Ultimi giorni per decidere liste e candidati. Sono in corso dure battaglie fratricide per trovare un posto, il più possibile “sicuro”.
La ghigliottina delle esclusioni e dell’incertezza pende su molte teste, anche illustri.
Siccome la nuova legge elettorale (un mix per nulla ben fatto di uninominale e proporzionale) non è stata mai sperimentata, tutti i partiti hanno timori per gli effetti manipolabili fino a un certo punto. Esperti di meccanismi elettorali e sondaggisti, prevedono un nord – salvo eccezioni a mo’ di mosche bianche – monopolio del centrodestra, un centro forse appannaggio del Pd (Toscana, Umbria, Lazio con la ex storica Emilia Romagna “rossa” in bilico), un sud a dominio 5 Stelle, briciole proporzionali infine per Liberi e uguali e altre liste salvo eccezioni.
Il centrodestra, dopo vari tira e molla, ha spostato il baricentro verso la destra di Salvini e Meloni e non in direzione del centro del Partito popolare europeo. Da qui il calcione nel sedere rifilato da Berlusconi a Stefano Parisi (Energie per l’Italia), che solo un anno fa sembrava il candidato più gettonato alla leadership centrista. E qualche calcio lo hanno ricevuto pure altri centristi (Fitto, Lupi, eccetera), pur trovando un posto in lista e giocando con i dadi a sorte per l’esito finale. Berlusconi vuole comunque fare il pieno dei voti. Per questo ha stretto un patto perfino con gli animalisti di Vittoria Brambilla, per cui ha un debole (politico) da molti anni, e vorrebbe recuperare al Senato finanche Umberto Bossi rottamato da Salvini.
L’ex Cavaliere si dice convinto che il premier sarà indicato dopo il voto da Forza Italia (intervista al Corriere della Sera di domenica) in quanto risulterà il partito più votato della coalizione di centrodestra. Ma è difficile credere che Berlusconi non pensi alla carta di riserva “alla Merkel”: presentarsi in Europa con Salvini e Meloni non è un bel biglietto da visita.
Bisognerà attendere il 29 gennaio per avere la lista completa dei candidati e capire i rapporti di forza possibili tra le tre anime del centrodestra. Pd e Forza Italia (più satelliti) avranno invece i numeri per una soluzione tedesca? L’interrogativo resterà senza risposta fino alla sera del 4 marzo.
Se i numeri fossero in bilico, sono in pochi però a credere che si riandrà al voto a breve: con i tempi che corrono, chi conquista uno scranno in parlamento fa un salto di status e di tenore di vita a cui non si rinuncia per rigore etico o coerenza politica. Ci sarà dunque tanto pane per i denti di tutti i trasformismi possibili e immaginabili.
Il Pd – stretta l’alleanza con Emma Bonino (+ Europa), Insieme (Verdi, socialisti e prodiani), centristi (la ministra uscente Lorenzin) – cerca di limitare i danni. C’è chi lo vuole sconfitto fin dai nastri di partenza. Per questo il battaglione dei ministri del governo saranno disposti in posizioni strategiche: Gentiloni a Roma, Del Rio a Reggio Emilia, Padoan nel Lazio, Orlando a La Spezia e Campania, Pinotti a Genova e Liguria, Minniti nel Lazio o nelle Marche, Franceschini in Emilia Romagna e a Ferrara, eccetera eccetera. Renzi si candida a Firenze all’uninominale e in due collegi proporzionali (uno al nord e uno al sud).
Le candidature anche nel Pd sono studiate con il bilancino: pochi posti sicuri, pochi posti alla minoranze (dove si candida Cuperlo?), varie deroghe per chi ha già fatto tre legislature. La candidatura alla Merkel di Gentiloni intanto cresce per popolarità (pare) e sondaggi: lui dà garanzie di stabilità e niente colpi di testa.
I candidati dei 5 Stelle sono fino a un certo punto una sorta di poker. Nessuno crede alle autocandidature delle “parlamentarie” del web (si sono presentati in quindicimila). Di Maio e Casaleggio hanno valutate attentamente le autopromozioni e le conferme sapendo che nel caso assai probabile di essere primo partito le mosse successive non possono essere lasciate al caso e all’improvvisazione, bisogna controllare i gruppi parlamentari. Il vero brivido lo avremo quando Gigino Di Maio presenterà la lista dei ministri.
In grande sofferenza, infine, Liberi e uguali. I posti sono pochi per chi si prevede ottenga un 7-8 per cento. Bisogna accontentare Grasso, Boldrini, D’Alema, Bersani, Fratoianni, quelli del Brancaccio (almeno Anna Falcone) e le rispettive lobby oltre quella minuscola di Pippo Civati. Poi bisogna decidere chi provare a confermare tra i deputati e i senatori uscenti. Si lavora perciò alle liste come a un rompicapo tra veti e obblighi reciproci.
Oltre al numero delle candidature da suddividere tra componenti diverse, i problemi politici sono grandi per Liberi e uguali.
Governo “del presidente” per il futuro post elettorale (senza Renzi ovviamente, come vorrebbe tuttavia D’Alema) o solo per fare una ennesima legge elettorale e tornare al voto (come afferma Grasso) o, in alternativa, rapporto privilegiato fino a una possibile maggioranza con i 5 Stelle (come vorrebbe Fratoianni e non dispiacerebbe a Bersani e Grasso)? Come se non bastasse, su Liberi e uguali c’è pure l’ombra concorrente di Potere al popolo, lista promossa da Rifondazione comunista, Centri sociali e gruppi della sinistra radicale. Ci sarà il risultato a due cifre come auspicato da D’Alema?
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