Bene ha fatto Annalisa Bottani a mettere in evidenza tutta la complessità di “Loveless”. Effettivamente dopo aver visto l’ultima opera di Andrej Zvjagintsev ci si chiede cosa si è visto. Un film su un adolescente, Aljosha, scomparso? Sui genitori del ragazzo, un uomo e una donna, Boris e Zhena, legati solo dall’odio? Sulla dissoluzione della famiglia basata sull’amore? Sulla società e lo stato russo? Oppure, come a volte ricorda il regista siberiano, un film sull’intera umanità e le sue tragedie? Nulla di questo, oppure qualcosa di tutto ciò?
Le scene piene di tensioni e le emozioni della pellicola si snodano in un crescendo di pesantezza e suscitano reazioni opposte. Si va dal fastidio verso il soggetto della storia, respinta in blocco, al tentativo di banalizzare il soggetto rilegandolo sola alla dimensione russa.
Nella conferenza stampa seguita alla prima del film nella sua città natale di Novosibirsk, Zvjagintsev, forse semplificando un po’ troppo, ha sottolineato come il suo obiettivo fosse quello di “fare in modo che lo spettatore, ogni spettatore, tornando a casa abbracciasse i propri cari”. Un gesto questo che Boris e Zhena evitano di compiere sia nei propri confronti che verso il dodicenne.
Si è mai amata la coppia? Difficile dirlo anche se sembrerebbe più no che sì. E questo rimanda al concetto racchiuso nel titolo originale del film, “Neljubov’”.
In una lunga intervista apparsa su Meduza.ru, sito lettone in lingua russa, il regista precisa che l’espressione ha una profondità non restituita dalle traduzioni, “Loveless”, “Faute d’amour”, fatte nelle edizioni in altre lingue. Secondo Zvjagintsev, “Neljubov’” indica non la semplice mancanza d’amore, “Loveless”, appunto ma “una condizione tormentata che senza distinguere tra individuo e società rappresenta lo stato spirituale dell’ambiente in cui agiscono i personaggi”.
Il termine secondo il regista mostra “chirurgica chiarezza” che questo stato non è caratterizzato “dalla semplice assenza di amore”. Si tratta invece di qualcosa che si trova “agli antipodi dell’amore”. “Loveless”, termine saltato fuori dopo che i distributori si erano “rotti la testa” per trovare la traduzione più fedele all’originale secondo Zvjagintsev non rispecchia la complessità di Neljubov’.
Le vicende del film dimostrano come questa atmosfera paralizzi in maniera patologica non solo i rapporti personali ma anche quelli sociali.
Il primo momento pubblico delle indagini sulla scomparsa di Aljosha vede l’ingresso in scena della polizia. La struttura, impotente e prigioniera della burocrazia, riesce solo a far perdere le speranze che le organizzazioni di stato riusciranno mai a ritrovare il bimbo.
Madre e padre di Aljosha si rivolgono a dei volontari specializzati nella ricerca di bambini scomparsi. Qui Neljubov si distingue da “Leviatan”, la precedente pellicola di Zvjagintsev. Se questo vuole illustrare il degrado politico-religioso del grande paese slavo e ortodosso, “Loveless” apre uno squarcio sulla società civile russa.
Di fronte a vite familiari avvolte dall’indifferenza, a genitori che trascurano i figli, a partner che si tradiscono l’un l’altro, a relazioni intime sbalestrate dalle menzogne, i volontari si rivelano i personaggi più umani dell’opera. L’indifferenza dei consanguinei, è compensata dagli estranei. Sono loro a intervenire, sostenere e aiutare.
Secondo quanto sottolineato dallo stesso regista, il modello dell’organizzazione umanitaria presente nel film è Liza Alert. Alcune cifre fanno capire il ruolo svolto in Russia da questa struttura.
Nel 2016 l’intervento di Liza Alert è stato ufficialmente chiesto per risolvere la scomparsa di più di seimila persone. Di queste, l’ottantanove per cento, giovani di età compresa tra zero e diciotto anni, è stato ritrovato. Secondo dati forniti dall’organizzazione nata a Mosca nel 2010, quotidianamente in Russia si perdono le tracce di circa centocinquanta-duecento persone.
