata lettura della storia del nostro Paese. A scriverla è Oscar Iarussi, critico cinematografico, autore di vari libri sulla settima arte e, tra l’altro, membro del comitato esperti del Festival di Venezia. Un libro che ci offre spunti di riflessione sugli intrecci spesso non palesi tra cinema, città e storia.
I luoghi della nostra storia
In un viaggio articolato lungo i decenni del secolo scorso, attraverso le suggestioni del cinema d’evasione degli anni Trenta (passato alla storia come il cinema dei “telefoni bianchi”), alle sequenze dure e contundenti del neorealismo di Rossellini e De Sica fino alle oniriche visioni autobiografiche di Fellini, alle preziosità storico-scenografiche di Visconti e ai silenzi delle introspezioni segrete di Antonioni, Iarussi nel suo recente volume (Andare per i luoghi del cinema, Il Mulino editore, 12 Euro) racconta l’Italia attraverso i suoi film, come capitoli della storia, spesso ignorata e a tratti mistificata, del nostro Paese.

Alida Valli in “Senso”, di Luchino Visconti
Senso, Visconti a Venezia
E comincia con Venezia, città onirica per antonomasia, come scriveva lo storico francese Fernand Braudel.
È un sentimento di irrealtà, prossimo al mondo dei fantasmi o dei sogni, quello che crea gli incantesimi, i miti, le mille seduzioni di Venezia […].
scriveva Braudel, medievista e fondatore assieme a Jacques Le Goff, della corrente storiografica de Les Annales, citato da Iarussi nel suo libro. E proprio in uno dei luoghi simbolo della città lagunare, il Teatro La Fenice, vennero girate le prime scene di Senso, uno dei capolavori di Luchino Visconti, con i patrioti italiani che lanciano dal loggione volantini con scritte inneggianti alla libertà e all’indipendenza della Serenissima, cinicamente “svenduta” agli austriaci da Napoleone a Campoformio. Senso è un film di amore e tradimenti, con un’Alida Valli al massimo del suo splendore e con scene della battaglia di Custoza che sono vere e proprie inquadrature d’arte. Immagini che rimandano alle tele “di guerra” di Giovanni Fattori e di altri pre-macchiaioli e che ci danno una vivida rappresentazione di quella cruenta battaglia, cominciata sotto i migliori auspici ma conclusasi con una cocente sconfitta.
Miracolo a Milano
Semidistrutta da bombardamenti e lotte fratricide, Milano cerca di risorgere nel difficile dopoguerra e Vittorio De Sica ne fa il teatro di una favola neorealista che a tratti sembra “riandare” a certi racconti surreali di Gogol. In Miracolo a Milano non è difficile riconoscere, nel neonato trovato in un orto, la metafora stessa dell’Italia rinata ancora una volta dalle macerie di una guerra e proiettata verso il futuro di un altro “miracolo”, quello economico che si produrrà a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Una Milano, quest’ultima, dove da parte sua Visconti vuole lasciare il suo segno di artista aristocratico e controcorrente con Rocco e i suoi fratelli (forse il suo capolavoro), la storia di una famiglia lucana trasferitasi nel capoluogo lombardo col suo bagaglio di valigie di cartone, di ingenuità meridionale e forse di una smisurata ed irrealistica bontà che trovano in un giovane e bellissimo Alain Delon un’ideale quanto improbabile personificazione.

Anne Girardot con Luchino Visconti sul set di “Rocco e i suoi fratelli”
La commedia all’italiana, non solo i quattro grandi
È questa l’epoca dei grandi capolavori del cinema italiano con i quattro grandi registi (i già citati Antonioni, De Sica, Fellini e Visconti) che “oscurano” parzialmente le opere di un’altra generazione di registi come Dino Risi, Comencini, Monicelli ed altri che daranno vita ad un’ulteriore stagione di grandi film come Il sorpasso, I soliti ignoti, I mostri, in cui della nuova Italia spensierata e quasi opulenta vengono fatti emergere anche i lati più cinici e grotteschi. E poi c’è Roma, dove tutto nacque. Cinecittà, la Hollywood sul Tevere, già cantiere propagandistico del regime mussoliniano. Una Roma che si trasforma da Città aperta a città dei Poveri ma belli e della Dolce vita prima e quindi in periferico teatro delle tragiche, solitarie quotidianità dei “borgatari” di Pasolini.

Marcello Mastroianni e Anita Ekberg in “La Dolce Vita”, di Federico Fellini
Le storie della Grande Storia
La Storia di un paese si articola in mille storie “minori” che, se raccontate e “illuminate” dal cinema, contribuiscono in notevole misura alla narrazione generale di un paese. Il cinema è dunque lo specchio (qualche rara volta deformante) anche della storia del nostro Paese. Ovviamente, Iarussi non ha potuto citare nel suo racconto tutti gli intrecci segreti di tante altre città con le vicende storiche, la letteratura e il cinema stesso. Ricordando ancora una volta De Sica, ci vengono in mente due suoi film dedicati a due tragedie italiane del secolo scorso. La Ciociara, tratto dal romanzo di Alberto Moravia e Il giardino dei Finzi Contini, dal libro autobiografico di Giorgio Bassani.
Degli stupri di massa delle donne della Ciociaria, novantamila donne dai cinque agli ottantasei anni violentate da parte dei marocchini del corpo di spedizione francese (Sophia Loren li chiama genericamente “turchi” nel film del 1961) si sapeva, ma per decenni si preferì tacere. Un velo pietoso su quella che a molti apparve una “vendetta” dei francesi contro l’Italia.
Sull’immane tragedia della Shoah, al contrario, si sapeva molto se non tutto già in quegli anni. Ma il film di De Sica, poi aspramente criticato dallo stesso Bassani che volle disconoscerlo (un incidente di cui tutti avrebbero fatto volentieri a meno), ha il merito di parlare della comunità ebraica di Ferrara, delle sue specifiche ricchezze culturali e della sua persecuzione, tema che era stato in parte trattato anche da Florestano Vancini nel suo bel film La lunga notte del ’43 (1960).

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