Pietro Grasso va in tv domenica sera a “Che tempo che fa” e mostra il suo volto vanitoso:
È una vita che ho posizioni di guida. Ho guidato magistrati, processi, credo che posso guidare una formazione politica. Sono abituato a discutere e poi a prendere decisioni. Se ne accorgeranno tutti.
Come a dire: io sono il vero leader, non D’Alema come pensano tutti. E precisa:
Ho una visione più ampia che quella di guidare una ridotta di sinistra. Penso a una ricostruzione della sinistra e quindi del paese.
Infine, mostra il simbolo della lista elettorale, “appena ritirato dal grafico”, che non si sottrae affatto alla personalizzazione della politica: “Liberi e uguali con Pietro Grasso”. Il logo è contenuto in un cerchio “colore amaranto, non rosso, che significa protezione”. La ‘E’ non è quella solita, spiega il presidente del senato non a disagio nell’insolita veste per lui di leader politico,
ma è formata da tre foglioline che rappresentano il nostro legame con l’ambiente ma anche l’importanza che diamo alle pari opportunità, essendo un simbolo femminile.
Il pallino elettorale però non è nelle mani di Grasso, a cui sondaggi attribuiscono il 6,6 per cento. Confortati da inchieste che lo indicano come il primo partito preferito dagli elettori, il Movimento 5 Stelle si prepara alla marcia di avvicinamento al governo. Secondo il Corriere della sera del 9 dicembre, i pentastellati sarebbero al 29,1 per cento. Il Pd non andrebbe invece oltre il 24,4. L’incognita è rappresentata dalla destra, qualora riuscisse a dar vita a una alleanza elettorale: i sondaggi attribuiscono il 16,7 a Forza Italia, il 14,4 alla Lega e il 4,9 a Fratelli d’Italia.
È quindi naturale che Luigi Di Maio, il candidato premier dei grillini, si eserciti da inquilino di Palazzo Chigi con viaggi negli Stati Uniti e in Israele (con l’accettazione del divieto di Tel Aviv a oltrepassare il confine di Gaza), lavorando intanto alla squadra dei ministri da rendere pubblica nella campagna elettorale. La novità delle ultime settimane è che Di Maio non sottovaluta il tema dell’appoggio esterno al suo eventuale governo, quindi di un accordo di programma che non preveda partnership o le tante vituperate “alleanze”.
Guardiamo con attenzione a Pietro Grasso. Se i sondaggi si dimostreranno più generosi con lui, si potrebbe aprire un bel ragionamento,
ha infatti dichiarato di recente alla Stampa.
In soldoni, dice Di Maio, se la lista Liberi e uguali raggiungesse una percentuale a due cifre – come è convinto D’Alema – si potrebbe aprire la porta all’ipotesi di un’intesa. Obiettivo questo a cui ha alluso nelle ultime settimane più volte pure Pierluigi Bersani, non scottato del tutto evidentemente dal suo fallito tentativo nel 2013 di dar vita a una maggioranza Pd-5 Stelle. Messi alle strette dai risultati elettorali, i 5 Stelle preferirebbero un rapporto referenziale con Grasso e non con la Lega di Salvini ritenuta eccessivamente di destra. Facile intuire perché Di Maio parli del presidente del Senato uscente come di un interlocutore privilegiato e non di Bersani o D’Alema: quest’ultimi sono il “passato partitocratico”, mentre Grasso è il “nuovo” dalla biografia senza macchie e perciò affidabile nel ruolo di garante di un’area politica che può permettersi il lusso di appoggiare un governo pentastellato.
- Alla Festa dell’Unità, 23 settembre 2017
- Alla Festa dell’Unità, 23 settembre 2017
La condizione a cui pensa Di Maio per aprire il dialogo è precisa: Pd e Forza Italia insieme non devono formare in seggi e percentuali una maggioranza potenziale da larghe intese che sbarrerebbe la strada ad altre ipotesi di governo. In quel caso, i 5 Stelle, se risultassero primo partito, chiederebbero al presidente Mattarella l’incarico per tentare di formare un governo con “alleanze di programma”: cioè, con chi ci sta. I grillini, si vocifera, presenterebbero un programma di pochi punti e su questo potrebbero chiedere un appoggio parlamentare.
L’eventuale trattativa diretta con Grasso in nome di un’emergenza di governabilità è indubbiamente molto più agevole rispetto al duo D’Alema-Bersani. Ex magistrato stimato unanimemente, neo uomo immagine e leader di Liberi e uguali, Grasso ha tracciato il suo autoritratto dichiarandosi da sempre “un ragazzo di sinistra”:
Per quarantatré anni sono stato magistrato, quindi ho particolarmente a cuore i temi della giustizia: nella mia nuova veste di presidente del Senato, con altri mezzi, continuo a perseguire gli stessi obiettivi di legalità e verità.
Nel 2013 si è poi candidato nelle liste del Pd dimettendosi dalla magistratura. Come primo atto della sua presidenza di Palazzo Madama si è ridotto lo stipendio del trenta per cento. In magistratura dal 1969, a Palermo dal 1972 come sostituto procuratore, nell’89 fece parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia. Collaboratore di Giovanni Falcone, lo affiancò nel primo maxi-processo contro la mafia. Fino al 1999 vice di Pierluigi Vigna alla Procura nazionale antimafia, fu successivamente nominato procuratore capo del Tribunale di Palermo al posto di Giancarlo Caselli. Giudice a latere della Corte di Assise del maxiprocesso a Cosa nostra, ha dichiarato qualche volta:
Sono fatalista. Se non avessi trovato un posto sull’aereo Roma-Palermo venerdì 22 maggio 1992, il giorno dopo sarei volato in Sicilia con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Stesso aereo, stessa auto.
Personaggio spigoloso a cui non manca la vis polemica siciliana, nel libro “Pizzini, veleni e cicoria, la mafia prima e dopo Provenzano” (Feltrinelli, scritto con Francesco La Licata) ha evidenziato la “rissosità interna all’ambiente dell’antimafia, la volontà di esaltare i propri risultati a discapito di quelli ottenuti da altri”.
Grasso è quindi ritenuto una garanzia di rettitudine da Di Maio & company, nel caso di un accordo di governo. Il problema è forse convincere il presidente uscente del Senato sulla bontà di un’operazione politica di questo genere. A ciò potrebbe pensarci il trio Speranza, Fratoianni, Civati con l’ausilio di D’Alema.

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