Incontriamo Gianpaolo Scarante in un caffè a campo san Barnaba, in una delle ultime mattinate di sole tiepido che regala l’autunno prima del freddo. Per una semplice, inevitable, associazione mentale la conversazione prende spunto da palazzo di Venezia, la bella residenza a Istanbul dell’ambasciatore d’Italia in Turchia.

Gianpaolo Scarante
Scarante è veneziano. Venezianissimo. E deve essere stato davvero il destino a fargli concludere la sua carriera diplomatica in un glorioso palazzo della Serenissima. Palazzo di Venezia era la residenza del Bailo veneziano dalla metà del XVI secolo sino alla caduta della Repubblica, poi ambasciata dell’impero austriaco sino al 1918. Si trova a Pera nel quartiere di Beyoğlu, che significa “figlio del Bey”, nome che deriva dal veneziano Alvise Gritti, che percorse una fortunata carriera politica alla corte del Sultano e che era appunto figlio del doge Andrea Gritti.
Per quasi cinque anni – dice Scarante – ho avuto la fortuna di vivere in questi luoghi “venezianissimi” e sono felice di aver riportato la “casa bailaggia” agli antichi splendori, restaurandola nelle sue strutture (anche con le stoffe veneziane di Bevilacqua) e riempiendola di vita grazie alle centinaia di eventi, moltissimi dei quali con protagonista la nostra Venezia.

Palazzo di Venezia
Un nesso non solo sentimentale con la sua città d’origine e di residenza. Con Gianpaolo e Barbara Scarante i saloni di palazzo Venezia sono tornati a essere frequentatissimi da veneziani: le università, Ca’ Foscari e Iuav, con decine di conferenze su moltissimi temi; l’Archivio di Stato, che ha presentato le carte del bailo in edizione digitale; la Regione con la presentazione di una serie di volumi sulle fortificazioni veneziane nel Mar Nero; la presentazione della Confindustria di Venezia allora presieduta dall’attuale sindaco Brugnaro; il Porto di Venezia che ha illustrato le nuove opportunità economiche verso l’oriente; i ricevimenti per la grande mostra sui tessuti veneziani al Topkapi inaugurata dai ministri degli esteri di Italia e Turchia; le cinque edizioni del gran ballo di Carnevale, all’ultima delle quali, nel 2015, hanno partecipato oltre 1200 ospiti con splendidi costumi oltre ad artigiani delle maschere, attori goldoniani e i “figuranti” del Cers venuti appositamente dalla laguna.

Il Leone nella corte interna di Palazzo di Venezia, Istanbul
Un’altra curiosa coincidenza del destino ha voluto che – prima di Ankara/Istanbul – fosse ambasciatore in Grecia, un paese, come la Turchia, storicamente collegato e legato a Venezia. Nelle sue esperienze ad Atene e ad Ankara-Istanbul avrà potuto constatare – osservo – la lungimiranza della Serenissima, nelle sue relazioni mediterranee, tanto quanto l’incredibile sottovalutazione che si ha oggi dell’importanza di questo mare e della collocazione cruciale che ha l’Italia – e nell’Italia Venezia e il Veneto – per ragioni storiche, geopolitiche e geoeconomiche…
Per i casi della vita, ho trascorso gran parte della mia vita di diplomatico in paesi dell’area mediterranea. Qualche decennio fa storici e analisti parlavano del Mediterraneo al passato. Si sosteneva cioè che l’area mediterranea avesse cessato di produrre storia e che fosse oramai irrimediabilmente relegata alla marginalità.
I flussi di civiltà più vitali, quelli che producono storia, con quei moti pendolari che ne caratterizzano la geografia, si erano spostati a oriente. Il Mediterraneo non era più attore ma soggetto secondario, destinato a subire quello che avveniva altrove.
Aver decretato troppo presto la morte storica del Mediterraneo è stato un grave errore.La scarsa attenzione dell’Unione Europea per quest’area, pensiamo all’esiguità dei risultati del Processo di Barcellona 1995 e della più recente Unione per il Mediterraneo 2008, è e continua ad essere una grave mancanza di lungimiranza politica.
Dopo moltissimi secoli nel corso dei quali il nostro mare è stato cruciale per molti aspetti della nostra vita, noi ci ritroviamo oggi a dipendere nuovamente da lui, e in maniera drammatica, per la nostra sicurezza, la nostra prosperità e forse per futuro stesso della nostra civiltà europea. Proprio nelle mie esperienze “mediterranee” ho riscoperto la modernità della visione, oggi si direbbe geopolitica, della Repubblica di Venezia dei secoli d’oro: una visione del proprio destino basata su trasporti efficienti, il sistema delle “mude”, e sull’apertura internazionale del commercio, tutto molto attuale.

