Eurozona, la ripresa c’è. Ma…

Al di là degli andamenti del ciclo economico, l’area monetaria euro mostra tuttora criticità intrinseche. Ne sono convinti quattordici economisti francesi e tedeschi autori del documento "Come riconciliare la condivisione del rischio e disciplina di mercato nell’eurozona"
FRANCESCO MOROSINI
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La ripresa economica c’è, globalmente. E pure nell’area euro pare tornare il sereno. Lo conferma il Bollettino economico n.8, dicembre 2017 della Bce che afferma:

In prospettiva, le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate in dicembre dagli esperti dell’eurosistema prevedono una crescita annua del pil in termini reali pari al 2,4 per cento nel 2017, al 2,3 per cento nel 2018, all’1,9 per cento nel 2019 e all’1,7 per cento nel 2020. Rispetto all’esercizio svolto dagli esperti della Bce lo scorso settembre, le prospettive di crescita del pil sono state riviste al rialzo in misura considerevole.

In questa prospettiva anche quel tanto d’inflazione (l’obiettivo prefigurato dalla Bce è del due per cento) necessaria a “ungere” le ruote della ripresa economica dell’eurozona dovrebbe manifestarsi.

Nondimeno, almeno rispetto ai parametri classici della manualistica economica post Seconda guerra mondiale che correlavano crescita a moderata inflazione, tuttora i prezzi paiono muoversi piuttosto lentamente all’insù.

Per Francoforte a frenare sono le materie prime e i beni energetici; in particolare, riguardo a questi ultimi, sebbene negli ultimi mesi il prezzo al barile del greggio di qualità sia cresciuto, purtuttavia i contratti future ne fanno presumere una sua dinamica più moderata.

Ciò posto, però, al netto del fattore commodities, per la Bce l’inflazione di fondo dovrebbe avvicinarsi al livello auspicato per il progressivo ridursi nell’eurozona della capacità produttiva inutilizzata; e, a ogni buon conto, l’autorità monetaria europea continuerà a fare ricorso, almeno fino al raggiungimento di un obiettivo vicino al due per cento auspicato, a una politica monetaria espansiva. Tutto bene, dunque? Finalmente l’eurozona ha imboccato una strada solida e destinata a consolidarla in via definitiva? Solo parzialmente.

Certo, negare i passi avanti fatti sarebbe errato; come anche lo sarebbe rifiutarsi di riconoscere che il vento di ripresa, purtroppo per l’Italia tuttora più labile che oltralpe, potrebbe consolidare l’unione monetaria europea (Ume) che, viceversa, la crisi ha teso a sfasciare. Ciononostante, alcuni rischi permangono; anzi, paradossalmente, proprio l’avviata ripresa potrebbe aprire la porta a problemi difficili da gestire.

Più precisamente mettere i paesi dell’euroarea meno solidi in termini di finanza pubblica in situazioni di particolare difficoltà; tra questi, ad esempio, l’Italia. La questione, spinosa, è quella del debito pubblico; questione che, difatti, proprio la progressiva fine del “pronto soccorso monetario” della Bce (suoi acquisti di debito sovrano e conseguente deciso effetto calmiere sulla sua remunerazione) potrebbe tornare a rendere critica.

Se a ciò si aggiunge la massiccia presenza di debito sovrano (pubblico) nei bilanci delle banche e il fatto che maggiori tassi d’interesse ne abbatterebbero il valore spingendole nel precipizio, allora ne consegue immediatamente che il binomio ripresa/ritorno della Bce a politiche monetarie più restrittive potrebbe riportare l’Ume a momenti assai critici.

Il punto è che, al di là degli andamenti del ciclo economico, l’area monetaria euro mostra tuttora delle debolezze intrinseche. Di questo sono convinti quattordici economisti francesi e tedeschi (fatto significativo appartenendo entrambi i gruppi a quelli che ad ora sono i principali motori d’Europa) che, difatti, hanno scritto il documento Come riconciliare la condivisione del rischio e disciplina di mercato nell’eurozona proprio al fine di denunciarne le debolezze intrinseche impiombandone le ali. Si tratta di studiosi che, pur riconoscendo il già ricordato sollievo offerto, specie per i paesi più fragili dell’area euro, dai segni di ripresa che vi si manifestano, purtuttavia affermano che sarebbe un grave errore rifiutarsi di vedere l’estrema fragilità di essa.

A produrla vi sono, certo, le radicali diversità economico-politiche che si riflettono negativamente sulle condizioni di sviluppo di lungo periodo; in altri termini, di certo l’Ume è piuttosto lontana dall’essere un’area monetaria ottimale.

1 Tuttavia, quanto al primo punto, si tratta di elementi di fragilità intrinsechi ad ogni area: negli stessi Usa, ad esempio, la cosiddetta “cintura di ruggine” (quel Nord-Est degli States tra i Grandi laghi e il Midwest) è economicamente distante anni luce dalla Silicon Valley californiana; eppure, condividono il dollaro.

2 Quanto al secondo punto, vi si afferma che, come nell’area dollaro, vi è almeno una comune politica fiscale federale che evita gli shock asimmetrici (ne colpiscono alcune aree preservandone le altre): in altri termini, in un’area monetaria ottimale vi è condivisione del rischio fiscale. Ma, forse, meno di quanto si creda: in fondo, l’appartenenza all’area monetaria “dollaro” in nulla ha impedito il default sovrano di Portorico.

Pertanto, più che un’unione fiscale (elementi critici sulla sua necessità li portano sia Alberto Bisin sia Mathias Hoffmann, Bent Sørensen), ciò più conta per stabilizzare un’area monetaria è la creazione di una buona integrazione dei mercati del credito e della finanza; e questo, com’è ovvio, a partire da una comune regolazione normativa delle aziende di credito.

