L’invito rivolto in ottobre al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan a visitare la Grecia nei giorni 7 e 8 dicembre non era stata solo un’iniziativa del governo di Atene. Era stata sollecitata dall’Unione Europea e dalla diplomazia dei paesi più importanti dell’Unione, interessati a sondare gli umori del sultano rispetto al problema dei profughi e all’anemica candidatura per l’adesione. Lo ha rivelato il ministro degli esteri greco Nikos Kotzias, partecipando al dibattito in parlamento seguito alla visita. Kotzias non l’ha detto, ma è molto probabile che un’analoga sollecitazione ci sia stata anche da parte di Washington, a giudicare dall’inusuale prontezza con cui il dipartimento di stato ha condannato i furori revisionisti del presidente turco.
Una visita quindi per offrire a Erdoğan l’occasione di uscire dall’isolamento, mostrare il suo volto migliore, rivalutare i rapporti con la Grecia e, attraverso questa, con l’Europa. Le diplomazie dei due paesi l’avevano preparata fin nei minimi dettagli, pesando attentamente ogni parola e fissando paletti molto stretti per ogni manifestazione pubblica del sultano in suolo greco. A rendere ancora più esigente il severo protocollo vi era il fatto che, a livello bilaterale, si trattava della prima visita di un presidente turco dopo sessantacinque anni, e la prima dello stesso Erdoğan dal lontano 2004.
Il progetto però ha rischiato di naufragare fin dalle prime battute. Era stato concordato che alla vigilia i due leader avrebbero concesso interviste solo alle rispettive agenzie di notizie. E Tsipras ha effettivamente parlato all’inviato di Anadolu. Ma a sorpresa, la sera del 6 dicembre, l’emittente privata di Atene Skai ha trasmesso una lunga intervista del direttore a Erdoğan.
Come si è scoperto a posteriori, l’editore della Tv, l’armatore Yannis Alafouzos, aveva sollecitato il suo socio turco Acun Ilıcalı, in ottimi rapporti con il sultano, al fine di realizzare l’intervista. Non si trattava tanto di fare uno scoop giornalistico, quanto di piazzare tante bucce di banana sul delicatissimo percorso tracciato dai diplomatici. L’intervista infatti verteva su tutta la gamma dei vari contrasti tra i due paesi, con particolare insistenza sulla reiterata intenzione di Erdoğan di “rinegoziare il trattato di Losanna”. Si tratta nientemeno che del trattato di pace che sancì la sepoltura dell’Impero Ottomano. È stato firmato nel 1923 tra le forze dell’Intesa e la neonata Repubblica turca di Kemal Atatürk, della quale si sancivano i confini.

Il presidente turco Erdoğan, il presidente greco Pavlopoulos e il primo ministro greco Tsipras durante lo storico incontro del 7 e 8 dicembre.
Gli effetti del colpo a sorpresa di Alafouzos, grande sostenitore dell’opposizione di destra, si sono visti la mattina del 7 dicembre, già al primo incontro di Erdoğan con il suo omologo greco Prokopis Pavlopoulos. Nel salotto della presidenza, in diretta televisiva, si è assistito a un duro battibecco tra i due capi di stato, con Pavlopoulos che sottolineava l’importanza dei trattati nella difesa della legalità internazionale, ed Erdoğan che leggeva i bigliettini che gli passavano i suoi collaboratori e insisteva sulla necessità di “rivedere alcuni aspetti” dello specifico trattato, visto che “era stato firmato perfino dal Giappone”.
Era quello che voleva l’opposizione per sparare a zero contro l’invito al leader turco, proclamare il fiasco diplomatico e il fallimento della visita fin dalle prime battute. Solo Fofi Gennimata, la bionda presidente dei socialisti del Pasok (tra qualche mese però si chiameranno “Movimento per il Cambiamento”) ha mancato l’appuntamento. Per fare prima, Gennimata ha messo su Twitter con grande anticipo la sua vibrante protesta per il “fiasco diplomatico” provocato dalla “irresponsabile leggerezza” di Tsipras: alle 7 e 36 del mattino, molto prima che Erdoğan toccasse il suolo greco.
