Ho avuto modo di conoscere Pedro Navaja durante un soggiorno in Bolivia nei giorni in cui a La Paz attendevo di essere ricevuto dal presidente Evo Morales per un’intervista. Pedro è un profondo conoscitore del suo paese, e un uomo molto addentro ai circoli governativi boliviani da parecchi anni. Ha in tal modo potuto osservare da vicino l’evoluzione vissuta dal suo paese nell’era di governo di Evo Morales, di cui è stato inizialmente un sostenitore. La sentenza del Tribunale costituzionale plurinazionale che consente a Morales di ripresentarsi nuovamente alle elezioni del 2019, l’ha spinto a scrivere quest’articolo, che ytali. ha tradotto. [Claudio Madricardo]
Era già successo in Nicaragua, dove la rivoluzione sandinista si è trasformata in una questione familiare, con marito e moglie stabilmente al potere. Ora, il Tribunale costituzionale della Bolivia ha approvato la richiesta di Evo Morales per farsi rieleggere presidente per la quarta volta consecutiva.
Ciò che è successo in Bolivia il 28 novembre 2017 merita un’analisi. Lo farò cercando di essere sintetico, si fa per dire, cercando di sviscerare nella seconda parte anche un po’ del contesto del paese. Forse alla fine potrà sembrare, o c’è il rischio che sembri, un potpourri d’informazioni ma, se mi permettete, vorrei cercare di dare ampi strumenti di analisi a chi legge. Sarò disponibile per approfondimenti.
Per quanto la Bolivia sia un paese poco noto, o più noto per questioni folkloriche (vedere per esempio un recente pessimo overland), credo che meriti maggior attenzione anche perché il governo del paese è di riferimento per alcuni partiti e movimenti politici in forte crescita in Europa, come Podemos in Spagna, il cui leader, Iglesias, è stato la settimana scorsa in visita a Morales, e il M5S, con Dibattista che ha tessuto varie volte le lodi del presidente boliviano incontrandolo nelle sue visite in Italia. È inoltre un referente per molti gruppi e partiti, soprattutto di sinistra (estrema), in Europa e in Italia.
Torniamo alla sentenza che accoglie la richiesta di ricandidarsi del presidente Morales, facendo una rapida sintesi storica. Nel 2005 Evo Morales è eletto presidente della Bolivia, in esercizio dal gennaio 2006. La costituzione vigente in quel momento (dagli anni Sessanta, con modifiche sostanziali nel 1994 e 2004) prevedeva un solo periodo elettorale. Tale unico periodo è stato rispettato da tutti i presidenti democraticamente eletti dal 1982.
Per chi è abituato a un regime parlamentare può sembrare strano questo limite. Ma nei regimi presidenziali, nelle loro varie forme (con o senza primo ministro), il limite alla rielezione è un freno al superpotere presidenziale considerando, nel caso del modello boliviano che non ha primo ministro, che il presidente nomina e decide l’esecutivo.
In America Latina attualmente la rielezione non è prevista in Messico, Uruguay, Cile, Perù, Paraguay, Guatemala, ecc. (alcuni consentono la ricandidatura in periodi successivi). Altri permettono al massimo una rielezione: Argentina, Brasile e Colombia dove, nel 2010, la corte costituzionale negò la possibilità di un terzo mandato al presidente Uribe. Al momento la rielezione indefinita è prevista solo in Venezuela, Nicaragua e, parzialmente, Honduras (il caso dell’Ecuador meriterebbe un’analisi a parte).
Nel 2008 Morales convoca le elezioni per un’assemblea costituente che redige una nuova Costituzione poi approvata tramite referendum nel 2009. La nuova costituzione permette, art. 168, una rielezione:
El periodo de mandato de la Presidenta o del Presidente y de la Vicepresidenta o del Vicepresidente del Estado es de cinco años, y pueden ser reelectas o reelectos de manera continua por una sola vez.
Nel 2013 il Tribunale costituzionale, su richiesta del partito di governo, stabilisce che il primo mandato di Morales non conta essendo stato esercitato durante la vigenza dell’anteriore costituzione. Morales si può quindi ripresentare ed essere eletto per la terza volta, seconda consecutiva. Appena rieletto, nel 2014, il partito di Morales decide però di anticipare i tempi e convoca un referendum per far modificare l’articolo 168 e permettere la rielezione di Morales anche nel 2019.
