In un Paese serio, o che si ritiene tale, vi sono due pilastri che andrebbero cementati, due red line che non andrebbero mai valicate pena la perdita di qualsiasi credibilità in un mondo globalizzato: la politica estera e quella di difesa, che andrebbero messe in salvo da polemiche nostrane o da improvvisate uscite che finiscono solo per rendere sempre meno credibile il nostro Paese, e la sua classe politica, agli occhi dei nostri partner internazionali.
Questa premessa serve per dire che le uscite del premier in pectore del Movimento cinque stelle, Luigi Di Maio, e dei pentastellati che aspirano alla poltrona della Farnesina, non vanno liquidati con una battuta o con sketch alla De Luca (Vincenzo, governatore della Campania). Certo, restano impressi gli strafalcioni geostorici del vice presidente della Camera, l’aver collocato il generale Pinochet in Venezuela e non in Cile, ma ridurre il tutto a fatti di folklore o di analfabetismo culturale di ritorno, sarebbe davvero riduttivo. E non solo perché ci si trova di fronte a un movimento che, da qui a qualche mese, potrebbe essere chiamato a governare l’Italia, ma anche e soprattutto perché la comunità internazionale, in particolare i nostri partner europei e di oltre oceano, stanno monitorando con grande attenzione le uscite dei vari partiti e candidati, veri o presunti, a premier in merito alle scelte che compirebbero in materia di politica estera e di alleanze.

Luigi Di Maio a Washinghton per una serie di incontri in veste di candidato premier del Movimento cinque stelle.
Di Maio è reduce da una missione negli Stati Uniti nel corso della quale ha ribadito che se sarà lui a guidare il governo del dopo-elezioni il contingente italiano oggi dislocato in Afghanistan (circa novecentocinquanta uomini) sarà ritirato. Come, quando, perché? Quale riflessione c’è dietro questo annuncio? Al momento non è dato saperlo. Ciò che si sa è che sia l’ex inquilino della Casa Bianca (Barack Obama) che l’attuale (Donald Trump) non hanno perso, e non perderà Trump, occasione per chiamare gli alleati europei, e dunque anche l’Italia, ad assumersi le proprie responsabilità in materia di sicurezza e di lotta al terrorismo. Ora, si potrebbe obiettare che dopo oltre quindici anni, l’avventura militare in Afghanistan si dovrebbe considerare conclusa e magari fare anche un bilancio non agiografico dei risultati (invero pochini) ottenuti. Quello che non si dovrebbe fare, è improvvisare.
Ecco, in politica estera l’improvvisazione non paga, non va al potere. Si può e si deve ripensare il senso e il modo di stare dentro un sistema consolidato di alleanze, come la Nato, ma non si può ridurre una questione così delicata e complessa a un tweet, a un sì o no alla Nato o all’Unione Europea. E il discorso si fa ancora più delicato e nevralgico se si parla della politica estera italiana nel Vicino Oriente. E nel Mediterraneo. Qui siamo davvero nel mare agitato di considerazioni che cozzano una con l’altra.

Luigi Di Maio con Alessandro Di Battista, secondo alcuni uno dei possibili candidati alla Farnesina in un eventuale governo Cinque stelle
Ecco, ad esempio, lo scorso ventun aprile il Movimento cinque stelle, dal blog di Beppe Grillo, lanciare un duro attacco alle ong con un post dall’inequivocabile titolo: “Più di ottomila sbarchi in tre giorni: l’oscuro ruolo delle ong private”, definite i “taxi del Mediterraneo”. Ora, cambiare idea non è un delitto e, a volte, è anche segnale di onestà intellettuale, ma passare da un estremo all’altro… “Una storia positiva, una di quelle storie che ci fa credere che esiste speranza negli uomini in questo mondo”: così si esprimeva sul suo blog Ignazio Carrao, europarlamentare M5s in un post del 2015, nel quale raccontava la missione della nave Phoenix, facendo un super elogio “di chi usa soldi privati per salvare vite umane”.

Manlio Di Stefano è il responsabile esteri del Movimento cinque stelle
La questione si fa ancor più delicata quando si tratta d’Israele. Qui siamo allo scontro frontale. Manlio Di Stefano, deputato e responsabile esteri dei pentastellati definisce “un abominio” la legge israeliana che legalizzava gli insediamenti in Cisgiordania, spiegando che “il messaggio che Israele rivolge al mondo è che continuerà con le sue politiche di occupazione, di insediamento e guerra”. Non è da meno un altro esponente di punta del Movimento, anche lui papabile alla Farnesina, Alessandro Di Battista, secondo cui “Quello che sta portando avanti Israele è un genocidio”. Durante l’ultima guerra di Gaza, estate 2014, i Cinque stelle chiedono al governo di ritirare il nostro ambasciatore a Tel Aviv. Secca la replica dell’ambasciata israeliana a Roma: le posizioni espresse dai Cinque stelle
sono simili a quelle espresse da altri gruppi estremisti, che si oppongono al sionismo e negano al popolo ebraico il diritto di vivere nel proprio paese, a prescindere dal limite dei suoi confini nazionali.
Altro tema, altro moto sussultorio: la Nato. Da Washington, Di Maio assicura che gli Usa sono i nostri alleati, non siamo filorussi. E l’ombrello Nato non va buttato via. Se non che, ecco il Ministro degli esteri in pectore, Di Stefano, annotare in proposito:
La Nato oggi deve cambiare, e noi dobbiamo riflettere se rimanerci o meno. Se cambia sì, se non cambia allora ce ne andiamo.
Fuori dalla Nato, e visto che siamo sull’argomento, fuori pure dall’Afghanistan. A sorreggere Di Maio ci pensa Di Battista:
Chiediamo – ha affermato a più riprese – il ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan. Quando saremo al governo ritireremo le nostre forze da una guerra ignobile e ingiusta che non è vinta.
Duri con Israele, morbidi con l’Iran. Perché mezzo mondo ce l’ha con Teheran. Lo spiega così Di Stefano (sul blog delle stelle):
“Per due motivi principali. In primo luogo, è lo stato che combatte in modo più efficace il jihadismo sunnita: in Iraq, a fianco del governo a maggioranza sciita di Baghdad; in Siria, con l’aiuto decisivo della Russia; e in Libano sostenendo gli Hezbollah, in lotta con i gruppi radicali sunniti e Israele. In secondo luogo, l’Iran è anche il paese da sempre nel mirino degli Stati del Golfo, in particolare dell’Arabia Saudita, che non hanno esitato a finanziare la guerra di Saddam negli anni Ottanta contro l’Iran e, successivamente, i gruppi fondamentalisti per destituire il principale alleato di Teheran, il governo siriano…
Insomma, meglio Assad che i sionisti, meglio Hezbollah che i criminali sunniti. È il mondo visto dai pentastellati. Diventerà azione di Governo?

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