Le consolidate abitudini elettorali si stanno sgretolando, quindi non esistono blocchi di consenso acquisiti e sicuri. Guido Moltedo ci pone il problema, invitandoci a riflettere su chi voterà per la prima volta e sui mutamenti che può indurre l’andamento demografico italiano: la società invecchia e ha bisogno di sicurezze senza avere il fascino dell’intraprendenza tipica dei più giovani (attenti dunque agli over sessanta e agli anziani, il corpo elettorale maggioritario).
Il che paradossalmente mette in movimento l’elettorato più di quanto non si pensi nell’era della fine residuale del voto ideologico o di appartenenza, proprio in Italia dove la tradizione degli orientamenti statici era consolidata per via del profondo radicamento dei partiti storici.
In questo quadro, per delineare scenari possibili, la prima questione su cui riflettere – e che rende i sondaggi improbabili – è la percentuale dei votanti. Se votasse all’incirca il sessanta per cento (o meno) degli aventi diritto, il risultato penalizzerebbe ancora di più i comportamenti consolidati. Non vale più l’assioma di una volta: meno votanti, più forte il centrosinistra. Ora la delusione alberga sia a sinistra sia a destra. E non è detto che non penalizzi più la sinistra.
Non è un caso infatti che gli appelli al “ritorno al voto” si sprechino su un fronte e l’altro (Renzi e Berlusconi hanno lo stesso handicap di partenza). La fascia dei non votanti, secondo alcune analisi, riguarderebbe inoltre più le classi d’età intermedie – il fenomeno del non ritorno al voto – che le giovanissime, avendo quest’ultime invece la tentazione della “prima volta” in cabina elettorale.
Per i giovani che votano, come dimostra il “no” massiccio da parte loro nel referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre, nella prima volta prevale in ogni caso il rifiuto e l’opposizione. È questo un atteggiamento che potrebbe favorire i 5 Stelle, vissuti tuttora – nonostante governino città importanti come Roma e Torino – come forza antisistema.
A proposito di grillini, va analizzata la loro strategia di allargamento del consenso per superare stabilmente la soglia del trenta per cento. Viaggi all’estero del candidato premier Lugi Di Maio (Stati Uniti, Bruxelles, Israele, Medio Oriente) per acquisire i via libera della comunità internazionale, spostamento del quartiere generale da Roma a Milano per parlare alle professioni più produttive e intraprendenti, scomparsa dal linguaggio pentastellato di ogni riferimento anti-Europa e anti-euro.
Per converso, attenzione spasmodica al tema immigrazione – ha ragione Moltedo a segnalarne la centralità – senza nessun occhiolino da strizzare alla liberalizzazione degli ingressi senza vincoli e all’integrazione o accoglienza via Ong, con le quali i 5 Stelle polemizzano pure per via giudiziaria.
È evidente che i grillini blandiscano elettorato di destra e di sinistra con temi trasversali, cercando di conquistare quelli potenzialmente antipatizzanti. È una versione moderna e aggiornata dell’interclassismo democristiano unito al rifiuto della politica tradizionale, dei partiti e delle loro logiche che può portarli dritti al governo. È un mix che potrebbe risultare vincente a confronto con gli affanni del Pd (quell’essere né un partito di moderna sinistra, né un ipotetico “partito della nazione” collocato saldamente al centro del sistema politico), con le oscillazioni della destra (l’ex generale dei carabinieri Leonardo Gallinelli che Berlusconi ha avuto l’ardire di proporre come candidato premier, il furore da leadership di Matteo Salvini) e le contorsioni unitarie di Speranza, Fratoianni e Civati che non hanno di meglio da schierare come leader-immagine di un ex magistrato come Pietro Grasso per attirare l’elettorato di sinistra vecchia e nuova.
Gli scenari futuri restano comunque tre:
1nessuna maggioranza possibile dopo il voto e quindi ritorno rapido alle urne sul modello di quanto è accaduto in Spagna per convincere (o piegare) i partiti a un accordo;
2Pd, Forza Italia e centristi trovano un accordo tra di loro in nome della governabilità trasversale sul modello della “grande coalizione” nella Germania di Angela Merkel (se a Berlino finisse così per la seconda legislatura, la spinta per una soluzione analoga in Italia riceverebbe una forte spinta);
3 il terzo scenario prevede una vittoria come primo partito dei 5 Stelle con conseguente primo incarico a Di Maio per la formazione del governo, il quale si presenterebbe alle camere senza accordi preventivi e chiedendo di votare il suo programma sic et simpliciter: eventualità che farebbe gola alla Lega per saltare sul carro dei vincitori senza chiedere ministeri bensì vincoli di contenuto (no agli immigrati, voce grossa in Europa, energici controlli sulle banche, abolizione della legge Fornero).
L’arbitro resta tuttavia l’imprevedibile presidente Sergio Mattarella dal carattere e dalle movenze di una sfinge egiziana. Cosa farà l’inquilino del Colle più alto di Roma di fronte a una situazione inedita e con tre poli elettorali forse di uguale peso? Assai difficile prevedere la soluzione del rebus, mentre intanto tutto scricchiola: economia, partiti, istituzioni, banche, occupazione, età pensionabile, eccetera.

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