Il romanzo è una Via Crucis, nel territorio soffocato dai miasmi dei prosciuttifici della bassa padana. L’umidità è perenne, vera, uguale nel tempo, in un luogo che non suscita nemmeno nei ricordi la tipica tenerezza della nostalgia: la misericordia del tempo qui non c’è. Una memoria opaca, appiccicosa, chiusa, priva d’aria.
Il protagonista ritorna nei luoghi della sua infanzia. Lavora negli Stati Uniti, conduce una vita di successo da molti anni, e decide di tornare, richiamato per una cena dai i vecchi compagni di scuola. Non troverà il “piccolo borgo antico”, e il ritorno sarà segnato dal ricordo di un branco. Il branco dei compagni di scuola che maltrattano e umiliano il più intelligente e fragile tra di loro. Il narratore ricorda il suo lavarsi le mani, il suo essere un novello Ponzio Pilato, non per aver partecipato concretamente alle umiliazioni di un compagno, ma per avervi assistito come osservatore inerme e incapace di intervenire attraverso un atto, un qualsiasi atto di giustizia a difesa della vittima.
Il romanzo è asciutto, stringato, coinvolgente, privo di parole politicamente corrette. Ha la struttura di un thriller ambientato tra gli ex studenti che in comune hanno orrende bravate e l’intolleranza, l’assenza di pietas della sventatezza. Da adulti tutti rimuovono i fatti, sottovalutandoli, portandoli a livello di sciocche “bambinate”.
Leggendo “Bambinate” ci si avviluppa sulla crudeltà dei bambini, sull’indifferenza degli adulti, sul protagonista che se ne andò lontano, in America, per lavorare come ricercatore. Ma anche in America, dove la situazione è completamente diversa, il solo pensiero che il figlio sia schernito a scuola gli fa mancare il respiro. La storia non si cancella. Per gli altri compagni il protagonista è il più fortunato. Ma, probabilmente, non c’è fortuna nemmeno quando la propria storia cambia.
In fondo non si parte mai, non ci si separa dalla propria vita passata, tanto più se questa è stata condotta con l’indifferenza di chi guarda e non partecipa, di chi non impedisce al branco le storture poiché tra paura e giustizia vince la paura.
È un giallo sulla provincia che ognuno ha dentro, nel cuore di tutti i personaggi, nella mente dell’io narrante e non ci lascia mai, nemmeno dopo tanti anni all’estero. È una prigione senza sconti di pena.
Piergiorgio Paterlini con il suo “Bambinate”, pubblicato da Einaudi, ci porta tutti nel regno dove l’innocenza è solo un mito letterario. I bambini del romanzo, forse i bambini in generale, non sono “innocenti”. Si cita sant’Agostino, De André, Pasolini nella “lettera a Gennariello” a cui scrive
i tuoi coetanei hanno in mano un arma potentissima. L’intimidazione e il ricatto. Il conformismo degli adulti è tra i ragazzi già maturo, feroce, completo.
Il romanzo di Paterlini non consola, e non dà risposte. Interroga, come fanno i libri importanti, lasciandoci pieni di dubbi.
Nessun lettore potrà dire se il protagonista sia nemmeno tornato, se tutto non sia che un lungo sogno sulla colpa generata dall’indifferenza, sui malanni di un mondo chiuso, rappresentato qui dalla provincia, e ci rende consapevoli che qualsiasi mondo può chiudersi, malgrado le esperienze, malgrado la geografia che può portare lontano.

Piergiorgio Paterlini
Un bel libro – dicevamo- avvincente, che non flirta con i lettori e ci lascia riflettere. Sui luoghi…lontani o vicini, che erano e rimangono sempre gli stessi luoghi comuni. La Via Crucis è per tutti, senza via di scampo.
Il romanzo potrebbe essere materiale per un film italiano diverso, diventare una bella sceneggiatura. Da tenere con un registro distaccato, privo delle compiacenze con cui spesso, nel cinema, si racconta la provincia. Noi lo auspichiamo.
Bambinate, di Piergiorgio Paterlini. Einaudi – I coralli – 2017

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