Nella Chiesa di Francesco le radici del 68. Parla Andrea Grillo

In quell'epoca ci fu l’inizio di un tentativo di dialogo con la modernità. "Dopo cinquant’anni, siamo ancora nel pieno di un travaglio”, spiega il professore di teologia e filosofia della religione.
MATTEO ANGELI
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Il Sessantotto fu uno spartiacque anche per la Chiesa cattolica, costretta allora ad avviare un dialogo non facile con la modernità.

Che ne è della transizione cominciata in quegli anni? La Chiesa deve cambiare per sopravvivere in un mondo radicalmente diverso a quello di cinquant’anni fa? Ne abbiamo parlato con Andrea Grillo, professore ordinario di teologia dei sacramenti e filosofia della religione presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo in Roma e professore di liturgia presso l’Abbazia di Santa Giustina a Padova.

Andrea Grillo

Professor Grillo, cosa ha rappresentato il Sessantotto per la Chiesa cattolica?
È stato, innanzitutto, l’anno successivo al Concilio Vaticano II. Come gli anni immediatamente precedenti e successivi, il Sessantotto attesta un travaglio complesso, che vede in primo piano l’inizio di un tentativo di dialogo con la modernità, che la Chiesa sperimentava in qualche modo quasi profeticamente.

Un inizio di dialogo con la modernità tutt’altro che semplice…
È vero. Nel Sessantotto si registrarono anche punte di resistenza, alcune delle quali centrali alla Chiesa. In tal senso, il Sessantotto è anche l’anno dell’enciclica Humanae Vitae, che, con il suo discorso tutto incentrato su una generazione e a una sessualità pensata secondo schemi pre-moderni, ha rappresentato – per una parte della Chiesa – un punto di riferimento di resistenza al mondo moderno.

Insomma, per la Chiesa fu un anno travagliato…
La Chiesa visse il Sessantotto o come conferma della propria diffidenza o come stagione promettente di apertura, di una bontà della libertà dell’uomo. In qualche maniera, la Chiesa cattolica era preparata al Sessantotto dal documento Dignitatis Humanae, che aveva per la prima volta introdotto la libertà di coscienza. In questo senso, il Sessantotto può essere visto come un’affermazione della libertà.

Ma?
Il limite del Sessantotto è forse un’idea di autorità un po’ forzata, distorta e questo nella Chiesa cattolica ha fatto molto discutere e fa discutere ancora oggi. A cinquant’anni dal Sessantotto siamo ancora nel pieno di un travaglio iniziato allora.

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A cinquant’anni dal Sessantotto, come si orienta la Chiesa di fronte a un mondo dove tutto sta diventando incerto e contingente?
Nel Sessantotto, la Chiesa, che aveva vissuto l’affermazione del mondo moderno come un trauma, cominciava a capire che non tutto ciò che muta è negativo e non tutto ciò che è vecchio è positivo.
Questa cosa oggi va declinata in modo diverso: il mondo cambia a velocità molto più rapida ed è molto più facile, rispetto a cinquant’anni fa, pensare la fede cristiana come una sorta di roccia immutabile, che deve semplicemente ripetere sé stessa. Questa è una caricatura della Chiesa.

In che senso?
La Chiesa nei secoli è sempre stata capace non di adattarsi al mondo, ma di dire il Vangelo in modo più adeguato. Questa operazione oggi la fanno in molti nella Chiesa, ma, da quando da poco meno di cinque anni la fa il Papa, la cosa è diventata ancora più evidente e, per alcuni, più scandalosa.

Ma, quindi, la Chiesa deve o non deve cambiare?
Se diciamo che deve tradurre la dottrina, allora non deve cambiare, perché la dottrina è sempre la stessa. Tuttavia, per tradurre la dottrina ci vuole il coraggio di usare parole, gesti e linguaggi nuovi per dire la stessa cosa.

Come fa Francesco…
Francesco è un segno dei tempi, perché è convinto che non ci sia alternativa a una traduzione molto coraggiosa della dottrina morale, della dottrina familiare, della dottrina del ministero ordinato, del modo di vivere la relazione ecclesiale, contro l’idea che il prete deve essere come nell’Ottocento e la Chiesa come nell’Ottocento.

Per molti il modello ottocentesco è l’unico modello possibile di cattolicesimo…
Perciò la questione di fondo è: accettiamo di tradurre il Vangelo a vantaggio degli uomini e delle donne o pensiamo, invece che per capirlo, si debba leggerlo come duecento anni fa?

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I detrattori di Francesco lo accusano di essere un “comunista”. Cosa pensa di questo accostamento del Papa ai valori della sinistra?
In questo giudizio si usano categorie vecchie. Se, da un lato, è chiaro che, in generale, destra e sinistra qualche senso lo hanno ancora, dall’altro lato, è anche vero che una destra aperta sa che non c’è alternativa oggi a un mondo di movimento, di migrazioni, di passaggi di identità. Pensare di risolvere la metamorfosi del mondo tardo moderna con la vecchia idea di nazione non è né di destra né di sinistra, ma semplicemente cieco.
Il Papa dice semplicemente cose di buon senso, che, ovviamente, non prende semplicemente dal buon senso, ma dal Vangelo.