Chiesa di San Nicola da Tolentino, Venezia
Questi veneziani non finiscono mai di stupire, nella loro disinvolta capacità – deve essere nel loro dna – di essere cittadini del mondo e al tempo stesso cittadini della loro città, a cui restano attaccatissimi, anche quando ne sono lontano, pure nel parlare volentieri la loro lingua – guai definirla dialetto -, come capita di sentire gli Scarante nelle loro conversazioni in veneziano…
I miei primi ricordi veneziani hanno un luogo preciso: la fondamenta dei Tolentini, dove da bambino trascorrevo lunghi periodi nella casa di mia nonna situata al n. 152. L’ingresso dava su di un lungo e per me misterioso androne, che terminava in un giardino confinante con la chiesa dei Tolentini, cui si accedeva per una porta secondaria. Un’antichissima servitù di passaggio obbligava i proprietari a consentire il transito dei fedeli che volevano assistere alle funzioni religiose, cosa che all’epoca avveniva tre o quattro volte al giorno. Ricordo mia nonna Delia, sempre elegante e riservata, che al suono della campanella che annunciava la messa pronunciava sempre in tono impassibile la stessa domanda “è aperto il cancello?”. Da allora cominciai a capire che Venezia è una città diversa dalle altre.
So cha ha fatto il servizio militare nel corpo dei lagunari…
Sì, da soldato semplice. I Lagunari allora avevano il loro comando nella caserma Guglielmo Pepe. Al Lido. Nei mesi trascorsi in quella caserma, un magnifico complesso costruito nel sedicesimo secolo forse dallo stesso Sanmicheli, studiavo quando mi era possibile e mi preparavo al concorso diplomatico.
Ebbi la fortuna di avere un capo intelligente, il suo nome era Gadaleta, che mi aiutò in vista del concorso e m’incaricò di redigere una ricerca storica sulla caserma, che feci con piacere trascorrendo molte giornate all’Archivio di Stato. Parlavo molto con i commilitoni che provenivano da Chioggia, Pellestrina e altri luoghi della nostra laguna, grandi esperti di navigazione lagunare, che sapevano tutto di correnti, maree, conformazione di canali, sesse e secche.
Ho imparato molto su questo argomento e oggi da diportista amante delle nostre isole penso spesso a loro con gratitudine. M’immagino cosa potrebbe diventare il magnifico complesso della caserma Pepe, oggi abbandonato e in rovina: un campus universitario internazionale, attrezzato e collegato con le nostre università, che non avrebbe rivali nel mondo per bellezza e fascino.
Qualche anno prima nella stessa area, la caserma Pepe e l’aeroporto Nicelli sono contigui, avevo seguito il corso e poi conseguito il brevetto di pilota civile di aerei da turismo. Di quel periodo, ricordo le straordinarie visioni mattutine di Venezia dall’alto, incorniciate dal mare e dalle montagne innevate.

La caserma G. Pepe al Lido di Venezia, oggi
A Venezia mi è capitato di sentir parlare con aria di sufficienza dei lidensi, considerati forse solo un gradino sopra “i campagnoli” della terraferma. Lei è lidense… So che è un gioco, solo battute, ma…
Conosco il rapporto complesso che lega Venezia alla terraferma, che ha una lunga genesi storica, ma non avevo francamente mai sentito parlare di una alternatività fra la città e il suo lido. Io amo Venezia e quindi anche le sue isole, in primis quella dove vivo. Non mi stanco mai di girare in barca per la laguna e più la frequento più scopro luoghi e storie straordinarie. Sono convinto che risiedere al Lido possa essere un modo di vivere ancor più compiutamente Venezia, integrandone opportunità culturali e bellezza con altri elementi, la natura, le passeggiate a piedi o in bicicletta lungo la riva del mare, i suoi trecento edifici liberty, un patrimonio bellissimo e unico che non mi stanco mai di apprezzare.

Il Lido di Venezia visto dagli Alberoni
Il ritorno nella sua città potrebbe significare un nuovo inizio se la sua candidatura* alla guida dell’Ateneo Veneto dovesse essere gradita alla maggioranza dei suoi soci. Parliamone. Cominciando da una mia opinione al riguardo. L’Ateneo Veneto è un’istituzione antica e gloriosa della città. Ma ai non veneziani e a chi non lo frequenti o non l’abbia frequentato può dare l’impressione di un luogo del passato più che del presente e ancora meno del futuro.
L’Ateneo è un’istituzione straordinaria che possiede caratteristiche uniche. Quella che apprezzo maggiormente è la sua “democraticità”, il fatto cioè che l’offerta culturale che propone sia così ampia che esso viene frequentato da persone molto diverse fra loro, che si trovano sempre a loro agio nelle sue sale. Questo perché l’Ateneo è caratterizzato da autonomia e da indipendenza culturale: non è politicamente orientato né fa riferimento a cerchie ristrette della società veneziana. L’Ateneo è veramente di tutti e così va conservato. Anche quello che può sembrare una patina, non di vecchio ma di antico, è parte della sua forte personalità e gli consente di parlare con autorevolezza del presente e del futuro di questa Città.

