Adieu Fillon. È l’ora della “destra senza complessi”

L'ex candidato presidenziale lascia la politica. Juppé in avvicinamento a Macron. I duri di Laurent Wauquiez s'apprestano a mettere le mani sul partito che fu di Chirac e di Sarkozy. Con una strizzata d'occhio agli elettori del Front National
MARCO MICHIELI
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Se i socialisti sono in via di estinzione, la destra neogollista non se la passa meglio. Le elezioni presidenziali sono state disastrose, la candidatura di François Fillon e i suoi successivi problemi con la giustizia hanno aiutato la vittoria di Emmanuel Macron.

Le elezioni legislative sono state molto tormentate, ma Lr [Les Républicains] sono riusciti a conservare di gran lunga il titolo di “primo partito di opposizione” parlamentare con i loro centotredici deputati all’Assemblea nazionale. E poi guidano il senato con centoquarantasei senatori, sintomo di un partito che a livello locale è ancora molto forte: presidenti di regione, presidenti di dipartimenti, sindaci.

Però qualche problema c’è. Come i socialisti francesi i Républicains si trovano in una crisi profonda di identità.

Fillon lascia la politica 

A poche settimane dall’elezione del nuovo presidente del partito, Lr perdono infatti uno dei loro più rilevanti protagonisti. François Fillon, ex primo ministro ed ex candidato alle presidenziali, lascia la politica francese.

Non sono qui per regolare dei conti personali o rimettere indietro le lancette dell’orologio… Non ne ho la voglia né il diritto d’altra parte […] Quando si perde, il capo si ritira, senza cercare scuse e senza dare lezioni agli altri. È la regola che mi sono fissato.

Fillon è diventato deputato per la prima volta a ventisette anni, nel 1981. All’epoca era vicino a Philippe Seguin, l’uomo forte del gollismo “sociale”. In pochi anni compie una carriera folgorante: ministro dell’Università con Édouard Balladur (1993-1995), ministro delle telecomunicazioni con Alain Juppé (1996-1998), ministro agli affari sociali e poi dell’istruzione con Jean-Pierre Raffarin (2002-2005). Fino all’incontro con Nicolas Sarkozy, di cui diventa uno dei sostenitori della prim’ora. Sarkozy lo premierà con la nomina a primo ministro e sarà suo “collaboratore” per cinque anni, come amava definirlo l’allora presidente della repubblica.

Lasciata la politica, Fillon lavorerà nel settore privato, in una società di investimenti.

François Fillon

L’uscita di scena di Fillon è tuttavia parte di un malessere più grande nel partito che fu di Chirac e di Sarkozy. Alle legislative di giugno molti Républicains sono stati eletti tra le file del movimento di Macron. Alcuni dei deputati eletti coi Républicains, circa una decina, hanno deciso di costituire un gruppo parlamentare separato, Les Constructifs (I costruttivi), con altri deputati di centro e centrodestra: una trentina di deputati guidati da Thierry Solére, vicino al primo ministro Édouard Phillippe (pure lui Républicain). Questo gruppo non fa parte della maggioranza presidenziale ma i suoi membri sono liberi di votare di volta in volta la fiducia al governo presieduto da Phillippe.

È la ricomposizione in atto del sistema politico francese, in seguito al big bang macroniano e ai risultati ottenuti dai partiti “estremi”, di sinistra e di destra, alle recenti elezioni presidenziali. La parte più moderata di Lr è in effetti in difficoltà.

“François Fillon se ne va ma le sue idee restano”, è quello che ha dichiarato Florence Portelli, candidata alla presidenza di Lr ed ex portavoce di Fillon durante la campagna elettorale. Portelli sta conducendo una battaglia senza probabilità di vittoria: il grande favorito della corsa per la presidenza è il presidente della regione Auvergne-Rhone-Alpes, Laurent Wauquiez.

La destra senza complessi di Wauquiez

L’ascensore sociale, l’idea del merito a scuola, la volontà di difendere un modello sociale eroso dalle ingiustizie, l’identità e l’integrazione che sono messe in pericolo dal comunitarismo, l’impegno nel lavoro… Non possiamo più permetterci di non avere un discorso rispetto alla questione dell’ambiente […] Non dobbiamo scusarci di essere di destra.

Chi parla è proprio Wauquiez. A molti il nome non dirà nulla. Originario di Lione, è il presidente della regione Auvergne-Rhone. Ma soprattutto è il leader della “destra senza complessi”, per usare le parole di quello che un tempo fu il suo mentore, Nicolas Sarkozy. Il suo obiettivo è quello di far diventare il suo partito il fulcro di tutte le destre francesi, per unire da una parte la famiglia classica della destra francese e dall’altra la famiglia nazionalista. Che oggi è rappresentata sopratutto dal Front National, con cui Wauquiez dialoga, soprattutto con Marion Maréchal-Le Pen. 