Ci spieghi meglio…
Riconoscere la dignità di ogni uomo e di ogni donna – e questo, va notato, è un valore cristiano diventato uno dei valori della modernità – non prevede l’esclusione a priori di un soggetto solo perché non appartiene a una determinata comunità politica. In questo senso, l’idea dell’accoglienza è una grande idea moderna, che destra e sinistra dovrebbero avere in comune.
E poi, anche se il mondo moderno è nato in larga parte contro la Chiesa, l’idea di fondo di uguaglianza, fraternità e libertà è una grande idea cristiana. Questo lo abbiamo capito con il Concilio Vaticano II.

Quindi?
Papa Francesco ripete che, in un mondo fortemente tentato di chiudersi a livello nazionale, economico e di identità, l’apertura è la logica dell’uomo e di Dio, contraddicendo la quale si generano mostri. In ogni nostra famiglia c’è un migrante, ma, paradossalmente, ce lo siamo dimenticati. Politicamente, questa è una cecità.

Pio XII e Giulio Andreotti (a destra)

L’influenza della religione sulla politica si è esaurita con la fine dei partiti di ispirazione cristiana?
È nella logica delle cose che l’influenza della religione sulla politica abbia bisogno di mediazioni nuove e non possa contare semplicemente sul fatto che il Vescovo telefona al politico di turno per ottenere il rispetto della logica credente.
Oggi dobbiamo essere lucidi nell’acquisire il valore della laicità dello stato, che è un valore obiettivo. Da questo punto di vista, il vero problema non è tanto che la fede non ha incidenza sulla politica, ma, piuttosto, che la politica risponde a logiche di corto respiro e non riesce a sintonizzarsi con le esigenze del bene, della fratellanza, della libertà e dell’uguaglianza, sfruttando logiche di chiusura, che nell’immediato parlano di più.

Che ruolo può avere la fede in un tale contesto?
Le religioni aiutano a tenere presente la dimensione di lungo respiro, quando non diventano semplicemente ideologie per supportare di volta in volta l’affermazione di un valore “secco”, che a sua volta lacera. Non è che la politica non tiene conto della religione, ma la usa come slogan provvisorio, per fare la guerra o fare la pace, a favore o contro la vita.
Succede che destra e sinistra si alimentino di piccole o grandi parole di Francesco, che estirpate dal contesto possono servire solo a operazioni di piccola portata, mentre Francesco fa discorsi di grande portata.

Ma Francesco non ha immediatamente una responsabilità politica…
Sì, e in tal senso è giusto che la politica tenga conto anche di altri elementi. Ma quando si riferisce alla religione non deve rifarsi a semplici affermazioni, per quanto importanti, ma piuttosto a un respiro di fondo.

Pio IX

Nella politica, i partiti si identificano sempre di più con il loro leader. Sta succedendo la stessa cosa alla Chiesa con Francesco?
Il “fenomeno Bergoglio” è la sequenza di tanti altri fenomeni. Non è Bergoglio ad aver inventato la personalizzazione del papato. Questa risale almeno a Pio IX. Da Pio IX in poi, infatti, si è fatto di tutto per far diventare il Papa un protagonista del dibattito politico, che se la vede con i grandi capi di stato. Questa è una risposta della Chiesa alla modernità. Una risposta ambigua, perché il valore del Papa non è quello di attirare su di sé l’attenzione ma piuttosto di rifrangere la luce altrove.

Francesco, un protagonista inevitabile?
Questo è dovuto anche alle caratteristiche del suo messaggio, che, però, se andiamo a leggere al di là degli slogan, è un messaggio che insiste continuamente sul bisogno di uscire dall’accentramento sul Papa e sul Vescovo, recuperando una soggettività ecclesiale comunitaria. In questo senso, Francesco ha molto insistito sulla necessità di liberarsi dall’autoreferenzialità e, innanzitutto, dall’autoreferenzialità papale.

Sarebbe a dire?
Bergoglio sfrutta il fatto di avere su di sé tutta l’attenzione, ma sa anche che questo è uno dei suoi limiti. È sufficiente leggere Amoris laetitia per capire che la pastorale familiare non la fanno più solo i Vescovi, ma la fanno anche i parroci e gli sposi, nella particolarità della Chiesa così come distribuita nei cinque continenti.
Questa cosa, così forte, non la sentivamo da duecento anni ed è una grande novità, di fronte alla quale alcuni restano scandalizzati, proprio perché contraddice l’idea del “chiedi al Papa e il Papa risolve”. Quest’ultima è un’idea “napoleonica” di papato. Il papato che risolve tutto dal centro è una figura tardo moderna della Chiesa cattolica, che dobbiamo superare.

Nella Chiesa di Francesco le radici del 68. Parla Andrea Grillo ultima modifica: 2018-01-24T09:31:23+01:00 da MATTEO ANGELI
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