900 italiano. Longanesi e gli altri, irridenti anticonformisti

Il sessantesimo anniversario della morte del poliedrico artista è l'occasione per ricordare anche una schiera di altri spiriti liberi dell'epoca, oggi forse un po' dimenticati, ai quali Marcello Veneziani dedica un bel libro
MARIO GAZZERI
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La cultura italiana del Novecento è stata percorsa da una nota di irridente anticonformismo, a dispetto della dittatura del ventennio fascista, delle censure cattoliche e del monopolio della sinistra sulle arti e le belle lettere negli anni Cinquanta e Sessanta.

Parliamo di una schiera di spiriti liberi, oggi forse un po’ dimenticati, proprio nel sessantesimo anniversario della morte di Leo Longanesi (1905-1957), poliedrico artista, letterato, disegnatore e creatore di periodici letterari e di graffianti aforismi. Un uomo che, con una brutta espressione dei nostri tempi, potremmo definire un “operatore culturale” a tutto tondo. Ma di quelli che lasciano la traccia di una “zampata” sulla tendenza all’imborghesimento del mondo culturale.

Generazione irriverente

Fu una generazione, o forse due, che aveva un senso di non appartenenza ad alcuna corrente artistica e letteraria, ad alcuna “chiesa” politica o religiosa. Testimoni e protagonisti, tutti, di quello scetticismo irriverente e creativo che animò febbri culturali che contagiarono, in qualche caso, anche le stanze grigie del conformismo clericale, del fascismo (specie dalla metà degli anni Trenta, quando il regime cominciò a zavorrarsi di troppe aquile imperiali e ad ubriacarsi delle bugie sui “colli fatali di Roma”) e dell’antifascismo di varia coloritura, soprattutto di quello del dopo 25 luglio ’43 e 25 aprile ’45. “Non sono fascista ma neanche antifascista”, disse paradossalmente Longanesi una volta durante gli “anni del consenso”, come li chiamò Renzo De Felice. E non si trattava di opportunismo, al contrario era proprio lui, Longanesi, che sfidava ogni etichettatura di appartenenza, a questo o quel campo, anticamera di servili conformismi.

Leo Longanesi

Malaparte, Guareschi, Flaiano e Pitigrilli

E, dunque, di chi stiamo parlando (oltre al succitato, geniale Leo Longanesi)? Certamente di Malaparte ma anche di Montanelli, di Guareschi ma anche di Flaiano, di Petrolini ma anche di Prezzolini e di Giovanni Papini e soprattutto, forse, di Pitigrilli. “Nulla si difende con così tanto calore quanto le idee alle quali non si crede”, un bruciante aforisma del “breve” Longanesi (“ma solo di statura, di nome e, purtroppo, di vita”, come fa notare Marcello Veneziani nel suo nuovo libro “Imperdonabili”, Marsilio Editore) che sembra tagliato su misura per Pitigrilli, pseudonimo dell’ebreo piemontese Dino Segre (ma di madre cattolica), “pornografo” e informatore dell’Ovra, la polizia politica del regime. L’ebreo Segre spia per il fascismo, dunque, come il socialista Ignazio Silone? Le cose, se stanno veramente così, sono in ogni caso un po’ più complicate.

Pitigrilli (Dino Segre)

Le “Grandi Firme”

Pitigrilli fu l’ideatore di uno stile post-futurista, di una prosa moderna e sofisticata (e “libera” da pastoie moralistiche) che ne fece uno degli scrittori italiani più tradotti e ammirati in tutta Europa. Il suo libro “Cocaina”, vendutissimo, fu considerato “pornografico” anche se oggi potrebbe essere probabilmente considerato un romanzo “blandamente erotico”. Il suo anticonformismo ebbe poi la possibilità di manifestarsi appieno nelle Grandi Firme, rivista letteraria fondata nel 1924. Pubblicazione che negli ultimi anni (prima della sua chiusura a seguito delle leggi razziali) si valse anche della collaborazione del grande disegnatore barese Gino Boccasile, trasferitosi adolescente a Milano dove creò, per il periodico, la famosa serie delle Signorine Grandi Firme, alte, slanciate e con le immancabili calze “con la riga nera” (come avrebbe potuto dire Jannacci…) destinate a suscitare grande consenso tra il pubblico maschile.

