La presidente della camera è la vera stella di Campo Progressista? A giudicare da quanto accaduto ieri a Roma si direbbe di sì. L’intervento di Laura Boldrini a “Diversa”, la manifestazione del movimento voluto da Giuliano Pisapia, ha infiammato la platea dell’Auditorium Antonianum di Roma come nemmeno il leader era riuscito a fare pochi minuti prima.
Un incontro, quello di domenica nella capitale, all’insegna di c’era una volta la sinistra italiana.
Ora sono rimaste solo le sue lacerazioni e i suoi contrasti. Dove le idee, i progetti, le interpretazioni nutrite di analisi e di previsione? In questa atmosfera la donna che dal 1998 al 2012 è stata la portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha sottolineato di voler prendere la parola semplicemente per ragionare di “politica con i presenti” e dare il proprio “contributo di idee per favorire la riflessione e il dialogo tra le diverse espressioni del mondo progressista”.
Parole che ricordano quelle dette dalla Boldrini neoeletta deputata nelle liste di Sel, quando chiedeva che la camera bassa del parlamento italiano diventasse “la casa della buona politica”. Una passione questa mai venuta meno alla donna nominata nel 2010 dalla rivista Famiglia Cristiana “italiana dell’anno” per il suo “costante impegno, svolto con umanità ed equilibrio, a favore di migranti, rifugiati e richiedenti asilo”, e della “dignità e […] fermezza mostrate nel condannare […] i respingimenti degli immigrati nel Mediterraneo effettuati” nell’estate del 2009.
Non l’immigrazione è stata però al centro dell’intervento di Laura Boldrini bensì l’altra idea che dal momento dell’arrivo in parlamento e poi della presidenza della camera ne attraversa il linguaggio, la “facoltà di invertire la rotta”. Ora “in un momento come questo” la rotta va invertita rispetto “alle divisioni” che separano “chi ha idee e visioni affini” per i quali sarebbe invece “imperativo” stare insieme. Solo cosi sarà possibile “dare risposte a chi non si sente più rappresentato” che a votare ci va, quando ci va, “solo per rabbia”.
In questo caso la rotta da invertire, la “discontinuità” da affermare, starebbe però nello stesso oggetto da unire: il centrosinistra. Perché per il presidente della camera l’Italia ha bisogno di un “nuovo” centrosinistra che prenda le distanze da “alcune politiche che sono state realizzate finora, hanno diviso e purtroppo non hanno funzionato”. L’unità non può però avvenire per sommatoria di sigle “mettendo un simbolo accanto a un altro simbolo”, in quanto quando questo è avvenuto “non convinto nessuno e non ha funzionato”.
Dunque no a “un’alleanza purchessia”, no a “un’alleanza contro”, ma si a “un’alleanza che funziona” dove le “persone che hanno una lettura comune della società italiana” si mettono insieme per darsi un programma chiaro che parli agli italiani. Lo scopo di un tale raggruppamento sta nella possibilità di “vivere meglio”.
Di fronte a queste premesse, Laura Boldrini tira delle conclusioni sconsolate. Occorre prendere atto che “i presupposti per una coalizione di centro sinistra con il partito democratico” sembrano “purtroppo non esserci”. Purtroppo perché “all’orizzonte ci sono pulsioni xenofobe, estremiste”.
Che fare allora “come convincere chi non va a votare”? la soluzione di questo enigma per il presidente della camera sta “nell’unione di più mondi e diverse componenti culturali capaci di costruire quello che è utile e necessario al paese”. Dismettere un “modello che non ha funzionato per cercarne un altro”. Tante domande cui però non si vedono risposte e non solo nelle affermazioni di Laura Boldrini. Dal Pd bisogna prendere le distanze, affermano a sinistra del partito democratico.
Nessuna riflessione invece su quanto ha fin qui frenato quella forza politica. Cosa gli ha impedito di darsi una identità adeguata, spendibile con più successo nelle nuove condizioni della competizione politica? La destrizazzione del mondo è sotto gli occhi di tutti. E la sinistra appare suonata, abbandonata in piena disfatta. Avvolta in un’atmosfera di cupio dissolvi, minata da auto colpevolizzazioni, la sinistra è stata cieca mentre avvenivano lo smantellamento internazionale delle classi medie e le fratture tra i vincitori e gli sconfitti della globalizzazione. Onestà vuole che si dica come davanti a questo scenario, non vi sia un pensiero politico, di destra o di sinistra, capace di mettere argini.
La destra si sta rifugiando in un sovranismo assurdo. Tante piccole nazioni come possono rispondere a problemi tipo l’evasione fiscale dei grandi colossi del web, che si pongono come le vere, nuove, nazioni? Come credere che i flussi migratori smetteranno solo perché è questo il desiderio di improbabili leader? A sua volta la sinistra ha spesso preferito l’identità all’uguaglianza, la preoccupazione delle minoranze a quelle dei lavoratori. Senza capire che il conservatorismo è un fenomeno dinamico in grado di zigzagare tra ordine e libertà, capace di coinvolgere una parte dei giovani nei propri schemi. Che le rivolte non sono tutte libertarie, ma ne esistono anche di autoritarie.
È un maggio-68 planetario al contrario quello in corso, che non vuole attaccare solo la sinistra, ma la politica di per sé, la rappresentanza in quanto tale. Che non vuole controlli ma chiede disordine per gestire il globo come meglio crede. Il Pd, la sinistra, non hanno una identità adeguata, utile per vincere le elezioni, perché tendono a perpetuare al proprio interno concezioni, di se stesso, del proprio rapporto con gli elettori e con la società italiana, ereditate dal passato e incompatibili con le circostanze attuali. Il presente è un territorio inesplorato impossibile da conoscere con gli schemi del passato.

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