Il referendum si realizza nel febbraio del 2016. L’opposizione tradizionale a Morales è divisa, senza risorse e non gode di molto credito presso la popolazione. Così la resistenza alla modifica costituzionale la fanno organizzazioni di cittadini, soprattutto di sinistra (l’unica guerrigliera del Che ancora in vita, e che non tradì il comandante, Loyola Guzmàn, è una convinta oppositrice di Morales).
La lotta è impari. Un regime presidenziale ha già di per se dei vantaggi notevoli, ma negli anni il partito di Morales ha occupato tutte le sedi istituzionali (magistratura, stampa, forze armate, polizia, organi elettorali, sindacati, ecc), rendendo completamente inesistente la divisione ed indipendenza dei poteri.
Del resto Morales ha dichiarato più volte che la divisione dei poteri dello stato è un’invenzione dell’impero, dimenticando il contributo degli illuministi. La propaganda elettorale nei canali tv privati, radio, giornali, nelle strade, ovunque è plebiscitaria per Morales.
Non solo in Bolivia. Anche in Italia, soprattutto a Bergamo, dove risiedono molti boliviani, i funzionari dell’ambasciata fanno propaganda per il SI alla rielezione, appoggiati da Rifondazione comunista. Paradossi della storia. Rifondazione appoggia un governo in cui la precarietà del lavoro è completa. Un memorandum del capo e sei fuori, senza benefici. Lo saprà Rifondazione o ciò che non va bene in Italia è invece lecito altrove? Mah!
La trasparenza del tribunale elettorale è dubbia (certificata anche dalla missione di osservatori Ora). Le carte d’identità spesso duplicate e clonate. Votano molti defunti. Ma l’opposizione dei cittadini riesce in quello che, al momento dell’annuncio del referendum, era completamente impensabile.
Vince il NO alla modifica della costituzione, per poco, (il 51,3 per cento) ma è una vittoria completamente inaspettata e che, probabilmente, in presenza di un monitoraggio reale sui voti (molte le denunce di brogli a favore del governo), sarebbe stata maggiore.
Morales, nonostante avesse dichiarato in varie occasioni che avrebbe rispettato il risultato elettorale, solo un paio di giorni dopo il referendum dichiara che si trattava solo del “primo tempo”, facendo capire che quindi restava da giocare il secondo tempo, ed eventualmente supplementari e rigori (e anche la monetina).
Il secondo tempo inizia subito. La prima tappa è addebitare il risultato a una rete di menzogne legate soprattutto al “caso Zapata”. Uno dei pochi giornalisti ancora indipendenti (che poi passerà un anno di esilio in Argentina) scoprì che Morales aveva avuto un figlio da una ragazza che in seguito, diventata avvocato prestigioso, dirigeva alcune imprese multinazionali cinesi che avevano contratti per centinaia di milioni di dollari con lo stato.
Morales conferma che la giovane era stata sua compagna tra il 2006 e il 2007 (secondo alcuni quando addirittura era minorenne, dato non confermato), che da lei ha avuto un figlio il quale però era morto dopo poco la nascita. Si scoprirà poi che la signorina non era avvocato (sembra nemmeno diplomata) ma che, come dirigente di queste imprese cinesi, era di casa in vari ministeri. Insomma quello che si definisce “traffico d’influenze”. Una trama da telenovela che finisce con la signorina Zapata in carcere dichiarando tutto e il contrario di tutto. Ma questo serve a Morales per addebitare la sconfitta al referendum all’ex fidanzata.
Successivamente, al congresso del partito di governo a fine 2016, vengono fatte 5 proposte per garantire la rielezione. Una di queste, la prima messa in moto, è quella approvata da tribunale costituzionale.
Va però ricordato che Morales è il presidente più longevo al potere nei 192 anni della storia boliviana. Ad oggi, dodici anni di governo continuo. Un discorso merita anche l’attuale Tribunale costituzionale. Nel 2011 vengono convocate elezioni nazionali per eleggerne i membri assieme ad altre 3 corti. Le elezioni sono un fiasco.
