Trent’anni di Slow Food

A Pollenzo - e poi a Volpedo - con Paolo Gentiloni per il trentennale dell'iniziativa che ha cambiato il "food" italiano, e non solo. È il soft power che muove l'Italia
ERMETE REALACCI
Condividi
PDF

Lunedì 20 sarò a Pollenzo, all’Università di Studi gastronomici fondata da Carlo Petrini e da Slow Food, in occasione della visita del presidente del consiglio Paolo Gentiloni, con cui dopo sarò a Volpedo per un’iniziativa sulla valorizzazione dei Piccoli comuni.

A trenta anni dal manifesto dello Slow Food considero Pollenzo uno dei tanti punti da cui l’Italia parla al mondo. Non è la prima volta che con Paolo Gentiloni siamo da Carlin (al secolo Carlo Petrini) nelle Langhe. Ci lega un’antica e solida amicizia. Abbiamo visto la sede dell’Università quando era ancora una villa dei Savoia praticamente in rovina e siamo stati tra i primi “azionisti” (leggi sottoscrittori) di quello straordinario progetto.

Tra le tante occasioni in cui ci siano incontrati in quel suggestivo territorio ce n’è una che ricordo con particolare intensità. Fu quando incrociammo per caso Nuto Revelli sul prato del Castello di Verduno il 19 luglio 1992: mentre stavamo parlando arrivò la notizia dell’attentato che massacrò Paolo Borsellino e la sua scorta. Rimanemmo a lungo in silenzio, piegati dal timore che l’Italia fosse schiantata da quel nuovo e terribile oltraggio. Non è stato così.

Anni prima io ero anche tra i tredici firmatari (un numero che in questo caso ha portato fortuna) del manifesto dello Slow Food, insieme a personaggi molto più importanti di me, alcuni dei quali purtroppo scomparsi.

Ha fatto premio in quella occasione, oltre all’amicizia con Carlin, l’affinità del percorso che portava Legambiente e il nascente Slow Food a proporre un’altra maniera di guardare l’Italia e il mondo. L’attenzione non solo ai tanti problemi aperti (nel marzo 1986 c’è lo scandalo del metanolo e nell’aprile l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl), ma anche alle persone, alle comunità, ai territori. Un’attenzione che segna anche la “mia” legge sui Piccoli comuni.

La convinzione che solo un’economia più a misura d’uomo – si parli di cibo, di agricoltura, di Made in Italy, di cultura o di high-tech – può aiutare un futuro migliore. In fondo un messaggio coerente, ante litteram, con l’enciclica “LaudatoSi”, di cui Carlo Petrini è stato lo straordinario e atipico prefattore. Un messaggio che, con coraggio visionario, Slow Food International ha portato nel mondo con iniziative come Terra Mater. E facendolo ha reso un servizio all’Italia.

Sono da tempo convinto, infatti, che lo spazio dell’Europa, e dell’Italia in particolare, sia quello del soft power: un potere che si basa sulla capacità di influenzare, convincere, affascinare, più che sulla forza della quantità (e magari delle armi). E che questo vale anche in economia: non a caso ho chiamato “Soft Economy” il primo libro, scritto con Antonio Cianciullo, in cui ho provato a descrivere e raccontare questa idea di un’Italia che fa l’Italia.

Ecco, penso che non si comprende appieno l’importanza dell’intuizione e del lavoro di Carlo Petrini e di quel gruppo di sognatori attenti alla concretezza nati in quel di Bra, se non si considera anche sotto questo aspetto: una eccezionale espressione del soft power del nostro paese. Un messaggio destinato a durare.

Rosso come il Gambero. Stefano Bonilli e i suoi anni al “manifesto”

Trent’anni di Slow Food ultima modifica: 2017-11-15T17:34:36+01:00 da ERMETE REALACCI
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento