Cinque minuti per cambiare il corso della Storia. Cinque minuti per rileggere millenni di Storia.
I giorni e mesi futuri ci diranno gli effetti, certamente non positivi è facile prevederlo, della decisione di Donald Trump di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme e di riconoscere Gerusalemme capitale unica dello stato ebraico.
Ma prima di addentrarci sugli scenari, ciò che colpisce, a mio avviso, è la semplificazione che l’inquilino della Casa Bianca fa di Gerusalemme, del suo significato, del suo “mito”.
Gerusalemme non può essere ridotta a un contenzioso nazionale e nazionalista tra israeliani e palestinesi. Perché Gerusalemme è molto ma molto di più.
Sono innumerevoli i libri scritti sulla città santa, la città contesa. Trump li ha semplicemente ignorati. Segnata nel tempo da una bramosia di possesso assoluto che ha prodotto guerre, odi secolari, tingendo di sangue le sue pietre millenarie. Gerusalemme. Annota Avishai Margalit, tra i più acuti analisti politici israeliani, professore di filosofia all’Università ebraica di Gerusalemme:
Ciò che rende il problema di Gerusalemme tanto complesso è il fatto che l’attuale competizione nazionalistica per la città si svolge sullo sfondo di un’antica e sanguinosa competizione religiosa tra ebraismo, cristianesimo e islam. Per comprendere la profondità del conflitto nazionalistico bisogna afferrare il carattere di quello religioso…
Ed è ciò che è completamente mancato a Trump e ai suoi più stretti consiglieri. La dimensione della complessità. Che fa di Gerusalemme il simbolo di un conflitto che non ha eguali al mondo.
Perché come nessun altro conflitto al mondo racchiude in sé interessi, sentimenti, geopolitica e simbologia, in una dimensione atemporale. Ed è forse proprio per questo che sono gli scrittori coloro che meglio sono riusciti a cogliere e a raccontare la natura del problema. E tra gli scrittori ce n’è uno che più di chiunque altro ha scavato in quel groviglio di sentimenti, ambizioni, paure, speranze, odio, che da sempre caratterizza l’ “affaire-Jerusalem”. Quello scrittore, scomparso alcuni anni fa, è Amos Elon.

Amos Elon
Gerusalemme conserva uno straordinario fascino sulla fantasia e genera, per tre fedi ostili che si esprimono con parole perfettamente intercambiabili, la paura e la speranza dell’Apocalisse. Qui il territorialismo religioso è un’antica forma di culto. A Gerusalemme, nazionalismo e religione furono sempre intrecciati tra loro; qui l’idea di una terra promessa e di un popolo eletto fu brevettata per la prima volta, a nome degli ebrei, quasi tremila anni fa. Da allora il concetto di nazionalismo come religione ha trovato emuli anche altrove…Oggi, a Gerusalemme, religione e politica territoriale sono una cosa sola. Per i palestinesi come per gli israeliani, religione e nazionalismo si sovrappongono e combaciano. Da entrambe le parti si fondono; e ciò che nasce è, potenzialmente, esplosivo,
rimarca Elon nel suo libro ‘Gerusalemme. I conflitti della memoria’ (BUR).
Nella sua semplificazione storica, culturale, identitaria, prim’ancora che politica e diplomatica, Trump cancella questa verità storica. “I sentimenti che (Gerusalemme) suscita hanno origine nella geografia e nella storia; e trascendono la politica e la religione,
avverte ancora Elon.
Tutto su Gerusalemme rimanda a una visione assolutistica che non conosce né concede l’esistenza di “aree grigie”, di incontri a metà strada tra le rispettive ragioni. Cinque minuti e tutto ciò scompare. Scompare la complessità di Gerusalemme, banalizzata a un semplice problema del diritto di uno stato sovrano a scegliersi la propria capitale.
Nel vocabolario politico di Donald Trump, almeno per ciò che concerne la scelta operata su Gerusalemme, non esiste una parola-chiave. Quella parola è “compromesso”.
Scrive in proposito Amos Oz:
Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte.
Trump non ha saputo, o voluto, cogliere l’essenza che rende unico il conflitto israelo-palestinese. Quell’essenza, colta da Oz, è che ha scontrarsi non è il Bene contro il Male, il torto versus la ragione, l’essenza di questa tragedia è che a non trovare un punto di compromesso sono due ragioni egualmente fondate: il diritto alla sicurezza e alla normalità per Israele, il diritto ad uno stato indipendente per i palestinesi. Compromesso significa anche condividere: condividere Gerusalemme, città aperta, capitale di due stati, con i luoghi sacri alle tre religioni monoteistiche, internazionalizzati.
Chi afferma oggi, dopo la scelta di Trump, che la soluzione “a due stati” cessa di esistere non fa propaganda ma coglie un elemento di realtà. Perché nessun leader palestinese, neanche il più disponibile al compromesso e aperto alle ragioni d’Israele, potrà mai firmare una pace che escluda Gerusalemme Est.
Senza memoria non c’è futuro, ammoniva Elie Wiesel, il grande scrittore Premio Nobel per la Pace, recentemente scomparso, sopravvissuto ai lager nazisti. E un presidente che cancella una memoria storica non ridisegna un futuro di pace, semmai lo ipoteca.
Il resto, è geopolitica. Il presidente americano fa conto sul nuovo corso saudita, più interessato a contenere l’espansionismo “persiano” in Medio Oriente (Siria) e nel Golfo (Yemen) che a sostenere la causa palestinese.

