Volevo servirvi al meglio, l’ho fatto in modo insufficiente per questo vi chiedo perdono.
Così giovedì 7 novembre l’ex ministro russo dell’economia Alexey Ulyukaev si è rivolto ai propri concittadini. Prendendo per l’ultima volta la parola nel processo in cui è accusato di aver “estorto e ricevuto da un pubblico amministratore una tangente particolarmente elevata”, l’ex membro del governo Medvedev si è riconosciuto colpevole.
Non però delle accuse “di minacce, estorsione e bustarelle”, fatte dalla procura “con perseveranza degna di miglior causa”. Verso queste imputazioni “assurde” Ulyukaev si è dichiarato innocente.
Colpevole invece l’uomo si è detto verso la patria e i propri concittadini che lui ha provato di “servire al meglio” facendolo però “poco e male”. Colpevole per i troppi “compromessi accettati” allo scopo di percorrere la “via più semplice” privilegiando “il benessere e la carriera” personale e trascurando i “principi” del bene comune. Colpevole per aver preso parte a un “insignificante balletto burocratico” nel quale ha “fatto e ricevuto regali”, subito e costruito “relazioni ipocrite”.
Infine l’ex ministro ha confessato la colpa di “aver dimenticato le difficoltà delle persone, le ingiustizie in cui queste si scontrano”. Problemi che ora vede e riconosce a differenza di quando per lui “tutto andava bene e di fronte alle preoccupazioni degli altri voltava il capo dall’altra parte”. A costoro ha chiesto “perdono” per l’indifferenza mostrata “nei loro confronti”.
Con parole simili a quelle di un dissidente Ulyukaev è poi passato a descrivere lo stato giudiziario e politico del proprio paese. Ammonendo che “una volta suonata la campana per una persona questa può battere per tutti”, che se è “molto facile aprire il vaso di Pandora, molto più difficile è chiuderlo”, l’economista si è paragonato a un gladiatore in attesa del giudizio pur sapendo già del pollice verso.
A una settimana da queste parole il verdetto è arrivato. Il tribunale distrettuale Basmannji di Mosca ha condannato Alexey Ulyukaev a otto anni di colonia penale, in regime di carcere duro, e a una multa di 130,4 milioni di rubli, circa 2 milioni di euro.
Il verdetto del 15 dicembre chiude una storia giudiziaria iniziata con il fermo del ministro la notte del 15 novembre 2016. Per la prima volta dai tempi dell’Urss veniva ammanettato un esponente di governo nel pieno dei propri poteri. Il giorno successivo all’arresto finiva la carriera politica dell’uomo che nel 24 giugno 2013 era entrato a far parte del governo guidato da Dimitrij Medvedev.
Si chiudeva così la vicenda penale nei confronti di un pubblico ufficiale. Aperti restavano gli interrogativi che l’opinione pubblica russa si era posta al momento dell’arresto del ministro.
Ulyukaev era vittima dell’ennesimo scontro interno alle élite russe? Si trattava di una battaglia tra clan, oppure qualcuno ha voluto un clamoroso processo per dare una pubblica dimostrazione di forza? Il duro verdetto contro l’ex esponente di governo chiarisce che la seconda ipotesi è quella più giusta.
Il caso Ulyukaev illustra la reazione di Igor Sechin, il potente capo dell’azienda petrolifera di stato Rosneft, contro chi prova a intralciare i suoi piani. Nel 2016, il ministro dell’economia si era infatti opposto al progetto del manager affinché Rosneft prendesse parte al processo di privatizzazione di Bashneft, la cosiddetta “perla nera” delle compagnie petrolifere russe.
Bashneft, azienda energetica situata nella repubblica federale degli Urali del Bashkortostan, fino a tre anni fa in mani private, non rappresentava certo la maggiore industria petrolifera russa ma, indubbiamente, era tra le più redditizie.
Al centro dell’attenzione internazionale la compagnia vi era finita nel 2014 dopo che il suo proprietario, il miliardario Vladimir Evtushenkov, si era trovato nel mirino degli inquirenti e di conseguenza aveva dovuto cedere le proprie quote azionarie allo stato. Già allora si era speculato se dietro il colpo di mano vi fosse Sechin, intenzionato sia a inglobare Bashneft in Rosneft che a regolare i conti con Evtushenkov.
Spossessata dal proprietario, Bashneft entrava nel balletto, privatizzazioni si-privatizzazioni no, che da tempo polarizza il dibattito sul futuro economico della Russia. Imboccata dal governo la strada della privatizzazione, Sechin, che da tempo accarezza il disegno di riunire sotto il tetto di Rosneft tutte le maggiori industrie russe degli idrocarburi, decideva che Bashneft doveva entrare a far parte della compagnia da lui diretta.
Un piano che il ministro dell’Economia del governo Medvedev ha provato a contrastare finché ha potuto. Ulyukaev riteneva impossibile definire privatizzazione l’acquisto di un’azienda in precedenza privata da parte di una compagnia di stato. Alla fine, ottobre 2016, l’esecutivo di Mosca dava via libera, col consenso del ministro dell’Economia, al progetto di Sechin. Un mese dopo Uljukaev veniva arrestato.
