Per non pochi dei visitatori della mostra “Souls – Anime. Omar Galliani. La seduzione del Disegno Italiano” – aperta al Museo civico Casa Robegan di Treviso fino al 28 gennaio 2018 – non sarà facile comprendere come la più imponente nella ventina di opere esposte, il dittico dal titolo anagrammatico “Omar Roma Amor” (su tavola di pioppo di 315 x 400 cm, con le due parti simmetriche esattamente speculari), situata nell’ultimo salone, descrittivamente raffinata e completa, possa essere stata realizzata – come informa la didascalia – “a matita e pastello”. Un pastello, per di più, usato solo per la lupa capitolina su una spalla della medesima figura, duplicata anch’essa e affiancata: una giovane donna, bellissima, vista di schiena, contro un cielo stellato. Tra le due versioni, al centro, c’è una specie di mezzo Colosseo, raddoppiato come tutto il resto; e, alla base, due nere strisce, con impresse vaghe sagome punteggiate. Se qualche spettatore chiederà all’autore una spiegazione tecnica, è probabile che si sentirà rispondere “con legno, acqua per qualche sfumatura e matita”; al che, se l’inquirente è un osservatore attento, aggiungerà tra sé e sé “qui, però, vedo pure segni di carta vetrata”. E che si potrà dire ancora, a riguardo della passione, del virtuosismo, dei mesi i lavoro, e dei decenni di applicazione ininterrotta per arrivarci?.

Omar Roma Amor, dittico, matita e pastello su tavola, 2012, 315 x 400 cm
Nel salone contiguo, infatti, c’è un altro dittico su tavola intitolato solo “Disegno”, di 180 x 360 cm, datato 1995, le cui qualità espressive sono la prova inequivocabile che il procedimento ha radici profonde; per darne un’idea, credo basti – senza commenti – un particolare, le mani, dell’unica figura, posta all’impiedi.

Particolare del dittico “Disegno”
Nella storia di Galliani è da molto tempo che si presentano situazioni analoghe. Nato nel 1954 a Montecchio Emilia, rimasta sempre la sua sede, l’artista si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e ha insegnato pittura alle Accademie di Carrara e Brera. La sua prima personale (1977; per entrare “dentro la pelle della pittura”, disse) l’ha tenuta alla Galleria G7 di Bologna, quando già partecipava alle iniziative del gruppo degli Anacronisti, promosso da Maurizio Calvesi, di cui divenne uno dei principali esponenti. Le sue doti furono poi riconosciute da critici come Crispolti, Accame, Caroli, De Marchis e Ponente, che lo portarono a eventi e premi prestigiosi: dal Premio Michetti alIa Triennale Internazionale del disegno (Kunsthalle di Norimberga), Magico primario (Palazzo dei Diamanti, Ferrara) e Magico Primario in Europa (Galleria Civica d’Arte Moderna, Modena), Arte e critica 1980 (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma), Art and Critics (Marshall Field’s, Chicago), Arte italiana 1960-1982 (Hayward Gallery, Londra), Quadriennale di Roma 1986 e 1996, Biennali di Venezia 1982, 1984, 1986, di San Paolo del Brasile, Parigi, Tokyo, Praga, e infine – quest’anno – Pechino.
Nel lavoro, dopo essersi applicato alla pittura e alle installazioni, ha continuato a tenersi lontano dalle tentazioni per il concettuale e per le tecniche multimediali, assumendo invece come linguaggio espressivo il disegno a matita, carboncino e pastello. Quanto ai soggetti, pur avendo mutuato le iconografie classiche rielaborandole in piena libertà, ha preferito seguire temi di pura fantasia, dalle figure femminili ai particolari di corpi e agli oggetti inanimati, cui dà l’aspetto visionario di apparizioni che possono svanire nel prevalere di una luce o nello sprofondare nel nero che tratta con tanta maestria. Perché sia chiaro quale sia il livello qualitativo di tale lavoro, basti dire che in una rassegna sul Grande Disegno Italiano all’Archivio di Stato di Torino, una sua composizione a grafite su tavola è stata posta a confronto con il disegno preparatorio di Leonardo da Vinci per il volto dell’angelo della prima Vergine delle Rocce.
Quanto alla sua attitudine per i maxi-formati, posso dire che l’ho constatata personalmente nel 1991, quando il Teatro Valli della sua Reggio Emilia ha inaugurato il sipario (15 x 12,5 m) commissionatogli poiché i due tradizionalmente in uso – vagamente allegorico quello di Giovanni Fontanesi (1856), e passionatamente reggiano l’altro, dedicato all’Orlando Furioso del concittadino Ariosto (1927), di Anselmo Govi – dovevano essere restaurati. Omar volle dipingerlo senz’alcun aiuto dei pittori di scena titolari, ed eseguì il lavoro nella loro vasta sala del sottotetto, riuscendo a conferirgli una squisita freschezza.
Nell’antologica trevigiana, oltre alle due citate, ci sono altre tavole di grande formato, come “Assunta” (252×187 cm) e “Sui tuoi passi” (180×360 cm), di cui si parla più oltre, nonché “Nuovi fiori santi” (252 x 188 cm) e “Riannunciazione” (200 x 200 cm, a matita su fondo bianco); ci sono inoltre i due unici dipinti a olio, giocati anch’essi sui bianchi e neri: “Felden Lake” (200 x 300 cm) su tela e “Agnus Dei” (200 x 200 cm su) su tavola; pressoché contemporanei (2016), ma differenti nel corpo del colore: sfumati e distesi nel primo,…

Felden Lake, olio su tela, 2016, 200 x 300 cm
…corposi e chiaramente differenziati nel secondo, con pennellate che formano un tessuto dai forti effetti riflettenti chiaramente distinguibili.