Mohammad bin-Salman
Ma qui c’è l’azzardo. Perché neanche il giovane e ambizioso principe ereditario saudita, Mohammad bin-Salman, può chiudere gli occhi di fronte a ciò che Gerusalemme rappresenta per l’intero mondo musulmano: il terzo luogo sacro dell’Islam.
Farsi sfilare la bandiera della difesa della santa “Al Quds” sarebbe un suicidio politico per il futuro re saudita. Perché di questo si tratta: divisi su tutto, le potenze regionali, sunnite e sciite, si ritrovano unite, e insieme in competizione, nell’evocare una nuova Intifada: l’ “Intifada Al Quds”. Ecco allora levarsi i primi proclami da Teheran e Ankara.
Segno di incompetenza e fallimento. La Palestina sarà libera e i palestinesi vinceranno,
sentenzia la Guida spirituale della Repubblica islamica dell’Iran, l’ayatollah Al Khamenei.
Stavolta, non è meno duro il tono utilizzato dal presidente iraniano, il “riformatore” Rohani:
Non tollereremo una violazione dei luoghi santi musulmani.
Mentre su Twitter il vicepremier turco Bekir Bozdag scrive:
Questa scelta potrebbe far precipitare la regione in uno scontro senza fine.
La scelta di Trump è anche un colpo mortale alla credibilità delle Nazioni Unite, le cui risoluzioni 242 e 338 sui territori occupati divengono carta straccia, e segna una rottura pesantissima con l’Europa, completamente ignorata in questo cruciale frangente.
“Deplorevole”: così il presidente francese, Emmanuel Macron, commenta a caldo, pubblicamente, la decisione ufficializzata da Trump su Gerusalemme.
Il presidente Usa si era impegnato a essere un facilitatore del dialogo israelo-palestinese. Ma da arbitro si è trasformato in giocatore, indossando una casacca: quella con la stella di David. Non ha ascoltato le preoccupazioni dei leader mondiali, non ha concesso audizione all’accorato appello di Papa Francesco.
Dio benedica gli israeliani, Dio benedica i palestinesi,
dice Trump chiudendo il breve discorso, durato circa cinque minuti. Cinque minuti che trasformano il corso della storia di una delle più tormentate e nevralgiche aree del mondo. Avverte Aaron David Miller, già negoziatore per il Medio Oriente per diversi presidenti Usa, Repubblicani e Democratici:
Gerusalemme è una polveriera, in attesa dello scontro finale.
Quello scontro è iniziato.

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