Per il fondatore della struttura umanitaria Grigorij Sergeev, è come se “ogni giorno un Boeing si volatilizzasse improvvisamente”. Un dramma sostiene l’attivista che “lo Stato per chissà quale ragione, preferisce mantenere in secondo piano”.
Il fenomeno della scomparsa dei minori è stato studiato da Nikolaj Kofyrin. Dalle ricerche del sociologo risulta che in Russia ogni anno scompaiono diecimila tra bambini e adolescenti. Cifra da inquadrare dentro la più vasta crisi famigliare della Federazione.
Col fallimento del cinquanta per cento dei matrimoni registrati, il paese occupa il primo posto al mondo per numero di divorzi, di bambini nati fuori del matrimonio e di figli abbandonati. Nel 2012 erano ventimila i bambini scappati di casa e ricercati dalla polizia. Nel 2014 più di trentaseimila uomini e donne sono stati privati della potestà genitoriale. Quello stesso anno il paese registrava centomila orfani, ma l’ottantacinque per cento di questi aveva ancora in vita i genitori.
Sempre nel 2014 nelle famiglie russe erano commessi undicimila crimini contro i minori e secondo il capo del Comitato investigativo federale russo, Aleksandr Bastrykin, duemila di questi erano delitti gravi che avevano causato centosessanta morti per violenza sessuale.
È a questo sfascio che cercano di opporsi le unità di volontari di Liza Alert. Gli uomini e donne che silenziose e professionali si mettono alla ricerca di Aljosha non rappresentano solo l’alternativa all’indifferenza per i destini altrui. Non testimoniano solo il collante dell’impegno civile senza il quale si dissolvono i legami di qualsiasi collettività.
L’attività di volontariato sociale di Liza Alert richiama l’attenzione sul nuovo impegno dei ceti urbani russi e il loro tentativo di reagire al giro di vite con cui il potere ha spento le proteste civili dell’autunno-inverno 2011/12.
Secondo Zvjagintsev il “triste” 2012 segna anche il momento in cui avviene quel “serio cambio di paradigma” che ha fatto “dell’uomo libero un essere perduto”, mentre la censura si è trasformata in un “demone interiore” che ha spinto la collettività a “darsi il silenzio”.
Con la sua ultima opera Zvjagintsev fa capire di ritenere possibile la solidarietà anche dove l’egoismo frantuma la vita associata.
Un’opzione che non passa dalla politica, assente dal film se si escludono dei frammenti radio televisivi citati all’inizio e alla fine.
Una trasmissione radio dell’ottobre 2012 informa che secondo il calendario maya la fine del mondo avverrà nel dicembre di quell’anno. Ora, come ricorda Zvjagintsev, il 28 dicembre 2012 la Duma approva la legge che blocca l’adozione degli orfani russi da parte delle famiglie americane.
Nelle scene finali, febbraio 2015, sarà invece la tv ha richiamare direttamente l’altra apocalisse, questa ben più reale, della guerra nell’Ucraina orientale. Tre anni, due inverni, che per Zvjagintsev segnano il “collasso di ogni illusione” e la nascita di un “altro stato“ russo.
Secondo il suo autore, Neljubov’ “è una storia privata, senza motivi politici”. Una storia “molto dolorosa” che pur svolgendosi “all’interno di una famiglia, dentro una persona, su un fronte privato”, rende difficile a molti “prendere posizione”.
Una storia intima in cui però si riflettono
i danni subiti dal clima spirituale del paese: la spaccatura colossale della nazione, un’aggressività diffusa e sottotraccia, la mostruosità di quanto avvenuto con l’Ucraina, la militarizzazione delle coscienze.
Zvjagintsev respinge completamente l’idea di “essere un regista antirusso” che gira film “indirizzati contro la nazione”. Stupefacente è per lui che simili attacchi provengano da “persone semplici”, che il film “possa essere respinto da coloro in nome dei quali è stato fatto”.
Al contrario chi “condanna senza vedere” non merita risposte.
Come discutere della Russia senza mostrare la vita dei suoi cittadini?
Per il suo autore l’unico scopo di “Neljubov’”-“Loveless” sta nella difesa dei “comuni mortali dalle angherie del potere che nei loro confronti si comporta come gli pare e piace”.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!