Zaia, i tre milioni di voti e il “federalismo” all’italiana

Dopo il risultato del referendum sull’autonomia, Luca Zaia deve decidere che fare con quei tre milioni di voti. E, intanto, tra i calcoli politici, le strategie elettorali e le elezioni siciliane, le riforme istituzionali potrebbero fare capolino. Di nuovo.
LUIGI COVATTA
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Dicono che quando nel 1947 Giancarlo Pajetta gli comunicò che, per protestare contro la destituzione del prefetto nominato dal Cln, aveva occupato la prefettura di Milano, Palmiro Togliatti rispose: “E adesso che te ne fai?”. Il “Migliore” era noto per il suo freddo cinismo: ma in questo caso si trattava solo di una saggia valutazione dei possibili sbocchi dell’impresa. Luca Zaia non è sicuramente il “Migliore”, e probabilmente non dispone della sua stessa saggezza: ma anche lui, la sera del 22 ottobre, si deve essere chiesto che cosa farsene dei suoi tre milioni di voti.

Proclamare la secessione? Si rischia di invecchiare in qualche villaggio fiammingo in compagnia di Puigdemont.

Seguire l’esempio di Maroni e telefonare a Gentiloni per fissare un appuntamento? Troppo poco per valorizzare un patrimonio di schede cartacee e non virtuali.

Rivendicare il pieno federalismo fiscale? Argomento scivoloso, visto che proprio il ministro Calderoli lasciò inattuata la delega prevista dalla legge 42 del 2009 che doveva regolare le questioni relative alla ripartizione dei tributi.

Festa davanti alla Basilica Palladiana a Vicenza, dopo il risultato del referendum sull’autonomia

Perciò Zaia ha deciso di buttarla in propaganda, e l’ha sparata grossa chiedendo l’autonomia speciale. È un tema particolarmente popolare in una regione che confina col Trentino e col Friuli e che quindi soffre della disparità di trattamento rispetto alle due regioni a statuto speciale: ma è un tema che ha soprattutto il vantaggio di indicare una prospettiva non immediatamente verificabile, visto che le procedure per la necessaria revisione costituzionale, com’è noto, sono lunghe e complesse.

Nel frattempo, però la rivendicazione di uno statuto speciale funziona benissimo come bandiera (un po’ come per Pajetta funzionava l’imminente avvento di “Baffone”): e se e quando il Parlamento aprirà il dossier senza magari chiuderlo si potrà sempre protestare contro Roma ladrona e le lungaggini della casta.

Non moltissimo, ma quanto basta per la campagna elettorale dell’anno prossimo e soprattutto per strappare qualche collegio in più a Forza Italia.

Peccato per Zaia, però, che Berlusconi abbia surclassato il suo colpo a salve con i fuochi d’artificio. Come definire altrimenti, infatti, l’idea di celebrare un referendum in ogni regione perché ciascuna di esse abbia uno statuto speciale? E come non accorgersi che con il suo colpo di teatro il Cavaliere, facendo todos caballeros, ha annullato la “specialità” pretesa dal Veneto (ed anche, va detto, quella di cui godono Trentino, Friuli e Val d’Aosta)?

Matteo Salvini e Luca Zaia

Frattanto non mancano le reazioni delle regioni meridionali. A parte Emiliano, la cui fantasia non va oltre l’imitazione, Enzo De Luca ha messo subito i piedi nel piatto rivendicando una più equa ripartizione del Fondo sanitario, mentre il suo predecessore, Stefano Caldoro, ha raccolto l’assist offertogli da Berlusconi per impostare una manovra di ben altro respiro rispetto a quella improvvisata da Zaia. Ha infatti riportato all’onor del mondo un’ipotesi – quella delle macroregioni – che un tempo era stata un cavallo di battaglia della Lega, ma che più di recente aveva riscosso attenzione da tutt’altre parti: per esempio dalle parti di Giorgio Ruffolo, che qualche anno fa (“Un paese troppo lungo”) ne fece il perno di una nuova strategia meridionalista. Ed anche dalle parti della Società geografica italiana, che nel 2015 – nel contesto di un’approfondita ricerca sulla governance locale – le prevedeva, insieme con la sostituzione delle province con una trentina di dipartimenti.

In questo caso non si tratta né di colpi a salve né di fuochi d’artificio: per cui sarebbe auspicabile che se ne occupassero seriamente anche i concorrenti del centrodestra. Magari non gli avatar di Casaleggio, che si sono visti passare davanti la democrazia diretta senza neanche accorgersene. Ma almeno il Pd, la cui afasia in questa circostanza è stata giustamente deplorata da più parti.

È un’afasia che peraltro si manifesta anche rispetto all’imminente voto siciliano, che pure offrirebbe abbondante materia di riflessione sulle autonomie “speciali” e sul federalismo all’italiana: quello per cui Calderoli, quand’era ministro, interpretando a suo modo il principio di sussidiarietà decentrava gli uffici delle Amministrazioni centrali a Monza invece di smantellarli a Roma.

Roberto Maroni e Luca Zaia

L’autonomia siciliana è infatti lo specchio di questo “federalismo”, inteso piuttosto a rivendicare risorse dallo Stato che ad esercitare responsabilmente l’autonomia impositiva. Ma anche il sindaco di Milano, due giorni dopo il referendum, ha chiesto l’intervento del governo centrale per rinnovare niente di meno che le caldaie condominiali, colpevoli di alimentare lo smog. Il Pd avrebbe tutto lo spazio che vuole, insomma, per riprendere palla in materia di riforme istituzionali, dopo il calcio di rigore subito il 4 dicembre.

A quanto pare, infatti, col voto sulla riforma Boschi il popolo sovrano non ha perso la voglia di riforme istituzionali. E questa volta ci sarebbe l’opportunità di farle nascere “dal basso”, cioè dal voto di due importanti regioni che implica comunque (lo sappiano o no Zaia e Maroni) un riassetto istituzionale anche per quanto riguarda lo Stato centrale: forma di governo compresa,visto che non è immaginabile nessun autentico federalismo senza che a Roma ci sia il contrappeso di un governo stabile ed autorevole.

Sono temi che il Pd avrebbe dovuto mettere all’ordine del giorno della sua Conferenza programmatica, anche per diradare il polverone che si è alzato sulla riforma elettorale e per legittimare nelle urne un’eventuale riedizione del patto del Nazareno. Ma sembra che Renzi sia stato colpito dalla sindrome di Bonucci e pensi che per vincere bastino le gomitate.

Zaia, i tre milioni di voti e il “federalismo” all’italiana ultima modifica: 2017-10-31T18:38:54+01:00 da LUIGI COVATTA
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