I voti validi (in Bolivia l’astensione è illegale e ciò nonostante raggiunge il record del 21 per cento) sono solo circa il quaranta per cento del totale. La maggioranza della popolazione, il sessanta per cento, vota nullo o bianco. Le ragioni? I candidati sono stati scelti solo dal partito di governo e sono assolutamente ignoti alla popolazione.
In questo quadro il candidato che riceve più voti è Gualberto Cusi, con il 15% dei voti validi. Cusi, magistrato aymara (come Morales ma, a differenza del presidente, aymara parlante), si dimostra di essere anche uno dei pochi, il solo, magistrato quasi indipendente. Nel 2013 è l’unico che obbietta la richiesta di rielezione di Morales.
Questo segna la sua condanna. Viene messo sotto inchiesta dal parlamento, controllato con maggioranza dei 2/3 dal partito di governo. Malato (il ministro della sanità diffonde i dati sulla sua salute per screditarlo), il magistrato è finalmente condannato ed espulso dal Tribunale costituzionale.
I magistrati che hanno emesso la sentenza dell’altro giorno (sei in totale, mentre uno non ha firmato), avevano ottenuto tra il due e il sei per cento dei voti validi nel 2011. Finiscono il loro mandato tra un mese ed hanno a loro carico un totale di cinquantuno denunce di vario tipo (beneficio economico, prevaricato, lesioni gravi, falsità ideologica, traffico di influenza, dichiarazione giurata falsa, ecc.).
Questo è il tribunale che ha approvato la modifica costituzionale voluta da Morales. Due questioni sono state diffuse dal governo per creare consenso alla sua richiesta, entrambe almeno bizzarre. La prima basata sul fatto che non esiste limite di mandato in molti paesi europei, come la Germania e l’Italia. Morales, dimenticando le differenze tra regime parlamentare e presidenziale, manda quindi affettuosi auguri a Merkel celebrando su Twitter la sua ennesima “rielezione” (non scherzo).
L’altro punto è ancora più grottesco. Come base giuridica per la rielezione si usa la Convenzione Interamericana dei Diritti Umani, nota come carta di San Josè, del 1969, e considerata ora preferente anche sulla costituzione. Secondo il governo, non permettere la rielezione di Morales danneggia il suo “diritto umano” di ricandidarsi. La cosa risulta paradossale. I diritti umani del presidente sono quindi superiori a quelli dei cittadini che hanno votato contro la rielezione. Solo un paio di anni fa Morales aveva minacciato di ritirarsi dalla Convenzione definita uno strumento dell’impero. Ora viene riabilitata.
L’Organizzazione degli Stati Americani (Oea) ha fatto sapere, di fronte ad una missione del governo di Morales, che già in passato era stato usato quell’articolo della Convenzione dal presidente Rios Montt, famoso per i massacri in Guatemala, per invocare la rielezione. La Convenzione aveva risposto che i diritti umani riguardano i cittadini che possono soffrire soprusi, non i presidenti in carica, che rispondono alle loro costituzioni.
Il segretario generale dell’Oea, l’ex ministro degli esteri del presidente socialista uruguayano, ex tupamaros, Mujica, Luis Almagro, ha detto che l’art 28 della Convenzione “non considera il diritto dei presidenti a perpetuarsi al potere”. Fin qui la questione in oggetto.
Alcuni potrebbero dire: “ma Morales ha cambiato il paese, l’ha migliorato, forse sarebbe il caso di lasciarlo lavorare, ecc.” Per questo va anche esposta, succintamente, la situazione del paese.
La Bolivia ha tenuto un’eccellente performance economica in questi anni di governo Morales. I tassi di crescita sono stati attorno al quattro per cento annuale (punto più, punto meno). Nonostante le grandi lodi anche di famosi mainstream internazionali (esempio Bbc), o di analisti italiani normalmente attenti alla situazione dell’America latina (esempio Massimo Cavallini e Omero Ciai), la realtà è che si è trattato di un fenomeno congiunturale, peraltro condiviso con altri paesi vicini (Paraguay, Perù o Colombia), imputabile solo alla moltiplicazione dei prezzi internazionali delle materie prime proprio a partire dal 2005.
