Diceva Jean Jaurès, una delle figure simbolo del socialismo francese, che del passato si dovrebbero riprendere “i fuochi, e non le sue ceneri”. I suoi eredi sembrano essersene dimenticati, oggi che sono avviluppati in un complesso tentativo di comprendere che fare del Parti socialiste.
Volgersi al progetto di Mélenchon? Abbracciare il macronismo? Trovare un equilibrio, se v’è lo spazio, tra Macron e La France Insoumise? Nessun’idea all’orizzonte. Nessuna leadership riconosciuta. Una crisi già vista, che di volta in volta colpisce i vari partiti socialdemocratici europei, sempre più rilegati a ruoli marginali. E nel vuoto le “ceneri” continuano a occupare lo spazio: come François Hollande che, rinvigorito dall’intervista del presidente Macron a TF1, pensa a organizzare i suoi fedelissimi in vista del prossimo congresso del Ps. Quasi una tortura cinese per i socialisti rimasti nel partito. Che sono ormai pochi. Divisi. E soprattutto senza soldi.

Olivier Faure, al centro, in occasione del dibattito sulle ordinanze della Loi Travail
Le divisioni nel Ps ci sono sempre state, come in tutti i grandi partiti. Appunto i grandi partiti. Il Ps oggi non è più un grande partito. Alle comunali del 2014, Hollande presidente, i socialisti hanno perso centosessanta città con più di diecimila abitanti, passando da cinquecentonove a trecentoquarantanove comuni. Alle presidenziali il candidato socialista, Benoit Hamon, ha fatto il 6,36 per cento dei voti. Alle legislative, i socialisti eletti sono stati ventotto (erano duecentosettantacinque nella legislatura precedente), il peggior risultato di sempre. Gli iscritti al partito sono in diminuzione, anche se a oggi non se ne conoscono realmente le cifre (centoventimila secondo il Ps, dimezzati rispetto al 2007, quarantaduemila secondo Le Canard Enchaîné).
La situazione del gruppo parlamentare poi non è tanto rosea. Il gruppo è guidato da Olivier Faure, eletto dagli altri parlamentari contro Delphine Batho, socialista Macron-compatible. Prima scelta di Faure: eliminare la parola socialista dal gruppo, che oggi si chiama Nouvelle Gauche. Gruppo iscritto all’opposizione. Ma non del tutto. Nove deputati del gruppo fanno parte della maggioranza presidenziale. In occasione del voto di fiducia al governo di Edouard Philippe, tre votano la fiducia, ventitré si astengono e solo cinque votano contro. Non bisogna dimenticare che molti dei deputati socialisti sono stati eletti con il sostegno esplicito de La République en marche (LREM), altri con il sostegno indiretto: il movimento di Macron ha acconsentito a non presentare dei candidati in alcuni collegi. I due candidati alle primarie socialiste poi hanno lasciato il partito: Manuel Valls siede tra i banchi del movimento di Macron, Benoit Hamon, sconfitto anche alle legislative, ha fondato un suo partito, che guarda a Mélenchon.

Stéphane Le Foll, a destra, alla Direzione del Ps (settembre 2017)
Non che i socialisti si trovino a gestire una situazione difficile per la prima volta. Tuttavia, la novità è che il patto di Epinay, che ha retto dal 1971 e che teneva assieme la destra e la sinistra del partito, oggi non esiste più. Liberi tutti. Morto? È molto probabile che quello sia il suo destino. Ma ne vedremo la lunga agonia. A cominciare dalla riduzione dei fondi a disposizione.
Il risultato delle legislative ha infatti comportato una drastica diminuzione dei finanziamenti. Qualche giorno fa il Ps ha dovuto licenziare sessanta persone che lavoravano presso la sede di Rue Solférino. Sono passati da un budget di ventotto milioni di euro per anno a otto milioni, una perdita di cento milioni di euro in cinque anni. Il monte stipendi è di circa dodici milioni di euro all’anno. Talmente difficile è la situazione che i socialisti hanno deciso il grande passo: la vendita della storica sede di Rue Solférino, che occupano dal 1980. Più di tremila metri quadrati nel settimo arrondissement di Parigi, tra il Museo d’Orsay e l’Assemblée nationale, la sede era già stata ipotecata per finanziare la dispendiosa (e infruttuosa) campagna elettorale di Benoit Hamon. I socialisti dovrebbero trarne tra i cinquanta e i sessanta milioni di euro. Ha detto il tesoriere del Ps che
Se il Parti socialiste vuole ricominciare, essere all’altezza, riuscire nel suo congresso, investire nelle federazioni locali, allora bisogna avere i mezzi per farlo, piuttosto che conservare un monumento.

