Poco sappiamo, davvero, di Viola Carofalo “capo politico” di Potere al Popolo, ma quel che sappiamo ci piace. La lista Potere al Popolo, che da vecchi militanti abbrevieremo PotPop, nasce sulle ceneri delle assemblee del Brancaccio cioè dall’ultimo, ma mai definitivo, tentativo di riunire la sinistra sotto l’egida del duo Falcone Montanari. Il tentativo è naufragato per opposte incomprensioni e simmetriche furbizie, lasciando sul campo proprio lo storico dell’arte fiorentino e l’avvocata calabrese.
PotPop nasce da quel fallimento e rappresenta una salvezza per i vecchi bolscevichi – come chi scrive – che non si rassegnano a farsi rappresentare da un illustrissimo magistrato in congedo con vaghe idee di sinistra liberal e un ego un po’ ipertrofico.
Né mi si può chiedere di votare per devozione a un ceto politico rispettabilissimo – da Bersani a D’Alema, da Bassolino a Civati – battuto da Renzi che ripete ossessivamente il mantra sinistra di governo.
Benedetti, quindi, sono stati questi venti/trentenni che hanno tolto dall’impaccio una quota non insignificante di elettorato di sinistra antiliberista, e persino anticapitalista, dall’onta dell’astensione.
Potere al Popolo, dunque, è nata con un progetto: rivitalizzare uno spazio politico di reduci del ’68, del ’77, dell’ ’81 e del 2001 connettendolo con le nuove contraddizioni: la precarizzazione del lavoro, l’aumento vertiginoso delle ingiustizie e della sperequazione del reddito, lo scontro potenzialmente letale tra capitale e ambiente, l’accoglienza delle migrazioni e la cooperazione allo sviluppo Nord-Sud.
Così non stupisce un programma caratterizzato da un’autentica difesa della Costituzione repubblicana – a eccezione dell’art. 7 in materia di rapporti tra Stato e Chiesa – che colloca PotPop certamente all’opposizione del sistema, compreso il Movimento di Grillo/Casaleggio, ma non tra le forze estremiste.
Difendere la Costituzione, infatti, significa difendere un compromesso tra capitale e lavoro che, ben più di Renzi, ha messo in discussione l’introduzione del pareggio di bilancio voluto da Letta e Bersani.
Un’altra novità positiva è la collocazione della forza tra quelle garantiste, nel senso della difesa delle libertà individuali, e non aduse a parole d’ordine securitarie o emergenzialiste nemmeno nelle forme edulcorate di Minniti.
Poiché, tuttavia, non siamo ingenui e sappiamo che il programma non è l’unico vettore di consenso, siamo convinti che la lista possa, se avrà la possibilità di essere conosciuta, raccogliere voti per il metodo e per la capo politico.
Il metodo è sostanza in politica ed è, sicuramente, quello giusto. Sono state svolte assemblee in tutti i collegi elettorali maggioritari della Camera in cui si è costruito il programma, prima, e poi le liste posizione per posizione con la possibilità di ciascuno di candidarsi in base a un curriculum sociale.
Le candidature sono state orientate al massimo ringiovanimento essendo stato previsto tra i criteri le candidature di uomini e donne con esperienza di governo nazionale e regionale e con dieci anni di parlamento o consiglio regionale alle spalle.
Ci sono certamente candidature testimoniali: Lidia Menapace, Paolo Pietrangeli, Giorgio Cremaschi e altri. Sono, tuttavia, una minoranza rispetto una massa di militanti politici, con o senza la tessera di Rifondazione, del Pci o di altri gruppi e associazioni di sinistra, attivi nelle lotte antirazziste, ambientali, per la difesa della scuola e dell’università pubblica e contro i trattati europei e internazionali (Ttip, Fiscal compact ecc.).
Il metodo ha determinato anche il capo politico. PotPop ha un capo politico che non è una persona, ma è la rappresentazione di una condizione sociale.
Viola Carofalo è una dottoressa di ricerca in filosofia, alle prese come tantissimi trentasettenni, con un posto di lavoro incerto, pur in presenza di una formazione massima, con l’incertezza se stare in Italia o andare in cerca di fortuna all’estero, con l’assenza di welfare e con la volontà di non individuare il capro espiatorio nell’ultimo della scala sociale.
È l’unica candidata donna a dirigere il Paese ed è l’unica che, a differenza di Renzi, Berlusconi, Grasso e Di Maio, non nasce dalle istituzioni e non alimenta l’antipolitica dalla politica. Per questo Viola Carofalo pare una capa politica utile a lanciare il progetto elettorale della lista.
Può sembrare una stramberia la sua scelta di essere capa politica, ma di non candidarsi deputata. La scelta pare un po’ eccessiva, ma certamente è controcorrente con le pluricandidature di pessimo gusto e di dubbia coerenza costituzionale cui stiamo assistendo in tutte le liste.
Ultima annotazione leggiamo in rete che la compagna Carofalo si è formata sul neokantismo di Ernst Cassirer e sullo strutturalismo di Roland Barthes e che ha scritto una biografia di Frantz Fanon. Anche questo c’intriga in un mondo di filosofi post-strutturalisti, ermeneuti heideggeriani, ermeneuti gadameriani, hegeliani di ritorno o persino reazionari.
Domani ci sarà la conferenza stampa di presentazione alla Camera, vedremo se i media mainstream, in particolare il servizio pubblico, se ne accorgeranno e s’accorgeranno che questa lista comunista, femminista, anticapitalista è l’unica che deve raccogliere le firme per presentarsi.

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