Il paese è rimasto, come in epoca coloniale, un grande esportatore di materie prime, senza trasformare quasi nulla. Ciò ha mantenuto in questi anni l’economia stabile e in crescita. Vanno considerate anche le commodity non tradizionali, come le produzioni agroindustriali (la Bolivia è tra i cinque principali esportatori mondiali di soia, rigorosamente transgenica, con cui si alimentano i bovini nell’UE), e i proventi del narcotraffico, investiti soprattutto nel boom edilizio (l’United Nations Office on Drugs and Crime non lo riporta, ma sebbene l’estensione della piantagioni di coca siano rimaste stabili negli anni, il rendimento con i nuovi metodi di lavorazione delle foglie ha moltiplicato per tre il rendimento di cocaina).
Nonostante i proclami anticapitalisti, l’economia della Bolivia resta fortemente e saldamente liberale, anzi una della più liberiste del continente. In molti settori i prezzi si stabiliscono solo secondo domanda. Il prezzo del biglietto del trasporto nazionale è fissato di ora in ora dal mercato. La mattina un biglietto costa cento, il pomeriggio ottanta e la notte centoventi. Non esistono reali orari di lavoro. I mercati in certi posti aprono anche tutta la notte. Al confine col Brasile, dove voleva passare Cesare Battisti, i lavoratori degli esercizi commerciali brasiliani alle sette di sera chiudono e vanno a casa, mentre quelli del lato boliviano possono restare al lavoro anche tutta la notte.
Ciò si deve all’aspetto più importante dell’economia boliviana: le attività e il lavoro informale. Il settanta per cento dei lavoratori dipende da un’economia che non paga le tasse, basata sulla vendita di prodotti di contrabbando, che non paga salari legali, che non applica le leggi del lavoro, che non da diritto a nessuna assistenza sanitaria.
Non va meglio sul fronte dei diritti umani. Il paese che propaganda all’assemblea dell’Onu i diritti dei popoli organizza abituali retate alla ricerca di stranieri senza documenti (non avere un documento legale in Bolivia significa per lo straniero arresto immediato) o d’indigenti.
La settimana scorsa per “ripulire” i canali di drenaggio di poveri uomini e donne definiti “topo”, per l’imminente congresso internazionale sul gas che avrebbe visto importanti dignitari, noti esempi di rigore democratico (Maduro dal Venezuela e Obiang dalla Guinea equatoriale, che ha ottenuto anche la massima onoreficianza del paese), la polizia ha organizzato la loro deportazione per far scomparire alla vista, temporalmente, questi poveri cristi.
A scuola s’insegna solo la storia della Bolivia. Trovare un “bachiller “(diplomato) che sappia qualcosa della seconda guerra mondiale, a cui peraltro la Bolivia ha partecipato con gli alleati, è quasi impossibile. L’ipernazionalismo troneggia.
Negli ospedali, anche quei pochi cittadini che hanno accesso alla salute pubblica (il trenta per cento dell’economia formale), devono comunque pagarsi i farmaci, anche se ricoverati. La situazione della salute pubblica è spaventosa. Utensili da fabbro usati in sala operatoria, senza medici specialisti, niente farmaci essenziali, ecc.
Non deve stupire che la maggior parte dei cittadini che vive dell’economia informale si affidi alla medicina naturale, ai guaritori o direttamente al padre eterno. Altrimenti vende ciò che possiede per sopravvivere a una malattia. Ma se non paghi il conto dell’ospedale non ti consegnano nemmeno la salma del tuo caro. Giorni fa un gruppo di familiari ha assaltato un’ambulanza e portato via il paziente in fin di vita, poi morto, perché non in grado di continuare a pagare le cure dell’ospedale pubblico.
Le carceri, notoriamente considerate specchio della civiltà di un paese, sono dei luoghi innominabili. Vigono la corruzione sistematica della polizia (organo che pratica proceduralmente la tortura, addirittura auspicata da un attuale ministro, allora sindaco di un paese spesso in visita in Italia invitato da una ong) e il libero mercato.
Chi ha soldi si costruisce la sua cella o alloggio. Gli altri si arrangiano. Le regioni passano un dollaro diario per mangiare (il prezzo minimo di un pasto popolare e di circa due dollari). Il resto è a carico del detenuto. I figli dei reclusi vivono in carcere. Spesso vi avvengono omicidi e massacri, stranamente ignorati dalla stampa internazionale.