Come i socialisti, dopo la sconfitta alle presidenziali, Lr sono alla ricerca di un nuovo leader. E di una nuova strategia. Qui s’inserisce Laurent Wauquiez. Come Fillon, Wauquiez proviene dalla sinistra dei gollisti, il suo padrino politico è stato Jacques Barrot, più volte ministro ed ex commissario europeo di Prodi. Un democristiano, che ha ceduto al giovane Wauquiez il suo feudo elettorale. Una destra attenta al sociale.
In breve tempo fa carriera, ma decisivo sarà l’arrivo di Nicolas Sarkozy all’Eliseo. Entra come portavoce nel governo presieduto da Fillon e termina questa prima esperienza come ministro. È nell’entourage del presidente della repubblica che ha la possibilità di conoscere Patrick Buisson, l’uomo che ha aiutato Sarkozy a strappare milioni di voti al Front National, spostando il partito più a destra sui temi quali l’immigrazione, l’identità nazionale e la sicurezza.

Laurent Wauquiez

E infatti Wauquiez diventa in breve tempo il riferimento nel partito di tutti coloro che chiedono uno spostamento più a destra. Dall’identità nazionale al rapporto con l’Europa, ai diritti civili. Tanto che al secondo turno delle presidenziali, Laurent Wauquiez non inviterà chiaramente a votare per  Emmanuel Macron.

Dal quale tutto lo divide.

Macron non ha un’ideologia, né una bussola, né dei valori. C’è un vuoto abissale nel suo discorso sulla sovranità, sull’integrazione, sulla République. Non parla mai dell’invasione della barbarie islamista nella testa delle persone. Non vuole vedere la realtà dell’islamismo radicale. Lo nega. Capisce benissimo la Francia che ha avuto successo, quella delle metropoli, che si trova a suo agio a Parigi così come a Las Vegas. Ma non si è mai rivolto all’altra Francia, quella degli operai e delle classi medie.

In effetti sull’Europa le posizioni di Wauquiez sono diverse. Non solo da Macron, ma dalle posizioni tradizionali del suo partito sul tema. Contro Schengen, Wauquiez auspica il ritorno all’Europa dei Sei.

Sui diritti civili poi le sue posizioni sono state spesso oggetto di discussione. È appoggiato da Sens Commun, un’associazione che aveva aiutato Fillon durante la campagna elettorale, un’emanazione politica della Manif pour tous, le manifestazioni con cui il mondo cattolico e la destra politica avevano tentato di bloccare la legge sul matrimonio omosessuale. 

Wauquiez dice di non volersi alleare con il Front National, ma di essere interessato ai suoi elettori. Strategia che può avere un senso, a patto che Marion Marechal-Le Pen non sia della partita. Perché si richiamano agli stessi elettori.

I candidati che lo affronteranno in dicembre per la carica di presidente del più grande partito della destra francese sono due: Florence Portelli e Maël de Calan. La prima, come dicevamo, vicino a Fillon, il secondo vicino a Alain Juppé. Delle comparse più che dei protagonisti. Wauquiez infatti ha raccolto più di ventimila firme a sostegno della sua candidatura e può contare su centotrentacinque parlamentari. Nessun big ha deciso di sfidarlo, troppe lontane ancora le presidenziali. E quindi nessuna candidatura per i pesi massimi come Xavier Bertrand, presidente della regione degli Hauts-de-France, e Valérie Pécresse, presidente della regione dell’Ile-de-France, due moderati del partito. Pécresse, soprattutto, non ha nascosto che in caso di vittoria di Wauquiez potrebbe lasciare il partito. 

Juppé in avvicinamento a Macron

Wauquiez spaventa una parte della classe dirigente moderata del suo partito. Come Thierry Solère, leader dei Costruttivi, che gli attribuisce la volontà di costruire 

Un Tea Party alla francese […] Tenta di creare l’unione possibile tra la destra e l’estrema destra. e un giorno ci saranno sicuramente le elezioni primarie tra lui e l’estrema destra […] poiché quella è la posizione che sta prendendo.

Come François Baroin, l’ex ministro dell’economia e l’uomo che ha guidato il partito alle recenti legislative, l’uomo che si pensava avrebbe preso in mano le redini del partito. Ma Baroin ha annunciato pochi giorni prima di Fillon il suo ritiro dalla vita politica. Lodando il coraggio delle riforme di Emmanuel Macron, anche se non condivise.

Alain Juppé

Come Alain Juppé, l’ex primo ministro che Fillon ha sconfitto inaspettatamente alle primarie della destra francese. Juppé sembra ormai orientato a sostenere i tentativi di riforma di Emmanuel Macron e del governo di Édouard Phillippe, ex portavoce di Juppé. L’ex primo ministro pare abbia proposto a Macron una grande alleanza di centro per le elezioni europee del 2019. L’occhio di Juppé è rivolto al suo partito tuttavia: una sconfitta alle prossime europee metterebbe all’angolo Wauquiez.

Che pure sembra fare il pieno dei voti tra gli iscritti, secondo gli ultimi sondaggi. Senza però l’appoggio dei maggiorenti del partito, Laurent Wauquiez potrebbe dirigersi verso una vittoria di Pirro. 

Una cosa è certa: il processo di de-costruzione del sistema politico francese è lungi dall’essere terminato.

Adieu Fillon. È l’ora della “destra senza complessi” ultima modifica: 2017-11-20T17:03:43+01:00 da MARCO MICHIELI
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