Un misticismo infiorato di mito e di mistero

"Simbolismo mistico - Il Salon de la Rose+Croix a Parigi 1892–1897" è il titolo della mostra appena inaugurata negli spazi degli eventi temporanei della Guggenheim Collection di Venezia. Una primizia museale assoluta, centotrent’anni dopo gli avvenimenti di cui sono state protagoniste le sei edizioni annuali dei Salon citati nel titolo
ENNIO POUCHARD
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Simbolismo mistico – Il Salon de la Rose+Croix a Parigi 1892–1897 è il titolo della mostra appena inaugurata negli spazi degli eventi temporanei della Guggenheim Collection di Venezia, sede periferica dell’omonimo Museum di New York, dove le opere sono state esposte fino a quindici giorni prima.

Scorcio dell’esposizione veneziana

Scorcio dell’esposizione veneziana

Curata da Vivien Greene – Senior Curator a New York per l’arte del XIX e primo XX secolo – con il supporto di Ylinka Barotto – Assistant Curator – e aperta fino al 7 gennaio, è una primizia museale assoluta, centotrent’anni dopo gli avvenimenti di cui sono state protagoniste le sei edizioni annuali dei Salon citati nel titolo, allestite inizialmente nella prestigiosa Galerie Durand-Ruel, quidi in sedi diverse anno per anno, e organizzate dallo scrittore-critico d’arte Josephin Péladan (Lione 1859 – Neuilly-sur-Seine 1918), autore di diciannove romanzi, vari saggi di estetica e alcune tragedie.

Joséphin Péladan ritratto da Marcellin Desboutin, 1891 (2° Salon), Musées d’Angers

Spinto dall’influenza del padre –cattolico e politicamente legittimista, adepto di un’organizzazione neo-cavalleresca ispirata all’ordine di Malta – e del fratello maggiore – studioso di scienze occulte e affiliato al gruppo della Rose+Croix di Tolosa – questo complesso personaggio si dedicò anima e corpo all’Ordre de la Rose+Croix du Temple et du Graal.

Una parentesi: il leggendario Graal era la coppa di legno d’olivo in cui Giuseppe d’Arimatea, discepolo del Salvatore, ne aveva raccolto il sangue, portandola poi, , nel 63 d.C., per salvarla, fino a Glastonbury Tor (l’isola di vetro), sulle coste britanniche; ma la storia non finisce qui. Giunta, non si sa come e quando, nel Galles, lì si trovava ancora nel 1952, quando morì l’ultimo membro della dinastia che proteggeva il tesoro, lasciandolo, secondo alcuni in mani sconosciute.

Rogelio de Egusquiza, El Santo Grial, 1893 (5° Salon), Collezione Jean-David Jumeau-Lafond, Parigi

Quell’Ordre de la RoseèCroix era una confraternita segreta ed esoterico-cattolica fondata da Péladan con moventi religioso-estetici e radici nel misticismo e nei riti arcani, destinata a divulgare le verità universali e raggiungere l’illuminazione. Lo scopo finale era di promulgare nell’arte e nella chiesa il ritorno a una bellezza ideale: condizioni irrinunciabili per salvare la civiltà occidentale dal declino e dalla dissoluzione. Scelto il significativo motto Ad rosam per crucem, ad crucem per rosam, se ne proclamò il supremo sacerdote, o, nell’antico idioma caldeo, il “Sâr”.

Per propagandare l’associazione, Péladan scrisse un articolo, che Le Figaro pubblicò il 2 settembre del 1891, nel quale osannava l’energia esplicata congiuntamente da un gruppo di artisti (Rose+Croix), di volontari (Le Graal) e di credenti (Collége), operanti nell’ambito di un Secrétariat retto da lui stesso.

In sei anni, nei suoi Salon ospitò come “discepoli” duecentotrenta tra pittori, scrittori e compositori, provenienti da Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Olanda, Spagna, Stati Uniti e Svizzera. Tutti dediti a forme d’arte le cui tematiche, legate a mitologia, immaginario e mistero, trovavano riferimenti sia negli ideali e stili del Trecento e Quattrocento toscano (Giotto, Fra’ Angelico, Botticelli, Masaccio, Masolino e Leonardo del periodo fiorentino), sia negli stereotipi della “femme fatale” o “fragile”, nelle leggende di Re Artù e, nel contemporaneo, nella poesia proto-simbolista di Charles Baudelaire, nonché in personalità di culto, come Richard Wagner e lo stesso Péladan, in quanto “grande maestro” dell’Ordine. Risentivano in qualche modo delle dottrine teosofiche di matrice esoterica – e perciò devianti dai dettami del cattolicesimo – con le quali il pensiero rosacrociano aveva in comune l’interesse per le verità universali e il rituale come mezzo per arrivare all’illuminazione divina, escludendo ogni rapporto con la laicità, le teorie scientifiche e l’estetica naturalista; e, coerentemente con il costume del tempo, con le donne pittrici.