Il tema è quello dell’unione bancaria. Tuttavia, affinché essa sia fattibile, secondo questi studiosi, è necessario spezzare il legame, che correttamente l’economista Paul De Grauwe individua come un “abbraccio mortale” (Economia dell’Unione monetaria, il Mulino), tra banche di un paese e il relativo rischio sovrano (debito pubblico domestico).

Perché l’esistenza di questo legame banca/rischio sovrano blocca il progresso dell’unione bancaria? Il motivo è che essa presuppone la comune condivisione del rischio bancario; cosa, però, difficilmente accettabile se un’eventuale assicurazione comunitaria sui depositi dovesse rappresentare la condivisione (e ciò che teme soprattutto la Germania) di decisioni politiche in deficit fatte a fini di consenso altrui.

Insomma, senza porre rimedio all’attuale perverso vincolo tra finanza pubblica e bilanci bancari, l’unione monetaria è destinata a restare pericolosamente una costruzione senza il pilastro d’appoggio dell’unione bancaria. In sua assenza il rischio sovrano, e assieme a esso quello bancario, restano segregati su base nazionale: una vera falla, come ben si è visto prima del “farò tutto ciò che serve” del presidente della Bce Draghi.

Per porvi rimedio gli studiosi franco/tedeschi, convinti che le banche vadano sciolte dal vincolo d’essere una sorta di “cuscinetto” para-fiscale ai loro governi, propongono di allentare questo “abbraccio mortale” ricorrendo ad un approccio di filosofia di politica economica – lo stesso che ispira anche le loro proposte in materia di finanza pubblica – attento ai meccanismi di mercato.

Ovviamente la logica che li ispira, proprio perché rivolta ai legislatori europei e nazionali, è altra rispetto a quella dell’intervento emergenziale della Bce di Draghi (teso prioritariamente a stabilizzare il corso del debito sovrano pure a tenuta dei portafogli bancari); caso mai, è una proposta che vorrebbe evitare che analoghe eventualità possano ripetersi.

Come? Superata l’emergenza grazie alla Bce (e prima che possa ritornare), gli economisti franco/tedeschi propongono di allentare questo “abbraccio mortale” ricorrendo ad un tipico meccanismo di mercato.

Come? Incentivando la diversificazione degli attivi bancari – magari tenendo nei loro portafogli meno debito sovrano del loro paese e più di quello di altri membri della comune area monetaria – ponendo dei tetti ai titoli sovrani nazionali ivi presenti; altrimenti, ecco il costo coerente alla logica di mercato, vi sarà la necessità di ricapitalizzare (con tutte le conseguenze, anche in termini di continuità di governance aziendale, che ciò comporta).

Misura logica, ma, nel breve, complessa nell’attuazione: nel senso che richiede coerenza e fiducia reciproca nella conduzione delle politiche fiscali nazionali, cosa tuttora piuttosto labile.

Nondimeno, sarebbe la via maestra per aprire a quella sorta di (parziale) condivisione del rischio necessaria al completamento dell’unione bancaria. Il motivo è che in tal modo politicamente perderebbe consistenza ciò che la blocca: il timore, come detto soprattutto tedesco, che il rischio sovrano, effetto di decisioni di un parlamento nazionale a fini di consenso, possa in ultima istanza essere traslato, via assicurazione europea sui depositi, sui contribuenti di un altro.

A ulteriore garanzia di evitare questa possibilità, con logica teutonica i quattordici economisti franco-germanici sostengono che la garanzia europea dovrebbe scattare solo dopo che tutti gli analoghi strumenti nazionali di tutela fossero esauriti. Inoltre, a scanso di facili illusioni, si sostiene che, trattandosi sostanzialmente di garanzie di tipo assicurativo, gli oneri relativi dovrebbero essere parametrati sulle diverse condizioni di rischiosità nazionali.

Come nota l’analista Seminerio, quello di questi studiosi è un ottimo esercizio di realismo capace di contemperare le collettive esigenze dei vari partner dell’unione monetaria con i timori (comunque se ne pensi sono un dato politico), dinnanzi al suo completamento via piena unione bancaria, di Berlino.

Consiglio direttivo della Bce

Tra le altre proposte, pare meritevole di attenzione il fatto che essi propongano il superamento del tetto annuale al tre per cento del deficit di bilancio, così criticando pure il concetto di “deficit strutturale”, considerato da essi “complesso e difficile da applicare”.

Attenzione, però: nessuno s’illuda, che essi vogliano compiacere i sogni di chi volesse spesa pubblica libera da vincoli. Niente di tutto questo. Difatti, gli economisti franco/tedeschi propongono una regola di finanza pubblica forse più facile da implementare ma altrettanto severa: dovrà esservi coerenza tra crescita della spesa governativa e crescita del prodotto nominale; addirittura, la prima dovrà essere inferiore, qualora un paese necessitasse di ridurre il debito.

Diversamente, ecco il duro messaggio, la spesa superiore a queste linee guida dovrebbe essere finanziata emettendo debito sovrano subordinato: cioè più rischioso, dunque più oneroso, per l’emittente. Con l’obiettivo, qualora questo dovesse essere ristrutturato, che il debito pubblico ordinario del paese in questione eviterebbe (almeno in via di principio) di essere attaccato dai mercati.

Queste, in sintesi, le proposte forse più rilevanti degli economisti franco/tedeschi per l’area euro. Al di là del loro spessore tecnico, va a esse attribuito pure peso politico? Considerata l’influenza pubblica di questi studiosi e che a oggi Francia e Germania sono i motori principali dell’Unione europea, sì. E potrebbe essere pure un bene.

Eurozona, la ripresa c’è. Ma… ultima modifica: 2018-01-26T08:58:02+01:00 da FRANCESCO MOROSINI
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