Venezia è da smontare? All’articolo di Busacca e Rubini rispondono alcuni commenti che guardano al “discorso su Venezia” a partire proprio da questa amara riflessione. Dopo Monica Calcagno, segue Giovanni Montanaro: senza Venezia si diventa periferici.
Busacca&Rubini affermano che l’unico futuro per la Venezia tutta, la città metropolitana, è la morte della città d’acqua. La provocazione di Busacca&Rubini è freudiana: uccidiamo il padre! Senza la morte di Venezia, la terraferma non uscirà mai dalla sua adolescenza NEET. Busacca&Rubini sognano una Venezia-Jaffa, l’antico porto dei pellegrini in Terrasanta ridotto a romantico dolente mercantino, seme della meravigliosa fioritura novecentesca di Tel-Aviv.
La prospettiva non mi piace. Ma accetto la provocazione. Che, in parte, è una constatazione; si è passati da Venezia-motore a Venezia-freno. Dal dibattito sul come portare impresa a Venezia a come portare turisti a Mestre. Qualcosa non va. Sicuramente, dopo il 1966, e con la crisi di Marghera, nessuno ha più ripensato Venezia dandola già per morta. Così, Venezia, che non era morta per niente, si è ripensata da sola, in piena anarchia, acchiappando con gioia quello che portava ricchezza, ossia il turismo, evidentemente poco interessante per una classe dirigente soprattutto snob.
Adesso è difficilissimo invertire la rotta, principalmente perché è facile costruire sul deserto (com’era la Marghera di inizio Novecento) mentre è complicatissimo costruire sulla giungla. Comunque, non mi perderei d’animo.
L’idea di rinunciare a Venezia isola per ricostruire Venezia metropolitana è evidentemente stupida. Quello che non si riesce mai a capire è che l’interesse a una Venezia viva è, perlomeno, di tutto il Veneto, che si limita, invece, a venirci a passeggiare la domenica; come dimostrano le vicende degli ultimi anni, senza Venezia si diventa periferici, perché questo significa non avere ruolo internazionale se non per il singolo individuo, la singola azienda o università.
Implica misurarsi con Klagenfurt, come fa allegramente Zaia, e non con Milano o Londra. Può piacere. A me non piace. Come non mi piace l’idea che oggi presiede Venezia isola, che è in fondo la stessa; la sua montecarlizzazione, l’idea di poter creare un’enclave ricchissima ancorché lamentosa.
Non la voglio semplicemente perché sradica ed è inefficace, è come le collanine date agli indiani in cambio dell’oro; uno può anche decidere di vivere per una generazione di bed&breakfast, ma i suoi figli se ne andranno via.
Detto che non voglio Tel-Aviv e non voglio Montecarlo, che cosa vorrei? Nell’ultima campagna elettorale, il ruolo di immaginazione è stato tutto di Brugnaro. Il sindaco, che stupido non è, ha prima sparato una Venezia come Boston, che non si è mai capito realmente cosa volesse dire, se non una certa enfasi sacrosanta sugli studi.
Poi si è detto Venezia come Dubai, già più filologico perché, che lo vogliamo o no, quell’intreccio di logistica, finanza e lusso che oggi è Dubai era effettivamente la Venezia cinquecentesca, vero hub mondiale. Un po’ difficile da replicare, però.
Ma, al di là che non si sono viste né Boston né Dubai, ma al massimo la Pieve di Cento di Red Ronnie, il problema è che Venezia non potrà mai essere un’altra città che sé stessa. Non ha mai preso esempio da nessuno. Venezia deve inventarsi un modello che non esiste da un’altra parte, che altri ci dovranno copiare, perché il mondo delle folli megalopoli ne ha bisogno.
E il modello c’è. E coniuga il piccolo e il grande. Da una parte, bisogna mantenere la ricchezza inesausta del piccolo, a misura d’uomo, delle reti corte, degli orti urbani. Del quartiere che non è mai banlieue. Della conservazione, della salvaguardia, dell’attenzione alla salute. Dall’altra, bisogna ripensare un proprio ruolo mondiale che oggi non ha, se non in ambito culturale.
Per questo, importante è la difesa, la costituzione di un’isola normativa, per regolare gli accessi, tarare la tassazione, migliorare i servizi, per questioni come affitti, commercio, residenzialità. Lavorare sui costi dei trasporti, vero racket veneziano. Ma da sola questa prospettiva è perdente. Bisogna andare all’attacco. E, per fare questo, l’unica cosa è portare lavoro. Investimenti. Agenzie internazionali. Sedi di imprese. Studi professionali.
Più Microsoft e meno Roxy Bar.
La foto del titolo è di Giorgio Bombieri.

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