Le regole erano rigorose e semplici: privilegiavano i dipinti (soprattutto se incentrati su leggende, miti, allegorie e opere letterarie) rispetto alle sculture e ai disegni (se di architetture, limitati però a castelli da fiaba o templi, di non importa quale fede); niente soggetti storici, nature morte, scene o vedute campestri o domestiche (animali compresi), paesaggi (se non idealizzati) e ritratti (se non dei due citati personaggi di riferimento).

Dei Salon, il primo ebbe un successo indiscutibile nel mondo dell’arte: supportato dall’influente conte Antoine de La Rochefoucauld, vi presenziarono eminenze come Émile Zola, Puvis de Chavanne, Gustave Moreau e Paul Verlaine, ne parlarono i giornali e la rivista simbolista Mercure de France. Per le edizioni successive, però, benché la qualità rimanesse immutata l’interesse e la risonanza decrebbero; e in seguito fatalmente si estinsero.

I RIFERIMENTI STORICI

Gli ideali di Péladan risalivano a quelli della medievale società segreta dei Rosacroce e ammettevano sia certe forme di occultismo – che attualmente risultano non chiare, a causa, per esempio, del frequente amalgama con le storie di Cavalieri detti una volta Templari, un’altra del Graal – sia le propulsioni simboliste allora in voga. Dell’accolita in questione – ermetica ma senza riferimenti precisi – si argomentava nel duecentesco “Rosarium philosophorum”, testo alchemico attribuito ad Arnaldo da Villanova, famoso medico e alchimista, e in vari esempi di letteratura esoterica successiva. Di un vero e proprio “Ordo Rosae Crucis” si parla invece nel 1614, nell’opuscolo di autore ignoto “Fama fraternitatis Rosae Crucis”, edito a Kassel. L’attributo è ripreso dal nome del presunto fondatore, il nobile tedesco fattosi monaco luterano Christian Rosenkreutz morto, centoseienne, nel 1484 (da cui l’aggettivo Rosenkreutzer da noi tradotto in “rosacrociano”, e il nome Cristiano Rosacroce). Centoventi anni dopo, ignoti seguaci, riesumato il suo corpo, lo trovarono integro, tra simboli e oggetti iniziatici, a conferma dei suoi ideali mistico-gnoseologici, per approfondire i quali avrebbe compiuto dei viaggi nel Medio Oriente – a Damasco e in Terrasanta, applicandosi all’occultismo. In assenza di documentazioni storiche attendibili, tuttavia, la sua figura è ritenuta leggendaria da alcuni studiosi contemporanei; e, per non pochi degli adepti, emblematica degli ideali religiosi, gnoseologici, sociali ed eroici attribuitigli.

Al citato libretto seguirono una “Confessio fraternitatis” nel 1615” e “Le Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz” nel 1616, attribuite al teologo Johannes Valentinus Andreae, pure lui luterano, che testimonierebbero la diffusione delle norme rosacrociane, grazie anche alle varie associazioni esoteriche votate alla ricerca di uno stato morale e spirituale perfetto. Il motivo della “fraternità” stimolò l’organizzazione di circoli o conventicole, con lo sviluppo di affinità per le nascenti logge massoniche (a partire dalla Rosenkreutz tedesca), le cui tracce si ritrovano nell’esistenza di un Cavalierato della Rosa Croce di 18º grado nel “Rito Scozzese antico e accettato” (con sei sedi anche in Italia) e di un “Sovrano Principe Rosa+Croce, Cavaliere Dell’Aquila” al 7º grado del IV Ordine nel Rito francese. Non è difficile arguirne che dell’antica matrice cattolica non sia sopravvissuto più molto.

LA MOSTRA

Nelle sale della Guggenheim Collection sono esposti dipinti, opere su carta e sculture di artisti che hanno partecipato ai sei Salon storici, i cui lavori evidenziano le poetiche sulle quali si basava il Simbolismo del tardo Ottocento; che, non sempre coerenti, possono apparire talvolta anche contrastanti, come risulta evidente negli esempi di Charles Maurin e Jan Toorop che seguono.

Charles Maurin (1846-1919), influenzato forse dalle stampe giapponesi, si esprimeva in una forma realistica insolita, marcando con tratti fortemente evidenziati il contorno dei suoi soggetti. Impersonati da nudi femminili dagli atteggiamenti tra il combattivo e il languido, essi esprimevano metaforicamente pulsioni sociali in una delle tele, con ciminiere fumanti in un paesaggio industriale sullo sfondo e, emergente dalla sommità di una lontana collina, una folla di minatori che sventolavano la bandiera rossa. Sentimenti poetici nascosti, invece, nell’altra, evidenti nel violento contrasto tra un uomo vestito di scuro col volto verdastro, semisdraiato sotto un albero e dall’aria assorta, e la schiera di donne che, emotivamente atteggiate, gli stavano attorno. Qui il motivo è alluso da un sottotitolo, “Les fleurs du mal de Charles Baudelaire”, peraltro non molto inerente.

Jan Toorop (1858-1928), al contrario, aveva scelto due protagonisti familiari – la figliolina di un anno sul seggiolone (“La nuova generazione”) e (forse) la madre, nascosta nell’ombra – e raffigurati immersi in una vegetazione preponderante nelle contorsioni, gli intrecci e i colori; però con un binario ferroviario e un palo telegrafico posti in primo piano, per rompere l’atmosfera fiabesca dell’insieme, riconducendola nel presente.

