Città di poeti e di rivoluzioni, di notti bianche e di atmosfere baltiche, San Pietroburgo viene narrata nell’ultimo libro di Jan Brokken (“Bagliori a San Pietroburgo”, Iperborea editore) con la passione di chi riscopre l’anima dai mille volti della metropoli sulla Neva. E ne riparte incantato.
Non solo dunque Sergéj Esénin e Aleksandr Blok o la grande Anna Achmatova, non solo il Nievskj Prospekt, l’Ammiragliato, il Palazzo d’Inverno. Nel secolo scorso San Pietroburgo (che per dieci anni cambiò, in un sussulto di nazionalismo panslavo, il nome da Pietroburgo, nome dalla “desinenza germanica”, al più russo Pietrogrado) fu il cuore di una serie di movimenti culturali che trovarono nella commistione delle anime russa, ebraica e baltica, una cifra espressiva che, a dispetto della repressione staliniana, si affinò trovando una propria individualità più forte ancora della sinistra voce delle autorità politiche e poliziesche. Autorità che, mostrando paradossalmente una certa comica clemenza, ebbero l’ardire alcuni decenni dopo di condannare il poeta Iosif Brodskij (che riuscì infine a chiedere asilo negli Stati Uniti e ad ottenere il Premio Nobel nel 1987) con l’accusa di “parassitismo sociale”. Una condanna in ogni caso meno terrificante di quella subita, tanto tempo prima, da Dostoevskij, vittima di una finta esecuzione ordinata dallo Zar Nicola primo per suoi presunti legami con i nichilisti.
Brokken si sofferma sulle descrizioni dei reticoli di stradine dove abitarono, in diversi momenti, Dostoevskij e gli altri grandi tra i quali Gogol’ e Turgenev che, una volta raggiunta la fama e diventati per un breve periodo benestanti, si trasferirono, in diversi momenti, nella stessa strada in un quartiere dell’alta borghesia, la Malaja Morskaja non lontana dalla Neva e dall’Ammiragliato. Così come Ciajkovskij e Rachmaninov. Con quest’ultimo, San Pietroburgo non fu clemente.
L’esecuzione in prima mondiale della sua Sinfonia n.1 fu sonoramente fischiata dal pubblico pietrogradese e violentemente criticata dalla stampa al punto che il compositore cadde in uno stato di profonda depressione uscendone solo dopo tre anni di psicoterapia col professor Nikolaj Dahl (in realtà un ipnoterapeuta).
Il libro è un inno alla letteratura russa dell’otto-novecento e, in filigrana, una sorta di Baedeker storico, una guida alla comprensione del travaglio del popolo russo, dagli ultimi decenni dello zarismo fino alla fine del regime sovietico.
Guidato per mano per le strade della città, il lettore si ritrova nella piazza Sant’Isacco, vicino alla Bolshaja Morskaja dove sorgono due alberghi storici della città, l’Hotel d’Angleterre (dove a soli trent’anni si uccise il poeta Sergéj Esénin impiccandosi nella propria stanza e anticipando di cinque anni l’altro clamoroso suicidio di Majakovskij ) e l’Hotel Astoria, dove lo stesso Esénin si accompagnava spesso alla sua amica e amante Isadora Duncan, anch’essa morta per soffocamento, ma non autoinflitto (rimase strangolata dalla sua stessa sciarpa mentre correva su un auto sportiva decapottabile).

L’Hotel Astoria oggi
Iosif Brodskij, Bulgakov, Nabokov e Pasternak figurano negli annali d’oro dei visitatori di quest’albergo che, nel 1941, fu trasformato in ospedale-infermeria per gli stranieri illustri rimasti bloccati nella città a causa dell’assedio della Wermacht. Più lontano sorge la chiesa del Salvatore sul Sangue Versato, eretta nel punto dove lo Zar Alessandro II fu ucciso in un attentati dinamitardo. È una chiesa imponente le cui cupole ricordano quelle più leggiadre e antiche della cattedrale di San Basilio, sulla Piazza Rossa di Mosca, e che durante il lunghissimo assedio dei tedeschi (1941-1944) fu adibita a deposito di armi, vettovaglie e anche delle scenografie del Teatro dell’Opera della città.

La chiesa del Salvatore sul Sangue Versato
Sarebbe troppo, forse, affermare che la Russia sia stata salvata, nei tempi, dalla poesia e dalla musica. Ma per limitarci ad un periodo della storia non troppo lontano, scopriamo come, a San Pietroburgo, Aleksandr Blok, Osip Mandel’stam (assassinato nel 1938 su ordine di Stalin) ed Anna Achmatova fossero letteralmente venerati così come lo furono i grandi del balletto a partire dalla leggendaria Galina Ulànova, “prima ballerina assoluta” del Bolshoi di Mosca che spesso calcò le scene del Teatro Kirov (oggi teatro Mariinskij) a San Pietroburgo così come l’indimenticato Rudolf Nureyev.
In Russia, insomma, poesia e balletto trascendono la loro dimensione estetica (ed educativa) per diventare veri e propri elementi fondativi e identitari del paese. Oggi, la statua ad Anna Achmatova (che nella sua gioventù parigina fu amante di Amedeo Modigliani) si erge a pochi metri dalla famigerata Fortezza di Kriestij, una tetra prigione ai tempi di Stalin dove fu rinchiuso il figlio. In quel punto, la poetessa soleva passare giornate o notti intere in attesa di notizie del giovane.
Negli ormai lontani anni Settanta, chi scrive trascorse alcuni giorni all’Astoria di Leningrado (così si chiamava allora) che ancora non era entrato a far parte della catena alberghiera britannica “Forte” e non aveva un ristorante italiano chiamato “Borsalino” e un Bar “Kandinskij”. Manteneva invece il suo aspetto fin de siècle sia nelle stanze che nell’ampio ingresso dove un piccolo documento incorniciato faceva bella mostra di sé su una parete. Si trattava di un telegramma, un telegramma a firma Adolf Hitler, che il Fuehrer aveva inviato ai generali delle sue truppe dando loro appuntamento, una volta caduta la città, all’Hotel Astoria. Ma le cose, come è noto, andarono diversamente.

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