Domenica 5 novembre si vota in Sicilia e lo sanno tutti perché, nel bene o nel male, quel voto avrà ripercussioni pesanti sugli equilibri politici nazionali. Ma si vota anche a Roma, nel decimo municipio, e sembrerebbe una cosetta da niente se non fosse che quel municipio (Ostia, Ostia antica, Acilia ed altri centri minori per un totale di circa trecentomila abitanti) è da due anni commissariato per mafia, è tradizionalmente un serbatoio di voti per la destra, e che i tempi sono tali da rappresentare per Virginia Raggi una sorta di giudizio di mid term.
E a questo punto devo andare sul personale, perché io, incallita elettrice di sinistra, questa volta non andrò a votare. Nonostante la destra sia minacciosa come non mai, visto che i sondaggi profetizzano un travolgente successo addirittura di Casa Pound, non a caso sostenuta pubblicamente da una delle famiglie mafiose più importanti della zona. Nonostante la ritrovata unità del centro destra classico, con Forza Italia e Lega unite nel sostenere la candidata di Fratelli d’Italia. Nonostante la consueta aggressività dei cinque stelle.
Il fatto è che davanti a tutto questo la sinistra è riuscita a dividersi in tre tronconi: il Pd candida il simpatico vecchio Athos De Luca, Mdp e Insieme hanno deciso di appoggiare Franco De Donno, ex vice parroco che si è fatto sospendere “a divinis” per dedicarsi alla politica, mentre Sinistra Unita presenta Eugenio Bellomo.
Perché mai allora dovrei andare a votare? Per immergermi nella rissa a sinistra scegliendo uno o l’altro dei contendenti? Nessuno può vincere in queste condizioni e i regolamenti di conti interni non mi interessano. Mi interesserebbero le strategie e i progetti, e non dubito che ognuno dei concorrenti ne abbia in abbondanza. Se ne avessero parlato prima, se li avessero amalgamati e coagulati in una piattaforma comune in modo da entrare in partita, allora avrebbe avuto senso il mio voto. Ma purtroppo così non è.
Eppure Ostia è un riassunto efficace dei mali italiani. C’è il mare, ma non si vede. Letteralmente, perché, tranne un breve tratto, la visuale è chiusa dai muri degli stabilimenti balneari. C’è una forte densità di immigrati, per lo più integrati, che comunque innesca reazioni spesso apertamente razziste. C’è una pesante presenza della criminalità organizzata. Ci sono aree povere e degradate che fanno da incubatrici per il malessere e la devianza giovanile.

Eugenio Bellomo, al centro, in camicia gialla
Sono problemi di stretta attualità. Trovarli riuniti in uno stesso luogo dovrebbe attivare i cervelli migliori e stimolarli a cercare soluzioni nuove, a elaborare progetti pilota da esportare in altre aree del paese. Tutta materia, in altri tempi, per la sinistra migliore. E invece no. Invece siamo qui a scegliere tra De Luca, De Donno e Bellomo, mentre la destra fiuta il trionfo e propone pogrom contro gli immigrati.
Non pretendo di rappresentare le motivazioni di tutti gli astensionisti di sinistra. In fondo chi scrive è una giornalista che ha mangiato pane e politica per tutta la vita. Però di solito gli elettori di sinistra sono piuttosto avvertiti, non si accontentano facilmente. Sono in tanti, siamo in tanti, a cercare casa. Lo ha detto Bersani, ed è una cosa giusta. Ma il rancore non è una casa, come non lo è l’autismo renziano.
Non andrò a votare, dunque. Vincerà la destra? Me ne rammarico, ma forse è questa l’unica strada. Perché poi, forse, dalle macerie della sinistra qualcosa nascerà.

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