Jan Toorop, De nieuwe Genertatie, 1892 (1° Salon), Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

Un’altra presenza tipica del contesto è Alexandre Séon (1855-1917), che partecipò alla fondazione della Rose+Croix, restandone fedele collaboratore, e ritrasse Péladan quale “profeta dell’idealità”, mentre nell’Orfeo piangente creava una sintesi perfetta con l’accostamento del molle letto di sabbia, la rude parete di pietra che faceva da fondale e l’impietoso paesaggio marino in lontananza.

Un altro “profeta”, ma “dei tramonti”, fu definito Felix Vallotton (1865-1925), arrivato alla fama negli anni Novanta, prima che con la pittura, con le xilografie: ed è con una delle otto esposte, anch’essa con un tramonto, che lo ricordiamo.

Felix Vallotton, Le beau soir (1° Salon), Musées d’art et d’histoire de la Ville de Genève

Tra i temi più usuali tra i simbolisti – tratti in buona parte dal primitivismo rinascimentale italiano – sono frequenti in modo particolare le varie versioni del mito di Orfeo. Marcel Béronneau (1869-1937), allievo di Moreau, inserito nell’ambito della Rose+Croix e sensibile alle visioni preraffaellite, lo realizzò in una delle sue fantasmagoriche composizioni, interpretandolo in chiave simbolista.

Marcel Béronneau, Orphée, 1897 (6° Salon), Musée des Beux-Arts, Marsiglia

Jean Delville (1867-1953), pittore simbolista, scrittore e dedito a pratiche occultiste, è stato il fondatore del Salon d’Art Idéaliste, vicino sia al Salon de la Rose+Croix, sia al movimento Pre-raffaellita.

Adatto quindi a esprimersi vuoi con i simboli del dolore, …

Jean Delville, Orphée mort, 1893 (3° Salon), Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique. Esposto solo a new York

…vuoi attraverso fantastiche folle iperuraniche.

Jean Delville, Ange des splendeurs, 1894 (4° Salon), Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique

Henri Martin (1860-1943) e Alphonse Osbert (1857-1939), entrambi rosacrociani, si esprimevano invece interpretando la serenità di una religione vissuta devotamente con due giovinette: una già santa, e l’altra, una pastorella; ma anch’essa coronata con l’aureola, simboli entrambe di una celestiale bellezza interiore.

Alle non sempre facili condizioni di vita dell’Ordine ha dato una svolta nel 1915 la costituzione dell’Antiquus Mysticusque Ordo Rosae Crucis‬ statunitense, conosciuto con la sigla AMORC, che si definisce come un “movimento filosofico, iniziatico e tradizionale mondiale, non settario e non religioso, apolitico, aperto agli uomini e alle donne, senza distinzioni di razza, di religione o di posizione sociale”, il cui motto è “massima tolleranza nella più rigorosa indipendenza”, sotto il simbolo di una croce con al centro una rosa rossa.

Il catalogo illustrato dell’esposizione – pubblicato assieme al volume inglese “Mystical Symbolism: The Salon de la Rose+Croix in Paris, 1892-1897” – include saggi della curatrice, Vivien Greene, e di Jean-David Jumeau-Lafond (studioso indipendente ed esperto sui Salon de la Rose+Croix) e Kenneth E. Silver (docente di storia dell’arte alla New York University).

In armonia con l’idea wagneriana della “Gesamtkunstwerk” – l’opera d’arte totale, cui tendevano i progetti di Péladan – la mostra ha un corollario di eventi realizzati grazie alla Fondazione Araldi Guinetti di Vaduz (Principato del Liechtenstein), che inizieranno il 29 novembre in Ca’ Foscari alle Zattere (Tesa 1, Dorsoduro 1392), con la conferenza “La Maternità di Gaetano Previati: dalla Triennale di Milano al Salon de la Rose+Croix di Parigi del 1892”, tenuta dalla storica dell’arte Giovanna Ginex. Seguirà, il 1° dicembre alle 16.30, nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice, un concerto in cui Philip Corner – pianista, compositore e teorico musicale, disegnatore di partiture, artista visivo e calligrafo americano – si esibirà con musiche di Erik Satie, compositore ufficiale dei Salon.

Tutto ciò converge nel fare riconoscere la lungimiranza di Josephin Péladan, volta a cambiare sia il concetto della mostra d’arte, da semplice evento espositivo a occasione di eventi multidisciplinari, sia la sua figura, che da filo-simbolista, e quindi decadentista, quale fin qui apparirebbe, a “personaggio sopra le righe e teatrale”, come afferma Vivien Greene el suo intervento, che anticipa “gli espedienti dei promotori dell’avanguardia, come il fondatore del Futurismo F. T. Marinetti”; il quale, comunque (e così conclude), “proviene direttamente dall’ambiente simbolista”.

Un misticismo infiorato di mito e di mistero ultima modifica: 2017-11-03T22:34:14+01:00 da ENNIO POUCHARD
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