La condanna dell’uomo sposta ora i termini della questione politica. È stato Sechin a voler dare un esempio, indicando che fine fanno le personalità guidate da idee liberali in economia? Oppure il colpo deve essere inteso come un segnale da parte dei circoli ortodossi russi verso le forze governative che spingono verso approcci più pragmatici con l’Occidente?
L’ex ministro dell’economia è stato arrestato e condannato in base alle accuse di Sechin. Secondo il capo di Rosneft, Ulyukaev per dare il proprio assenso alla privatizzazione del 50,8 per cento delle azioni di Bashneft avrebbe preteso due milioni di dollari. Il pagamento della tangente sarebbe avvenuto il 14 novembre 2016 nei locali di Rosneft.
Il denaro stava in una valigetta passata dalle mani di Sechin a quelle del politico. Poche ore dopo lo scambio il ministro si trovava nelle mani del servizio segreto interno russo, Fsb. Qui Ulyukaev si è difeso sostenendo che sarebbe stato Sechin a chiedergli di presentarsi in azienda per ricevere una cassetta di vini pregiati. Insomma si tratterebbe di una provocazione.
Cercando di fare luce su questi dettagli il processo, iniziato l’8 agosto 2017, ha vissuto momenti paradossali. A un certo punto il pubblico ministero ha lasciato cadere l’accusa secondo cui Ulyukaev avrebbe ricattato Sechin, contestando all’ex ministro solo la corruzione. Anche il luogo dove il reato sarebbe avvenuto è rimasto incerto. Qualche volta si è indicato Goa, in India, altre volte Mosca.
Altrettanto complesso è stato stabilire chi avesse chiesto a chi l’incontro nel corso del quale il ministro ha ricevuto dal manager i due milioni di dollari. Con grande disappunto di Sechin durante il processo è stato svolto un nastro in cui si capiva che era stato il leader di Rosneft a fare pressioni sul politico. Altrettanto un video girato dentro Rosneft mostra Sechin mentre pretende che Uljukaev prenda una valigetta.
Le diverse anomalie del procedimento hanno fatto pensare che Sechin ne stesse perdendo il controllo. Convocato quattro volte dai giudici, una mossa possibilmente dettata dallo stesso Putin, colui che doveva essere il principale testimone del procedimento non è mai apparso in aula. Così la più prestigiosa carta dell’accusa si è rivelata l’audizione dell’ex capo dei servizi della sicurezza di Rosneft. L’uomo, un ex agente Fsb, ha deposto a porte chiuse.
Nelle udienze Ulyukaev ha sottolineato come per la privatizzazione del 50,8 per cento del pacchetto azionario di Bashneft, il governo russo avesse trovato acquirenti pronti a versare 250 milioni di dollari in più di quanto Rosneft avrebbe pagato dopo il suo arresto.
Finendo in carcere Uljukaev ha perso la battaglia ma se la guerra sia stata veramente vinta da Sechin lo dirà solo il futuro. Sicuramente è cresciuta l’idiosincrasia nei suoi confronti da parte degli ambienti economici russi.
All’invito di comparizione del tribunale il manager ha risposto picche. E questo per ora, a parte una piccola stoccata di Putin alla recente mega conferenza stampa del presidente, non ha avuto conseguenze. Tra gli analisti russi non sono pochi a credere che le anomalie, tra queste il fatto che il processo sia stato pubblico, verificatesi durante le udienze non siano successe a caso.
Il giudizio contro l’ex ministro è sicuramente un colpo anche per il governo. Innanzitutto per il vice-premier Arkadij Dvorkovich e il collaboratore di Putin Andrej Belusov, tutte personalità, insieme al primo ministro Dimitrij Medvedev, che si erano dette contro la vendita di Bashneft a Rosneft. Questo è almeno il parere di Evgenij Minchenko, responsabile della holding, Minchenko Konsalting.
Un’altra analista, Tatanja Stanovaja del Centro di tecnologia politica di Mosca, sottolinea come Putin “non abbia preso pubblicamente posizione sull’affare e non si sia mai speso a favore di Sechin”. Secondo la ricercatrice “l’azione penale contro Ulyukaev si è svolta parallelamente a un processo pubblico contro Sechin”.
Per il politologo Abbas Galljamov, i corpi armati dello stato russo, i siloviki, ritengono l’affare Ulyukaeve quivalente a un messaggio del presidente secondo il quale tutti “possono finire nelle colonie penali”. Lo studioso fa presente che ora “ogni desiderio di queste strutture verrà visto dal governo come un ordinanza” da rispettare.
Sechin che a Mosca ha occupato per diversi anni molte posizioni centrali nell’apparato del potere russo, lavora con Putin dalla fine degli anni Novanta, quando i due gestivano l’amministrazione di San Pietroburgo. Un percorso che il presidente ha compiuto anche con molti esponenti dell’ala liberale. Uno di questi, Aleksej Kudrin, a lungo ministro dell’economia, ha definito, “spaventosa” e “infondata” la condanna di Uljukaev, sottolineando su Twitter come “simili ingiustizie vengano oggi sopportate da molti”.

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