È fatta. Il Museo della manifattura di Doccia (ex Richard Ginori), che era abbandonato oramai da anni, è stato acquisito al patrimonio dello Stato. “Impegno mantenuto”, ha detto il ministro dei beni culturali Dario Franceschini che nell’aprile scorso aveva raccolto le preoccupazioni e gli allarmi del mondo culturale assicurando che erano state avviate le procedure per impedire che quell’inestimabile valore (trecento anni di porcellane, ceramiche, gessi, persino copie di statue di Michelangelo) andasse alla malora o fosse acquistato a vil prezzo da speculatori che avrebbero certo dilapidato, attraverso i canali dell’antiquariato, un patrimonio unico e necessariamente unitario. E il ministro ha aggiunto:
Non solo abbiamo recuperato questo bene prezioso, ma le opere realizzate dalla Manifattura entreranno a far parte a pieno titolo, nel luogo in cui sono conservate, del sistema nazionale del musei.
La travagliata storia dell’abbandono del complesso di Doccia era cominciata con il fallimento, oramai più che decennale, della storica manifattura Richard Ginori. Per ben due volte il giudice fallimentare di Firenze, tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di questo, aveva indetto una prima e una seconda asta che comprendeva, oltre al Museo, anche la storica fabbrica oramai in disuso e tuti gli immobili annessi. Aste andate deserte.
Ma quando, a fine febbraio scorso, si era trattato di fissare la data dell’asta-ter, il magistrato aveva giustamente preso tempo rinviando ogni decisione “in attesa degli sviluppi delle iniziative mezze in campo da associazioni e istituzioni” per un coraggioso intervento pubblico. E Lorenzo Falchi, sindaco di Sesto Fiorentino (nel cui territorio insistono museo e fabbrica) aveva aggiunto:
Se non vogliamo perdere per sempre opere di straordinario valore storico e artistico, è necessario che nel giro di poche settimane si arrivi ad una decisione necessariamente politica, e di buona politica.
La decisione è dunque arrivata, ed è solo la prima tappa di un processo di acquisizioni: entro tre mesi dovranno essere cedute allo Stato, e per esso al ministero dei beni culturali, anche le collezioni e gli allestimenti museali della Richard Ginori, considerati di grande interesse storico e artistico e quindi necessariamente vincolabili. Per inciso, la decisione di Franceschini si è tradotta, sorprendentemente, in un vero e proprio affare, frutto di un’oculata gestione del processo di salvataggio pubblico del Museo: il prezzo pagato dall’erario è di appena settecentomila euro, persino inferiore alla valutazione fatta dall’Agenzia del Demanio e dal Tribunale di Firenze. Ma dal momento che già due aste erano andate deserte, persino senza offerte al ribasso…
È allora il caso di ricordare – anche ai lettori di ytali, che in questi mesi hanno potuto seguire passo passo le peripezie del Museo – il valore delle migliaia di opere conservate nel Museo. In pratica, tutti i prototipi ma anche le serie prodotte dal 1737 (quando la manifattura fu fondata dal marchese Carlo Ginori) sino a ieri, e quindi la storia e l’evoluzione della produzione di beni preziosi: ottomila opere in porcellana soprattutto, ma anche in ceramica e maiolica; modelli in terracotta, piombo e cera; altri milleduecento modelli in gesso; tremila e cinquecento lastre di metallo incise; tremila e quattrocento pietre cromolitografiche; cinquemila disegni, oltre ad una biblioteca storica, una raccolta di libri moderni, una fototeca, un vasto campionario delle terre usate nei manufatti.
Attenzione: le prime opere conservate in teche (spesso oramai assai malandate) risalgono appunto alla metà del Settecento, e poi tutto un susseguirsi della straordinaria produzione successiva lungo l’arco di secoli sino ai giorni nostri: sono conservate per esempio anche una ceramica originale di Giò Ponti ed opere di altri noti artisti contemporanei.
Bene, ma c’è un “ma” grande come una casa. È vero che l’acquisto da parte dello Stato riguarda il patrimonio museale (e questo era oramai urgente e doveroso), senonché il Museo si trova letteralmente accanto alla storica fabbrica ex Richard Ginori che è – e resta – semi-abbandonata.
A Firenze (la cronaca locale di “Repubblica” si fa portavoce delle preoccupazioni non solo delle organizzazioni sindacali) ci si chiede: che cosa succederebbe se il Museo si trovasse poi a fianco di una fabbrica che in pratica non esiste più? Rischierebbe di essere una sorta di monumento ai caduti? Ecco allora la necessità di un intervento che garantisca la piena funzionalità della fabbrica e il riassorbimento completo della manodopera assai specializzata ed erede di una tradizione di alto valore tecnico-artistico.
Ora tutta l’area-fabbrica è in mano ad alcune banche: pignoramento necessario a tutela di notevoli crediti accumulati negli anni di disperati e sempre inutili tentativi di salvataggio di questo importante patrimonio industriale. Un gruppo industriale di matrice tedesca, la Kering-Italia (collegata alla famosa casa di alta moda Gucci), che ha già ri-avviato – in base ad una formula di gestione provvisoria stabilita dal tribunale fallimentare – talune produzioni, sarebbe disposto ad acquisire impianti, immobili e terreni. Ma sembra che le trattative con le banche non riescano ad andare a buon fine.
Ovviamente non è possibile chiedere al ministero dei beni culturali di intervenire anche in questa vicenda. Ma proprio il saggio e tempestivo intervento dello Stato per il Museo dovrebbe suggerire ad altre branche dell’amministrazione statale (il ministero per lo sviluppo economico in primo luogo) di valutare la possibilità di un intervento a sostegno e soluzione di un problema vitale sia dal punto di vista economico-sociale e sia per una organica, logica sistemazione museo-fabbrica.
Non mancano le condizioni, anche finanziarie: la Confindustria toscana si è impegnata a contribuire al necessario restauro del Museo con più di mezzo milione di euro, e lo stesso ha fatto la Cassa di risparmio di Firenze. Possibile che altre banche, anzitutto quelle toscane ma anche più potenti istituti finanziari nazionali (in particolare quanti vantano notevoli crediti dalla vecchia proprietà Richard) non possano/vogliano intervenire? Ma soprattutto, come aveva detto a suo tempo, per il Museo, il sindaco di Sesto, Lorenzo Falchi, ci vuole che per la fabbrica “una decisione politica, di buona politica”.
È il momento, allora, che i tanti “Amici di Doccia” e soprattutto le organizzazioni sindacali, la regione e i comuni di Firenze e di Sesto chiedano – come facciamo ora noi di ytali – l’apertura di un tavolo ministeriale con le banche e gli usufruttuari dell’ex Richard Ginori per la definizione di una strategia, di un programma di interventi, di un sostegno istituzionale per il rilancio complessivo di un patrimonio inestimabile di perizia artistica, di ricchezza materiale e immateriale, di potenzialità per un’area, quella fiorentina, che soffre di crisi a ripetizione.

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