Sala Tommaseo, Ateneo Veneto
Per queste ragioni io sono convinto che la vocazione dell’Ateneo in questa fase storica sia quella di essere punto di riferimento per tutte le forze vive di Venezia. E vi è ancora molto di vivo e vitale in questa città: nel mondo dell’artigianato e dell’imprenditoria, della cultura, della scuola e dell’università, ma anche in quello dell’associazionismo e del volontariato. Ma non solo, esso deve porsi in relazione con quanto vi è oggi di internazionale a Venezia, consolati stranieri, istituti di ricerca e di promozione della cultura greca, francese, tedesca, svizzera, e altro. E inoltre rivolgersi a un mondo non lontano da noi che guarda alla nostra città con grandi attese e sincero desiderio di collaborazione, il Mediterraneo, in particolare l’area dell’Egeo, tutto il bacino storico della civiltà veneziana. Sono certo che l’Ateneo per questo ampio universo di “venezianità diffusa” può diventare un punto di riferimento essenziale, essere la porta per Venezia, divenire una vera piattaforma culturale qualificata di collaborazione e di supporto operativo.

Basket a campo Santo Stefano, anni Ottanta
Da veneziano crede davvero che la sua città abbia un futuro “di città”?
Le sfide che oggi deve affrontare Venezia sono drammatiche, le trasformazioni economiche, urbanistiche a ambientali in atto, la degenerazione del turismo, i pericoli posti dal traffico marittimo, la stessa sopravvivenza di una comunità di veneziani consapevoli. Sono tutti temi estremamente importanti e complessi, che richiedono interventi urgenti. Tra questi il più angoscioso è quello del tessuto sociale in progressiva disgregazione, il ridursi sempre più della comunità civile di veri veneziani, la trasformazione del centro storico in una grande unica “locanda” ad uso turistico.
Bisogna intervenire subito, non c’è più tempo da perdere. Senza attendere interventi salvifici dall’alto, bisogna pragmaticamente partire dal basso: da tutto quello che è ancora vitale in città, che è più di quanto si veda e si immagini. Gli artigiani che ancora resistono, le attività commerciali al dettaglio in progressiva sparizione, le cooperative di giovani che operano tra mille difficoltà, scuole, università ed enti di ricerca, gli imprenditori e i professionisti tentati dal trasferimento in terraferma, ma anche l’associazionismo e il volontariato e molto altro ancora. Ogni forma attiva di partecipazione del tessuto cittadino in ogni campo e ad ogni livello va difesa e sostenuta e vanno ricercate tutte le convergenze possibili, culturali economiche e politiche, fra tutte le forze vive della società civile veneziana.
Torniamo, per concludere, all’inizio della nostra conversazione, alla sua esperienza in Turchia. Con una curiosità, visto che il suo periodo ad Ankara e Istanbul coincide con l’affermazione di Recep Tayyip Erdoğan sulla scena internazionale, ultimamente sempre più come despota mediorientale. Lei deve averlo incontrato più volte. Il personaggio che ormai tutti conosciamo attraverso i media, com’è da vicino?
Nei quasi cinque anni della mia permanenza in Turchia ho incontrato numerose volte Recep Tayyip Erdoğan, prima quando era primo ministro e poi negli ultimi due anni da presidente della repubblica. Pochi mesi prima della mia partenza definitiva dalla Turchia, nel marzo 2015, la visita ufficiale a Ankara e Istanbul dell’allora presidente del consiglio Matteo Renzi mi permise di partecipare a incontri riservati di grande interesse che inclusero tutti i temi bilaterali e dell’attualità internazionale. Nel bene e nel male, Erdoğan è una delle personalità politiche di maggior rilievo della nostra epoca. Politico freddo e istintivo, persegue un disegno molto ambizioso, quello di coniugare i fasti del passato ottomano con la realtà attuale di un paese alla ricerca di una collocazione internazionale più adeguata alla sua potenza economica e alla nuova realtà internazionale del post-guerra fredda. Il tutto amalgamando il nazionalismo e l’islamismo, componenti entrambe fortemente presenti nella società turca. Ho conosciuto le due facce di Erdoğan: quella accattivante e tutto sommato piacevole degli incontri personali e quella di politico duro e assertivo delle sue apparizioni pubbliche. Soprattutto in presenza di grandi platee, egli appare come trasformato, diviene un oratore formidabile, un vero trascinatore di folle.
*Sono tre le candidature alla presidenza dell’Ateneo Veneto
– Programma di TIZIANA AGOSTINI
– CV Agostini e Comitato di Presidenza
– Programma di MARIA CAMILLA BIANCHINI d’ALBERIGO
– CV Bianchini d’Alberigo e Comitato di Presidenza
–Programma di GIANPAOLO SCARANTE
– CV Scarante e Comitato di Presidenza

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1 commento
Generosità di visione, esperienza internazionale, venezianità senza boria
Gianpaolo Scarante ha il profilo giusto per guidare l’Ateneo Veneto nei prossimi anni