La detenzione preventiva in carcere è applicata sistematicamente (grande strumento repressivo del governo), trasformando le carceri in un girone dei dannati. Anche se in Bolivia non esiste l’ergastolo (pena massima trent’anni) vige la pena di morte surrettizia. Il paese è tra i leader mondiali del linciaggio e la polizia non pensa due volte a far fuori qualsiasi presunto delinquente. Qualche mese fa, durante un furto in una gioielleria, ha massacrato tre delinquenti, uccisi anche se si erano arresi, ed una povera ostaggio di questi, senza molte inibizioni né indagini (anzi minacciando i familiari dell’ostaggio per la loro richiesta di chiarimenti).
Una cosa che accomuna la Bolivia di Morales alle abitudini del vostro Berlusconi, è la partecipazione di molte reginette e miss al partito di governo. La figlia di un latifondista dell’allevamento, miss Bolivia, è stata prima candidata a governatore per il partito di governo e poi, dopo aver perso, nominata console a New York.
Per altre, alcune delle quali sono divenute deputate o ministre, si sono scoperte strane connessioni con trafficanti di persone in cui sembra partecipasse anche l’ex ministro della presidenza (il giornalista che ha denunciato la cosa, con prove, è dovuto scappare in esilio in Brasile).
La corruzione domina. Direte anche nel vostro paese. Certo. Ma diciamo che qui è più capillare. Non si tratta solo della grande corruzione, ma anche di quella al dettaglio. Ogni poliziotto ha un prezzo. “Articolo 50”, cinquanta pesos boliviani da pagare. Pochi euro. Ma tutto si muove cosi.
La grande corruzione ha invece preso il potere. Non passa settimana in cui non si scopra qualcosa. Lo stesso giorno della sentenza che abilita Morales all’elezione a vita è anche il primo anniversario della tragedia del Chapecoense (l’aereo precipitato in Colombia con i giocatori brasiliani).
Forse pochi sanno che la compagnia era boliviana (pare con capitali venezuelani), gestita dall’ex pilota di Morales, ed usata abitualmente per eventi governativi. Sembra che i permessi di volo alla compagnia siano stati concessi grazie a queste connessioni.
L’ultimo caso di corruzione è stato scoperto pochi giorni fa nella banca del governo, grazie alla quale funziona tutta l’amministrazione pubblica. Un funzionario ha tranquillamente rubato durante mesi o anni, grandi quantità di denaro (vari milioni di dollari), esibendo questa ricchezza impunemente nelle tradizionali reti sociali. Si scoprirà poi che venivano anche elargiti crediti fantasma o a funzionari governativi, senza alcuna garanzia.
Poi c’è il Morales internazionale. Tuttora è considerato da molti, in Europa e Nord America, come un presidente dal grande carisma latore di importanti proposte culturali e sociali. Le due principali proposte di Morales, grazie alle quali è riconosciuto nel mondo, sono popoli indigeni e madre terra.
Il primo punto è controverso. In Bolivia Morales è considerato più un “cholo”, cioè un meticcio come la maggioranza della popolazione, che un indigeno. Non parla le lingue andine di sua origine, aymara e quechua. Prima di essere presidente tutto il suo movimento sindacale era formato da federazioni di contadini, coltivatori di coca, e colonizzatori.
Sembra che si debba ai consiglieri spagnoli del Centre for European Policy Studies (da cui proviene anche Iglesias di Podemos) la migrazione dal termine “campesino” a indigeno, di maggior impatto in Occidente. Mentre l’uso del termine indigeno era stato invece promosso da tempo e usato fino allora solo dai popoli amazzonici e del Chaco boreale boliviano.
Che Evo avesse un reale interesse per i popoli degli indios amazzonici e del Chaco (33 sui 36 esistenti riconosciuti dalla costituzione) si è visto nel 2011 con la repressione di Chaparina, dove una marcia indigena in opposizione al megaprogetto di costruzione di un’autostrada che avrebbe tagliato in due un parco nazionale e territorio degli indios, fu repressa brutalmente dalla polizia con l’appoggio di gruppi di coloni quechua e aymara.