Al contrario, la riproposizione delle tesi del leader turco su Losanna hanno provocato le immediate reazioni sia di Washington (“sosteniamo l’integrità territoriale di tutti i paesi della regione”) sia dell’Ue (“il processo di adesione esige rapporti di buona vicinanza con i paesi limitrofi”).
Dopo questa spettacolare polemica diplomatica al palazzo presidenziale, il successivo incontro con Tsipras era quello che avrebbe segnato l’esito della visita. L’incontro a porte chiuse è durato oltre due ore e mezzo. E nella successiva conferenza stampa nessuno si è annoiato. Il premier greco ha elencato puntualmente le posizioni greche su tutte le controversie con il paese vicino, compresa Cipro, ricordando all’ospite turco il sostegno del suo paese alla candidatura turca per l’Ue e gli impegni presi reciprocamente con il famoso accordo sull’immigrazione.
Erdoğan, a sorpresa, non ha insistito sulle sue posizioni del mattino e ha assicurato che la sua richiesta di “aggiornare” il Trattato di Losanna non ha secondi fini: “Non vogliamo territori greci né di altri paesi vicini”, ha detto, con chiara allusione alla Bulgaria, i cui confini sono stati pure definiti a Losanna. Ammissione importante, visto che negli ultimi due decenni Ankara aveva elaborato la teoria secondo la quale nell’Egeo ci sarebbero delle “zone grigie”, isole di dubbia appartenenza. Più di recente la teoria è diventata più specifica, avendo addirittura individuato ben diciotto isole “turche” che sarebbero state “occupate illegalmente dalla Grecia”. Tale teoria è stata universalmente respinta come inconsistente. In particolare, l’Italia ha svolto un ruolo discreto ma importante nello smentire le affermazioni turche, visto che alcune delle isole rivendicate erano sotto il dominio italiano quando fu definito il confine marittimo con Ankara.
Erdoğan ha anche assicurato che non intende recedere dall’accordo con l’Ue sui rifugiati, facendo così tirare un sospiro di sollievo nelle capitali europee. Ha confermato la sua volontà a proseguire sulla via verso l’adesione all’UE e ha fatto riferimento a Cipro evitando di ripetere la costante tesi turca del “riconoscimento della realtà sul terreno”, cioè l’occupazione militare del territorio settentrionale dell’isola.
Le più grandi sorprese sono emerse però quando il presidente turco ha fatto riferimento alla minoranza musulmana che vive nella Tracia greca, regione che avrebbe visitato il giorno seguente. Erdoğan ha abbandonato la tradizionale tesi di Ankara di attribuire un’identità turca a tutta la minoranza: “Sappiamo che la comunità musulmana non è tutta turca. Ci sono i turchi, ma ci sono anche i rom e i pomacchi”, ha detto, provocando la sorpresa del suo ministro degli esteri, seduto in prima fila. Come se non bastasse, il leader turco ha disconosciuto i costanti quanto pesanti interventi del suo consolato a Komotini: “I problemi della minoranza sono un affare interno della Grecia”.
Parole ripetute il giorno dopo in Tracia. Dopo la preghiera del venerdì, Erdoğan ha raggiunto il cortile di una scuola e ha parlato brevemente a un centinaio di musulmani greci: “Avete quattro deputati in parlamento, vivete in condizioni di sicurezza e nel rispetto dei vostri diritti. Siate cittadini leali, sfruttate i vantaggi che vi offre la cittadinanza greca, onorate la bandiera”.
Ovviamente, conoscendo il carattere imprevedibile di Erdoğan, non sono parole scolpite nel marmo. Nessuno si aspetta l’interruzione improvvisa delle violazioni dello spazio aereo nell’Egeo, né la riunificazione di Cipro. Per fortuna, durante la visita sono stati anche firmati alcuni accordi, magari meno ambiziosi ma sicuramente più solidi. Come quello che riattiva l’accordo del 2016 sui rifugiati: la Turchia si è impegnata a riprendere i profughi da ricollocare in Europa non solo dalle isole ma anche dalla Grecia continentale. Sul piano bilaterale, inoltre, ci saranno anche iniziative nel campo della collaborazione economica e nei trasporti ferroviari e marittimi tra i due paesi.
Non male, per un fiasco annunciato.

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