La tragicommedia del ponte

Silvio Berlusconi ripropone il ponte sullo stretto di Messina. Nonostante le infiltrazioni mafiose, le ferrovie siciliane a binario unico e i molti soldi spesi in questi anni, inutilmente.
GIORGIO FRASCA POLARA
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Ci risiamo. Passano gli anni, anzi i decenni, e Silvio Berlusconi risfodera l’arma del ponte sullo stretto, convinto che serva da acchiappa-voti. Come fu quando appose imperiosamente un tratto di pennarello tra Scilla e Cariddi sulla lavagna esposta trionfalmente a “Porta a porta” dal sempre compiacente Bruno Vespa. È una tragicommedia che si trascina oramai da quarantasei anni, da quando in pieno regime democristiano il governo presieduto da Emilio Colombo decise di dar vita a una società incaricata di progettare e realizzare il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria.

Da allora una sarabanda di stop-and-go, mercanteggiamenti vergognosi, sprechi inauditi, traffici di poltrone e sfacciate intromissioni della criminalità mafiosa sino a quando, finalmente, nel 2013 una legge del governo Monti impose la liquidazione della società Stretto di Messina. La liquidazione doveva esser completata nel giro di un anno, e invece

l’onere per il mantenimento in vita della società concessionaria, sceso sotto i due milioni di euro solo nel 2015, risulta ancora rilevante essendosi attestata, per il 2016, sopra il milione e mezzo, con una previsione per il 2017 pari ad un milione di euro.

Una cifra in cui sono compresi gli emolumenti per il commissario liquidatore Vincenzo Fortunato (ex capo di gabinetto di parecchi ministri economici del centrodestra), che nel 2014 percepiva 174mila euro l’anno, scesi ora a 135mila. La denuncia è contenuta nella relazione della Corte dei conti su “Lo stato della liquidazione di Stretto di Messina Spa” (deliberazione del 30 ottobre 2017, n. 14/2017/G) che ricorda quanto è stato speso sino a oggi per questo baraccone truffaldino, senza contare le fasi preparatorie (quando la società contava centinaia di addetti, una sede prestigiosa, un presidente e un consiglio di amministrazione) e il sostegno finanziario dell’Anas:

spesi 312 milioni e 355 euro per progetto definitivo, monitoraggio ambientale, aggiornamento del piano finanziario, attività per la stipula dell’atto aggiuntivo.

Eppure appena ieri, nel corso della campagna elettorale siciliana, il candidato del centrodestra alla presidenza della regione, Nello Musumeci, ha messo nero su bianco nel suo programma la cancellazione della legge Monti: “Il ponte è una necessità, ci batteremo per la sua realizzazione”. E, a dargli manforte, quando è piombato in Sicilia, ecco Silvio Berlusconi spendersi per il ponte: non c’è stato un solo suo intervento pubblico in cui la prospettiva del collegamento stabile sullo stretto non sia riapparsa come una “priorità del mio governo”, se anche in Italia il 4 marzo prevalesse il centrodestra.

Per Berlusconi si tratta di una sorta di rivincita, dal momento che il punto più alto della campagna per il ponte si identifica proprio con lui, erede dei suoi padrini socialisti che erano stati i primi ad alimentare la fola del collegamento con “il ponte più lungo del mondo, una campata unica di 3,3 chilometri dove passeranno ferrovia e auto”.

Certo, il parere contrario espresso (a suo tempo) dalle due regioni interessate, un obbligo stabilito dalla Corte costituzionale, pesava. Ma quando dalle parole della legge Colombo (1971) si passò alle prime procedure concrete (passarono più di dieci anni), l’allora ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, il socialista Claudio Signorile, proclamò: “il ponte si farà entro il 1994”.

E l’anno dopo, era il 1985, il presidente del Consiglio pro-tempore Bettino Craxi non fissò termini precisi ma assicurò: “il ponte sarà presto fatto, appena conclusi i lavori preparatori sulle due sponde”. E infatti sulla costa calabrese cominciarono i lavori (miliardi su miliardi di lire) per allestire un nuovo scalo ferroviario in asse con il previsto punto di approdo del collegamento.

La gara per il progetto preliminare, approvato nel 2003 dal Comitato interministeriale per la programmazione economica, fu vinta due anni dopo da un consorzio tra l’italiana Salini-Impregilo, la spagnola Sacyr e i giapponesi Harima: previsti quasi quattro miliardi di spesa. Ma di lì a poco Romano Prodi vinse le elezioni e tra i primi atti del governo di centrosinistra ci fu la revoca dei finanziamenti pubblici al progetto. Operazione congelata. Ma alla successiva tornata elettorale arrivò Berlusconi e l’operazione-ponte ripartì, e salirono paurosamente i costi previsti: prima oltre 5 miliardi, poi lievitati a 6,7 e infine saliti a 8,55. Dall’opposizione si griderà allo scandalo: “Impieghiamo questi soldi per rimettere in sesto le scuole del Paese!”.

Ma poi Berlusconi – nel vivo di una drammatica crisi economica – è costretto alle dimissioni e il governo Monti decide un nuovo, definitivo blocco con la “caducazione” della concessione dei lavori al consorzio internazionale e lo scioglimento della società Ponte di Messina, aprendo però un contenzioso con le imprese vincitrici dell’appalto che reclamano la rifusione dei danni per la bazzecola di 790 milioni di euro. La causa è tuttora in discussione davanti al tribunale di Roma. Dal 2014 in poi, i tre governi di centrosinistra (Letta, Renzi, Gentiloni) non hanno fatto parola del ponte, e anzi qualche giorno fa il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha spiegato che “il vecchio progetto del ponte sullo stretto è morto e sepolto”.

Ma rieccolo, Berlusconi, senz’altro potere oggi che la sua demagogia, la sua voglia di rivincita, il rifiuto di considerare quali dovrebbero essere le reali priorità per la Sicilia dove, ad esempio, quasi tutta la rete ferroviaria è tuttora a binario unico, dove le autostrade e i cavalcavia – realizzati con l’attivo concorso della criminalità mafiosa – crollano o sono pericolanti, dove l’occupazione è ai minimi storici e dove acutissima è la crisi delle cattedrali nel deserto.

E senza contare (oltre al costo in sé della colossale opera) i quattro problemi cui nessuno è stato capace di fornire una soluzione convincente: le violente correnti marine e ventose che percorrono proprio il tratto che separa la costa estrema della Sicilia da quella della Calabria; il fatto che Messina e Reggio sono comprese in una pericolosissima zona sismica: un secolo addietro una città fu completamente rasa al suolo e l’altra subì gravissimi danni; il fenomeno geologico (in relazione anche ai terremoti) accentuatosi negli ultimi anni del progressivo allontanamento dell’isola dal continente, per il gioco di due faglie contrapposte; i ripetuti allarmi lanciati dalla Direzione investigativa antimafia al Parlamento con le informative sui tentativi di cosa nostra e della ‘ndrangheta di interferire nella realizzazione del ponte con l’acquisizione di subappalti, guardianie, ecc.

Ha detto testualmente Berlusconi in Sicilia, qualche settimana fa: “Prima di morire spero di attraversare il ponte”. È stufo di camminare sulle acque.

La tragicommedia del ponte ultima modifica: 2018-01-04T19:10:16+01:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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