Il presidente “indigeno” getta la maschera. Opera per dividere le organizzazioni indigene. Blandisce molti dirigenti con incarichi di governo e soldi, mentre per quelli che si oppongono o permangono indipendenti restano le legnate. Il presidente della Cidob, la confederazione degli indios dell’Amazzonia e del Chaco, a fianco di Morales nel 2009 alla proclamazione della nuova Costituzione, viene incarcerato e quindi costretto a scappare verso un esilio forzato in Ecuador.
Ma ancor più eloquente, riguardo la doppia faccia di Morales, quella verso l’utente europeo/nordamericano e quella per il nazionale, si vede soprattutto nel discorso sulla madre terra, l’ambiente, la pachamama.
La Bolivia è un paese in cui l’economia si basa completamente sull’estrazione di risorse naturali. Morales nel 2015 ha approvato l’esplorazione e sfruttamento degli idrocarburi ovunque nel territorio nazionale, anche nelle aree protette e indigene, anche senza consultazione dei popoli residenti, trasformando il paese nell’unico posto al mondo dove a una multinazionale petrolifera (Total, Repsol, Petrobras, ecc.) basta solo fare richiesta per sfruttare idrocarburi in un parco nazionale.
Negli anni, l’auge del contrabbando ha condotto alla moltiplicazione del parco veicoli. In dieci anni i mezzi circolanti sono aumentati del cinquecento per cento, un record mondiale. Ma le strade sono quasi le stesse, anche se molte sono asfaltate, e il grado d’inquinamento nelle grandi città boliviane è ai vertici del continente.
La deforestazione è tra le maggiori del mondo, per far spazio alle coltivazioni di soia, alle nuove aree urbane create solo a scopo di speculazione. Esistono spazi lottizzati da grandi imprese immobiliari, la più grande legata al governo, per alloggiare quasi la stessa attuale popolazione della Bolivia, le coltivazioni di coca, l’allevamento, le nuove miniere. Secondo alcuni dati la Bolivia ha il primato di deforestazione pro capite nel mondo, o è tra i primi cinque paesi, ma è il primo per foreste tropicali umide.
Questo porta che le emissioni di CO2, sia di origine fossile sia per cambio di uso del suolo (espansione frontiera agricola, incendi, ecc), siano pro capite il doppio di quelle emesse da un cittadino italiano. Bolivia: 12.76 tCO2 nel 2013 delle quali 4.5 di origine fossile. Italia: 6.42 tCO2, dove 6.99 di origine fossile. La differenza è il sequestro operato dalla massa vegetale.
Non voglio andare oltre. Ho già messo “troppa carne al fuoco”. Credo però che non si potesse lasciare la spiegazione sulla sentenza del Tribunale costituzione senza una rapidissima e limitata esposizione sulla situazione del paese.
La sentenza fa sì che, secondo alcuni, la Bolivia si sia trasformata in un paese pre-costuzionale, retto da una specie di monarca assoluto. Godendo questo “monarca” di un ampio credito e consenso, soprattutto in Europa, ho considerato meritasse un quadro più esteso. Non è possibile altrimenti capire perché dei giudici che dovrebbero controllare e garantire l’applicazione della costituzione, si siano autonominati “padri costituenti” e, impunemente, l’abbiano riscritta in beneficio di un’unica persona.
Un giorno nero per la democrazia nel continente americano. Le garanzie per i cittadini boliviani mai così compromesse dal 1980-81, anni della dittatura di Meza, sostenuto dai “novios de la muerte”, con Stefano delle Chiaie e Klaus Barbie.
La facciata formale democratica sarà mantenuta, ma con il controllo totale delle istituzioni e dei poteri dello stato, le libertà dei cittadini e la trasparenza delle elezioni molto intaccate.
Infine. Sono come sempre a disposizione per approfondire ogni argomento (mettendo anche i link alle informazioni che ho presentato, ora omessi per non caricare troppo il post).
Avrei solo un desiderio. Rispondere ad argomenti, non a slogan. Sarò lieto di farlo con tutte le opinioni e argomentazioni, senza presunzione di aver ragione.
P.S.: qualcuno noterà che ho omesso di menzionare un “successo” di Morales. La nazionalizzazione degli idrocarburi. Non lo faccio ora perché richiede un’esposizione articolata e lunga. Lo farò su richiesta.
traduzione di Claudio Madricardo
VERSIONE ORIGINALE IN SPAGNOLO

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