Agnus Dei, olio su tavola, 2016, 200 x 200 cm
Sulle opere in scala media, direi che non trovo alcunché di diverso che riguardi la tecnica e la qualità del disegno: si veda il “Grande disegno siamese”, in cui la simmetria dell’immagine è articolata orizzontalmente. Anche qui il fondo è nero lievemente mosso con tratti del medesimo colore.

Grande disegno siamese, grafite su tavola, 2014, 150 x 150 cm
Scendendo ancora di scala, dei disegni da 100 x 100 cm cito “Mantra” del 2003, logo scelto per gli stampati.

Mantra, matita e pigmento rosso su tavola, 2003, 100×100 cm
Sarà probabile trovare curiosa la decorazione rossa aggiunta, che rappresenta una colonna vertebrale con le vertebre ben delineate: è mai possibile sia questo che l’incantevole bellezza stia sognando?
Nella serie dei pannelli minori spicca “Castalia” (2017, 70 x 70 cm), in cui le stelle poste a corona tutt’attorno la testa lievemente inclinata, gli occhi chiusi e il simbolo luminoso in alto ricordano il mito cui si lega l’armonia del nome: apparteneva infatti alla ninfa che aveva osato rifiutare il corteggiamento di Apollo, il quale, certamente non uso a subire smacchi di tal genere, se ne vendicò trasformandola in sorgente. Ma non essendo ancora guarito della sua passione, volle addolcire il castigo donandole la virtù di far diventare poeta chiunque si fosse dissetato con le sue acque.

Castalia, matita e pigmento su tavola, 2017, 70 x 70 cm
Il percorso virtuale fin qui seguito porta ora all’ultima sala della mostra. La domina il grande pastello blu su tavola “Assunta” (la didascalia aggiunge “e pigmento rosso”, che consiste in una serie di criptici segni rossi allineati nella parte alta).
L’Assunta, la cui corona di stelle svapora nella luce che le inonda il viso, va esaminata sia da lontano, per esaminarne la struttura complessiva, sia a distanza ravvicinata, per rendersi conto delle caratteristiche dei dettagli che altrimenti sfuggono: come il gruppo di angeli vigilanti attorno a lei, disegnati a tratto continuo e senza intaccare gli azzurri della composizione principale, quasi che la loro spiritualità li rendesse trasparenti.

Pastello blu e pigmento rosso su tavola, 1998, 252 x 187 cm
Sulle pareti laterali, il dittico “Sui tuoi passi” (2016, 180×360 cm, nel quale i rettangoli bianchi che qui sembrano svolazzare sono collage di fogli intonsi) e il trittico coevo, “L’estasi di Teresa”. Modello di allestimento esemplare, che d’altronde qualifica l’intera esposizione.

Scorcio della sala, con l’Assunta al centro

Un altro scorcio scorci della sala, con l’Assunta al centro
Per concludere un accenno ai particolari che popolano certe tavole, prendendo ad esempio un dettaglio del dittico “Sui tuoi passi”.

Dal dittico Sui tuoi passi, parte del pannello di destra, pastello blu e collage bianco
È un’aurora boreale, viene da dire, in cui le sfaldature magiche sembrano rigorosamente coerenti con l’immagine di un vento magnetico cosmico. Una natura inventata, che in verità non ha molto da invidiare a quelle reali.
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“Souls – Anime. Omar Galliani. La seduzione del Disegno Italiano”, ideata e progettata da Giorgio Russi e curata da Daniel Buso (Responsabile di Artika-Treviso), è la seconda mostra del programma d’arte contemporanea sviluppato dal Comitato Tecnico istituito ad hoc con l’istituzione del Museo trevigiano di Casa Robegan. L’edificio (parte di un unico complesso con le limitrofe Ca’ da Noal e Casa Karwath, via Antonio Canova 38) ha origine medievali ma è stato più volte rimaneggiato. Ha un’importante facciata affrescata d’impronta rinascimentale, un giardino in comune con le altre e spazi interni che confluiscono, al primo piano, con quelli della Karwath. L’attuale impianto museale le è stato dato nel 1995 dall’architetto Andrea Bellieni.
In quest’occasione esordisce il design standard dei cataloghi ideato da Giorgio Russi, con l’intestazione “Quaderni d’arte di Casa Robegan”.

Il nuovo catalogo
Trenta pagine 30 x 21 cm, brossura, testi di Flavio Caroli, con memorie che si soffermano sulla “ricerca di magia, di seduzione, di fascino” e di una “bellezza” senza la quale nessun artista sarà mai “grande”, e di Teodolinda Coltellaro, con un’intervista, “L’epica del viaggio”, mirata a evidenziare gli sviluppi della poetica di Galliani nel corso degli anni.

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