A cinquant’anni dal Sessantotto, l’Europa è investita da un movimento contrario, fatto di pulsioni reazionarie che stanno prendendo piede nei vari angoli del continente. Rispetto ad allora, la demografia è cambiata, così com’è cambiato il rapporto tra classe e potere.
Ma non si può tornare indietro, perché questo vorrebbe dire contraddire il destino dell’epoca,
mette in guardia Massimo Cacciari.
Con il filosofo e politico veneziano abbiamo tentato di tracciare i contorni della transizione che sta attraversando il nostro continente. Un processo che, secondo l’ex sindaco di Venezia, si concluderà solo quando nasceranno in tutto l’Occidente società veramente multietniche, come quella americana.

Massimo Cacciari al Festival della Politica, Mestre, 9 settembre 2017
Cacciari, oggi assistiamo a un Sessantotto al contrario, con l’ascesa di forze conservatrici e nazionaliste in vari paesi europei. Il mondo moderno sta tornando alle origini?
Siamo in una fase di transizione. Il ritorno ad astratte identità nazionali e ad astratte sovranità tipiche dello stato moderno di una volta è semplicemente impossibile, perché contraddice il destino dell’epoca. Viviamo in un periodo in cui il vecchio modello non è più efficace e un modello nuovo di governo politico a livello sovranazionale non è stato ancora inventato.
Verso cosa stiamo andando?
Difficile dirlo, bisognerebbe essere profeti. Quello che possiamo affermare con certezza è che non si ritornerà ai vecchi modelli statalistici. Questi, però, oggi sono ancora molto forti e conoscono un ritorno in auge grazie alla crisi e alla disillusione rispetto a un governo sovranazionale in grado di guidare l’Europa.
L’Unione europea può diventare un’alternativa al sovranismo?
Se continua così, se non ci saranno riforme europee radicali ed efficaci, le posizioni sovraniste avranno ancora più spazio e voce. Le politiche economiche vanno cambiate, le politiche fiscali e sociali devono conoscere un processo di armonizzazione e le istituzioni europee devono riformarsi, nella direzione di una vera democrazia. Gli organi europei devono essere finalmente in grado di decidere a maggioranza. Oggi tutto in Europa è ancora affidato alla volontà e alla potenza degli stati.
La società odierna è molto meno demograficamente omogenea rispetto al Sessantotto. Cosa vuol dire oggi essere italiani quando si vive in un quartiere abitato perlopiù da persone di origine straniera?
C’è un problema di integrazione e acculturazione reciproca, ma è chiaro che anche qui siamo di fronte a un destino: le società europee saranno, come è avvenuto negli Stati Uniti, sempre più multietniche.
L’immigrazione non è un’emergenza. La stiamo trattando come se fosse un’emergenza, un terremoto, ma è, invece, un tema che riguarda il nostro destino. Abbiamo di fronte un processo di lunghissimo periodo che continuerà inevitabilmente per tutti i prossimi decenni e chissà per quanto ancora, fino a che nasceranno in tutto l’Occidente società veramente multietniche, come quella americana.
Mentre nel Sessantotto le classi sociali erano più definite, oggi in Italia abbiamo una grandissima classe media, che racchiude condizioni e esperienze molto diverse. Com’è cambiato il rapporto tra classe e potere?
Dobbiamo riflettere su tutta la storia di questo periodo. Ci sono tante trasformazioni, tecnologiche e nell’organizzazione del lavoro. Queste hanno cambiato completamente la composizione sociale del Sessantotto, da un lato, riducendo drasticamente il peso del tradizionale operaio manifatturiero e, dall’altro, moltiplicando le professioni.
Le nuove professioni sono tutte parcellizzate, ognuna ha una sua identità. Questo non significa che sia venuto meno il lavoro dipendente, ma la dipendenza di questa miriade di professioni si percepisce molto meno. È, infatti, facile percepire la figura del lavoro dipendente quando ogni mattina vedi centinaia, migliaia di operai in bicicletta, macchina o moto, recarsi in fabbrica o in ufficio.
Oggi questa percezione non ce l’abbiamo più…
Ma questo non significa che sia tutto una marmellata sociologica. Queste professioni sono individualità vere, ognuna ha il proprio carattere, ma al tempo stesso dipendono da un sistema che è sempre più anonimo. Questi professionisti non se la possono prendere più con il padrone.
Rispetto al Sessantotto, la situazione è completamente diversa, dal punto di vista politico, sociale e sindacale. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte a un processo che non può essere fatto tornare indietro.

Massimo Cacciari con Ezio Mauro, a destra, e Piero Fassino al Festival della Politica, Mestre, 9 settembre 2017
Nel Sessantotto il rapporto tra politica e pensiero forte era molto più evidente. Oggi la politica ha ancora bisogno di una visione?
Non è che nel Sessantotto ci fosse tutto questo pensiero forte. C’erano delle ideologie forti, ma questo non vuol dire la stessa cosa di pensiero. Pensiero significa competenza e conoscenza dello stato delle cose. Nel Sessantotto c’era tanta pseudo-profezia, tanta ideologia. Non è che ci fossero tante conoscenze, tante competenze.
La politica ha una speranza di riuscire a governare i processi di cui abbiamo parlato solo se sarà ben formata, ben costruita e ben organizzata. La crisi contemporanea e la transizione di cui si è parlato non si può affrontare con la politique d’abord.
Ma?
Ma la politica oggi è pura chiacchera, pura demagogia, puro populismo.
E allora, come può avvenire la metamorfosi dalla politica attuale a una politica competente, preparata e ben organizzata?
Non ne ho la più pallida idea. Credo che sarebbe necessario che ciò avvenisse. Ma necessario non vuol dire possibile.

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