Entro il 21 gennaio occorre presentare simboli, programmi e candidati. Poi la campagna elettorale entrerà nel vivo senza esclusione di colpi. Ma il clima è già da tempo arroventato con un centrodestra in coalizione in cima ai sondaggi e in crescita costante malgrado i dissapori neppure sotto traccia tra Berlusconi e Salvini, un ex centrosinistra inesistente, un Pd che rischia di assestarsi poco più su del venti percento mentre Liberi e uguali sogna un risultato improbabile a due cifre. Dal canto loro, i 5 Stelle pensano invece di uscire dalle urne con il risultato storico di primo partito e di potere avere le mani libere per trattare con chiunque: Liberi e uguali o Lega è indifferente. Un quadro non esaltante, verrebbe da commentare guardando poi alla genericità dei programmi che pure distinguono uno schieramento dall’altro.
Il 4 marzo potrebbe esserci dunque un risultato assai lusinghiero per la destra capeggiata da Berlusconi come nel 1994, più o meno stessa coalizione con Meloni al posto di Fini. E di converso, pur nel quadro politico che ne verrebbe fuori, nella maggior parte delle stanze della sinistra si potrebbero stappare bottiglie di spumante con tanto di tappi che fanno il botto per festeggiare la morte (politica, s’intende) di Renzi e del renzismo accompagnata dal teorema che è responsabilità del Pd e dei governi Letta, Renzi, Gentiloni se la destra ha rialzato la testa. Come se le sinistre (moderate e radicali) godessero invece di buona salute in Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna e non dovessero fare i conti pure lì con la ridefinizione di se stesse e la riapertura di un confronto, pena sconfitte a ripetizione.
Certo, Renzi sembra arrivato al capolinea. Dopo la sconfitta patita nel referendum costituzionale, non si è più ripreso: la sua è diventata una politica di contenimento dei danni, con polemiche pressoché quotidiane (le banche, le telefonate con De Benedetti, l’inconsistenza di alleati). La verve renziana del passato è rimasta solo quando attacca i 5 Stelle e difende l’operato suo e di Gentiloni. Quest’ultimo resta una carta preziosa da giocare nella possibilità di un governo di unità nazionale, sul modello di quello che va in scena in questi giorni a Berlino.
L’effetto Germania non va sottovalutato nelle sue ripercussioni sul caso italiano e negli equilibri europei. La politica di puro contenimento di Renzi fa però già balenare i temi del dopo voto in casa piddina: chi riattaccherà i cocci e ridefinirà identità e possibili alleanze? (Prodi e Veltroni con una inedita leadership?).
Di Pietro Grasso – mentre c’è in questi giorni l’inspiegabile silenzio di D’Alema su Lazio, Lombardia e prospettive – colpisce il piglio con cui svolge il nuovo ruolo di leader politico, come se dirigere una lista elettorale e un possibile partito in fieri si potesse fare solo rivendicando autorità e disciplina come avviene nei pool dei magistrati. Il suo “io” rischia di far scricchiolare il progetto di Liberi e uguali. Dichiara infatti a Sky Tg24:
Nel Lazio la situazione, rispetto alla Lombardia, è diversa. Ho convocato anche per il Lazio un’assemblea dei delegati regionali che mi hanno dato un mandato per trattare con Zingaretti. In Lombardia il cambiamento del candidato di centrodestra non può far cambiare tutto.
Esulta perciò Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, per il mancato sostegno a Gori. Un po’ meno Laura Boldrini, critica verso mancate alleanze e l’eccesso di dialogo con i grillini. Replica Grasso, sempre a Sky Tg24, in veste da Napoleone:
Nessun problema. Comprendo Boldrini, ma decide qualcun altro. Decido io? Certo. [E aggiunge:] Il voto a noi rappresenta quelli che sono i valori e i principi della sinistra. Renzi ha cambiato la sua politica spostandola verso destra. Noi cerchiamo di recuperare i voti che ha perso Renzi.
Quanto al programma, quello di Liberi e uguali è ambizioso: cancellare il “jobs act” e la “buona scuola”, cambiare la legge elettorale, reinserire l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, togliere dalla Costituzione l’obbligo della parità di bilancio, ricontrattare il deficit con l’Unione europea, eccetera. Lo slogan della campagna elettorale ha inoltre il copyright efficace del Labour party di Jeremy Corbyn: “Per i molti. Non per i pochi”.
Quale sia la maggioranza che può realizzare il programma di Liberi e uguali resta tuttavia un rebus, mentre si attende la morte (politica) di Renzi. Il miraggio è quello di convincere Gigino Di Maio a guardare a sinistra. Chissà… Di solito la politica non fa miracoli.

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