Al mondo negli ultimi decenni sono nati più maschietti che femminucce, lo dicono le statistiche, anche se questo fenomeno non ha mai trovato una spiegazione esauriente: sono cicli naturali, si dice, che in alcune fasi della specie umana fanno sì che i rappresentanti di un sesso siano più numerosi di quello dell’altro, fra l’altro i demografi sanno che gli uomini muoiono prima delle donne, e così via.
Però ci sono anche momenti in cui le cifre possono rivelare dell’altro, ed è quanto sta accadendo in molti paesi dei Balcani e comincia a verificarsi anche da noi: da più di un decennio si sta tornando all’“aborto selettivo”, o, per dirla in termini crudi, si sopprimono molto più di frequente i feti di sesso femminile.
Non è la prima volta che gli istituti specializzati segnalano questo fenomeno, e, in diverse nazioni, le organizzazioni per i diritti delle donne periodicamente insorgono, anche se purtroppo sembra ci sia davvero poco da fare.
Nelle società più povere e nelle civiltà contadine, una figlia femmina veniva considerata un peso, mentre il maschio significava forza lavoro, eppure questa mentalità sembrava essere stata sconfitta a partire dal secondo dopoguerra grazie alla crescita che si era vissuta in tutta Europa, anche se con ricette diverse.
La ratio normale è stata fissata in centocinque maschi rispetto a cento femmine, adesso però sembra proprio si stia tornando inesorabilmente verso il passato, e i numeri crudamente lo dimostrano.
In Italia, per esempio, da molti anni il rapporto fra bambini e bambine venuti alla luce è di centosei/centosette contro cento, e, nel nord est, la distanza comincia ad aumentare ancora, come hanno rilevato numerose organizzazioni che si dedicano alla famiglia. Se poi varchiamo l’Adriatico il fenomeno appare in tutta la sua agghiacciante evidenza.
Sul Piccolo, Stefano Giantin segnala la campagna di sensibilizzazione che si è appena aperta in Montenegro, dove i muri delle principali città sono stati tappezzati dai manifesti intitolati “Neželjena” (non voluta), che denunciano come nella piccola repubblica ex jugoslava il rapporto fra neonati e neonate sia arrivato a toccare i centotredici maschi rispetto a cento femmine.
I manifesti sono stati concepiti come annunci funebri bordati di rosa, e il messaggio è fin troppo chiaro:
Cara non voluta, i tuoi genitori volevano un maschio e per questo non sei nata. Perdonaci.
Ma se a Podgorica qualcuno almeno lancia una denuncia (ottenendo qualcosa, pare, visto che l’anno scorso la proporzione è scesa a centodieci contro cento), altrove la situazione è molto simile, e tutti tacciono.
I calcoli del Population Research Institute americano rivelano per esempio che in Albania ogni anno vengono alla luce centododici bimbi rispetto a cento bambine, in Kosovo centonove contro cento, centootto a cento in Macedonia, e così scivolando verso statistiche sempre più sconsolanti.

La sede del consiglio d’Europa, a Strasburgo
Un quindicina di anni fa anche il Consiglio d’Europa aveva lanciato questo allarme, riferendosi in modo specifico a paesi in crisi profonda come Azerbaigian o l’Armenia, poi, però, ha preferito tacere, e da allora il fenomeno ha continuato ad allargarsi fino a toccare comunità che un tempo si usava considerare evolute.
C’è qualcosa che si possa fare? Da tempo demografi e sociologi di tutto il mondo lanciano allarmi e disegnano scenari più o meno inquietanti: se questa tendenza si confermasse, alla metà del terzo millennio il numero di vecchietti e vecchiette finirebbe con l’equivalersi e – ci crediate o no – qualcuno si è perfino avventurato in terrificanti proiezioni sul futuro del sistema pensionistico, visto che in generale gli uomini sono più numerosi nel lavoro dipendente.
La constatazione ovvia, ma anche più disperante, è legata alle condizioni economiche dell’Occidente e alle speranze di un futuro: è perfino scontato che in una lunga fase di crisi come quella attuale le scelte delle famiglie – specie quelle in condizioni più precarie – finiscano con l’essere determinate da biechi criteri di utilitarismo.
Nessuno però, almeno che si sappia, ha mai tentato di immaginare come sarebbe un mondo con meno donne. Ed è davvero difficile credere che la società di domani diventerebbe migliore.

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