Quando parlano, quelli di Liberi e uguali tremano. Pietro Grasso non è un politico sperimentato, quindi in tv e in interviste spesso s’impappina o dice cose generiche e fumose. Massimo D’Alema di politica invece ne mangia fin da ragazzino, già ai tempi di Togliatti era piccolo “pioniere” comunista. Nel caso delle sue esternazioni, sono i dissensi politici ad affiorare tra le componenti più radicali di questo rassemblement elettorale che soffrono una presenza così ingombrante politicamente. È il prezzo da pagare per un leader-immagine scelto come super partes (Grasso) e per il ritorno alla politica attiva di un ex presidente del consiglio dalla forte personalità (D’Alema).
Tra i due, c’è pure di fatto – al di là delle buone intenzioni – un dualismo di ruoli. Chi dirime le controversie interne (per esempio in questi giorni sulle candidature che stanno scontentando i più) dovrebbe essere l’ex magistrato che l’ha ribadito in occasioni pubbliche. “Comando io, ho esperienza di come si governa una squadra”, ha detto ripetutamente facendo riferimento ai pool antimafia. Ma è D’Alema, pur rintanato nel Salento che batte paesino per paesino, più di Grasso (e del triumvirato Fratoianni, Speranza, Civati) a essere ricercato da giornali e tv che sanno bene come sia lui a far notizia quando parla e non il fumoso Grasso. I media riconoscono perciò in D’Alema il leader di Liberi e uguali e questo indispettisce Grasso, che da buon siciliano non è da meno in quanto al dualismo delle vanità avendo il suo nome nel simbolo.
Ultimo caso è l’intervista di Aldo Cazzullo a D’Alema sul Corriere nella quale nella quale l’ex deputato di Gallipoli e candidato ora del basso Salento, con voglia di tornare in parlamento dopo quattro anni di break, c’era una proposta politica non scontata per il dopo elezioni:
Una convergenza di tanti partiti diversi attorno a obiettivi molto limitati. E noi, che siamo una forza radicata nei valori democratici della Costituzione della solidarietà, dell’uguaglianza, del lavoro, daremo il nostro contributo, ponendo discriminanti di carattere programmatico per noi irrinunciabili.
Un “governo del presidente” che non si fa fatica a immaginare senza Renzi per D’Alema, forse con Gentiloni bis: larghe intese dal Pd a Forza Italia con aggiunta di chi ci sta con garanzie reciproche per il presidente Mattarella. Grasso, per non far deflagrare la lista elettorale ancora prima della prova delle urne, ha provato a correggere almeno un po’:
Un governo del presidente solo per fare la legge elettorale e per tornare al voto.

Massimo D’Alema a Mezz’ora di Lucia Annunziata
È una interpretazione alquanto riduttiva del pensiero dalemiano.
L’analisi che sorregge l’ipotesi dalemiana è come al solito non banale:
Occorrerà lo sforzo di garantire una ragionevole governabilità, mentre il parlamento avrà un compito costituente, a cominciare da una nuova legge elettorale. Il paese pagherà un prezzo alto al fallimento del renzismo, al modo disastroso, superficiale e arrogante con cui ha affrontato questioni delicatissime come le riforme.
È tuttavia di nessun appeal la prospettiva che la nuova legislatura si apra con un ennesimo tormentone sulla legge elettorale e le riforme costituzionali.
In sofferenza non c’è solo il dualismo che governa Liberi e uguali. I posti in parlamento sono pochi per una forza che si prevede ottenga al massimo un sette-otto per cento. Bisogna accontentare Grasso (che vuole candidare pure il suo portavoce Alessio Pasquini), Boldrini (anche lei vorrebbe eleggere il proprio portavoce Roberto Natale), D’Alema che sembra aver trovato un nuovo erede in Speranza, Bersani che recita in modo poco convinto il ruolo da sinistra radicale, Fratoianni, quelli del Brancaccio (Anna Falcone), Civati. Poi bisogna decidere chi provare a confermare tra i deputati e i senatori uscenti. I territori di conseguenza protestano dalla Liguria alla Calabria, dall’Abruzzo alle Marche, dal Lazio alla Toscana.
Altro elemento di tensione è il rapporto con i 5 Stelle. D’Alema (con Boldrini) batte polemico contro l’improvvisazione politica dei grillini sapendo che occorre recuperare consensi nel bacino di voti di sinistra che si sono parcheggiati in quell’area e non guardare solo agli scontenti del Pd e del renzismo. Grasso (con Fratoianni e Bersani) non demonizza al contrario una ipotesi di governo comune. Ma poi lo stesso D’Alema – a rimarcare che è lui il leader – fa il possibilista e media con le parole del politico navigato, ponendo l’opzione M5S in contrasto con il pericolo leghista:
Io non partecipo alla criminalizzazione del M5S. È più preoccupante la deriva neofascista della Lega.

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