I guadagni gli permettevano di condurre una vita agiata, perché dunque mettersi a spiare a Parigi i fuoriusciti del gruppo dei fratelli Rosselli per inviare poi dettagliati (e stilisticamente perfetti) rapporti all’Ovra? Un mistero, per ora destinato a restare tale, che circonda quell’uomo ammirato ed invidiato, per il quale anche il giovane Indro Montanelli spese parole lusinghiere. Proprio quello scontroso Montanelli che, con uno dei suoi paradossali aforismi, Longanesi non esitò a definire “un misantropo che cerca compagnia per sentirsi ancora più solo”.

Eredi di Giovanni Papini?

Ma forse tutti costoro erano almeno in parte “creature” di Giovanni Papini, il grande scrittore fiorentino che fin da giovane aveva mosso

guerra contro l’accademia, l’università, lo scolarismo…guerra contro la cultura ufficiale… e forsennato amore per l’Italia… e odio smisurato contro l’imbecillità, la vigliaccheria, l’amore dello status quo e del quieto vivere…

come ebbe a scrivere su Lacerba, la rivista creata assieme ad Ardengo Soffici in appoggio al movimento futurista di Marinetti. E lo sarà in parte anche Longanesi, prolifico creatore di giornali come L’Italiano e Omnibus, storico periodico letterario e di informazione pubblicato a Milano da Angelo Rizzoli con tanto di autorizzazione personale di Mussolini.

Anche qui Leo (che i nemici definivano velenosamente “mens nana in corpore nano”) si dimostrò un innovatore, un vero anticipatore. Anche il suo formato gigante (il famoso “lenzuolo”) come un quotidiano, venne ripreso negli anni Cinquanta da Il Mondo e da l’Espresso. Ma ancor prima della guerra (nel febbraio del 1939) Omnibus aveva dovuto chiudere su ordine del ministero della cultura popolare (cui ci si riferiva spesso con lo scanzonato, goliardesco diminutivo di MinCulPop).

Giovanni Papini

Con Vergani e Malaparte (ma anche Ciano) al caffè Aragno

Tra gli allievi di Longanesi (giustamente definito da Massimo Fini il “padre del moderno giornalismo italiano”) ci fu una intera generazione di giornalisti tra cui spiccavano i nomi di Arrigo Benedetti, Mario Pannunzio e dello stesso Indro Montanelli e, tra le sue ‘scoperte’ letterarie, Dino Buzzati e Mario Soldati. Il suo amico Orio Vergani, storica firma del Corriere, scrisse di lui:

Preso nel giro di cento tentazioni dell’intelligenza, amico della discussione, tra nuvole di fumo di sigarette al caffè Aragno… Longanesi non ebbe forse mai il tempo di fare, della letteratura, un preciso mestiere di romanziere, di novelliere, di elzevirista…

Il Caffè Aragno

Aragno, a pochi metri da Palazzo Chigi, era il luogo di incontro degli oppositori moderati e dei frondisti del regime…vecchi liberali e scrittori tra cui il filosofo Benedetto Croce, Curzio Malaparte, Longanesi e lo stesso Vergani che a volte giungeva (nella saletta numero 3) in compagnia del suo amico di infanzia, il livornese Galeazzo Ciano. Nel suo libro “Ciano, mio povero amico”, Vergani ricorderà come il “genero più famoso d’Italia” non avesse mai fatto mistero dei suoi sentimenti antinazisti e della certezza che l’alleanza con Hitler avrebbe portato l’Italia alla rovina.

L’omaggio di Veneziani

Mezzo conservatore, mezzo anarchico, visse mezzo secolo d’Italia. In mezzo ai longilinei Malaparte e Montanelli era l’unico che riusciva a stare in piedi sembrando di star seduto come loro.

Con questa nota di allegro ed affettuoso rimpianto, Marcello Veneziani parla di Longanesi nel ritratto che ne fa nel suo ultimo libro, e che si conclude così:

Morì precocemente, Longanesi, prima di tutti i suoi amici e nemici (spesso coincidenti). Ma col tempo, i tanti che gli sopravvissero apparvero già da vivi più morti di lui.

900 italiano. Longanesi e gli altri, irridenti anticonformisti ultima modifica: 2017-11-15T20:04:44+01:00 da MARIO GAZZERI
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