da @BLANCKARTVENOM 18 ottobre Un uomo, solo, con una t-shirt rosa, troppo grande, attraversa il cortile vuoto della sede del Partito socialista in rue de Solférino
Ma ogni simbolo crea un legame profondo con le persone. Per molti perdere Solférino significa perdere ciò che resta del partito di Mitterrand. E la scelta della nuova sede sembra essere “questione immobiliare” fonte di ulteriori discussioni tra le anime del partito: chi suggerisce di spostare la sede nelle banlieues parigine, altri che vorrebbero tenerla nel centro città.
Meno soldi significa anche meno sedi a livello locale. Significa cambiare gli strumenti della militanza politica. Significa ripensare il ruolo del partito nella società.
Come una danza macabra attorno al cadavere del Ps, i suoi dirigenti tuttavia non smettono di muoversi e di organizzare incontri. Anne Hidalgo, la sindaca di Parigi, è tra le più attive. Dopo la vittoria ottenuta con l’attribuzione delle Olimpiadi del 2024 alla capitale francese, Hidalgo è sempre più presente negli ultimi tempi sui giornali e sulle riviste: la sua proposta di eliminare entro il 2030 le automobili a benzina dal centro di Parigi ha ottenuto una grande eco. Ma è amata soprattutto a Parigi (e non fa l’unanimità nemmeno nella capitale francese). L’altro è Stéphane Le Foll, ex ministro dell’agricoltura e uomo di fiducia di Hollande, eletto con l’astensione benevola di LREM nel suo collegio. Per ora si è limitato ad attaccare Hamon per le spese della campagna elettorale e a proporre il cambio del nome del partito, Les socialistes, per eliminare la parola “partito” che di questi tempi suona male.
I socialisti francesi si trovano nell’impasse di molti altri partiti della sinistra di governo in Europa. Se un tempo i socialisti si confrontavano con la necessità di attirare nuovi elettori, senza perdere i propri elettori di base, oggi, senza idee e senza voti, hanno difficoltà a capire quali dovrebbero essere questi elettori. In effetti il problema è che i socialisti dovrebbero conoscere i loro elettori di base. E se questi sono gli strati popolari, il Ps non li conosce affatto.

Michel Rocard (al centro) e i suoi collaboratori. Si riconoscono Benoit Hamon (a sinistra), Jean-Christophe Cambadélis (il dimissionario segretario del PS), Jean-Luc Mélenchon, Pierre Moscovici (Commissario europeo agli affari eocnmici e e monetari) e Manuel Valls (a destra)
Nel Ps, l’erosione del voto popolare non è recente e data all’ultima fase della presidenza di Mitterrand. Per quanto derisa dal suo stesso partito, solo Ségolène Royal recentemente aveva invertito la tendenza, riconquistando al Ps il primo posto tra i dipendenti pubblici e privati e gli operai all’epoca dello scontro con Nicolas Sarkozy. Da tempo però il Ps ha imboccato la strada dei ceti urbani, dei funzionari e dei pensionati. Nulla di male. Tuttavia non ha nulla da dire ai giovani, ai dipendenti del settore privato, agli operai, a chi vive fuori dei centri urbani. E, come si è visto, quest’ultimi gli hanno preferito altri partiti. Tendenze europee degli ultimi due decenni, non solo francesi.
Tra un elettorato più volatile che mai e la tradizione elettorale che non conta più molto, oggi il Ps si trova di fronte a due soluzioni: o si radicalizza, spostandosi nettamente a sinistra e in opposizione totale a Macron, o cerca uno spazio tra Macron e Mélenchon per una sinistra riformista. Entrambe le soluzioni sono di difficile attuazione. Nel primo caso il rischio è quello di essere fagocitati da Mélenchon, nel secondo caso di non essere sufficientemente forti per resistere all’urto della coppia Macron-Mélenchon. Forse l’iniziativa non verrà dai socialisti. Forse saranno proprio La France Insoumise o LREM a decidere delle sorti del Ps e a dividersene le spoglie.

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