Il negazionismo non ha tempo. E ricorda che senza memoria non c’è futuro. I riflettori della vergogna si sono accesi sulla Polonia dopo che il senato di quel paese ha approvato la controversa legge sull’Olocausto che mira a difendere l’immagine del paese all’estero, ma ha scatenato una crisi diplomatica con Israele.
La legge, che è già stata approvata dalla Camera e adesso ha bisogno della firma del presidente – Andrzej Duda, esponente del partito della destra nazionalista Diritto e Giustizia – fissa una pena massima di tre anni di carcere per chiunque, polacco o straniero, accusi la Polonia di complicità con i crimini nazisti o si riferisca ai campi di sterminio nazisti definendoli polacchi. Il senato ha approvato le misure con 57 voti a favore e 23 contrari e due astenuti.
Israele aveva chiesto di abbandonare il progetto di legge, considerandolo un tentativo di negare il coinvolgimento polacco nello sterminio nazista degli ebrei.
Non abbiamo tolleranza per la distorsione della verità e la riscrittura della storia, né per la negazione dell’Olocausto
Anche il ministro israeliano per costruzione e case, Yoav Gallant, è intervenuto sulla vicenda:
Non lasceremo che la decisione del senato polacco passi senza reazioni. L’antisemitismo polacco ha alimentato l’Olocausto e questa è una negazione de-facto dell’Olocausto.
La forza della memoria e la tentazione dell’oblio. Il demone dell’antisemitismo non è chiuso negli archivi della storia. Dal mio, modesto, archivio ritrovo una intervista concessami da Elie Wiesel. Sono passati alcuni anni d’allora, e alcuni dalla sua scomparsa (2 luglio 2016), ma nelle tristi vicende dell’oggi, il voto polacco, il bambino picchiato in Francia perché portava la kippah, rendono, a mio avviso, le riflessioni di Wiesel straordinariamente attuali. Che la lettura faccia meditare.
Ricordare è un investimento sul futuro e non solo un tributo alla memoria delle vittime di un tragico passato. Non possiamo, non dobbiamo dimenticare ciò che accadde nei lager nazisti. E che al fondo dell’Olocausto vi era il proposito di annientare gli ebrei, colpevoli di esistere: chi continua a negarlo infligge alle vittime dei campi di sterminio una seconda morte. Come non vedere che nel voluto oblio della memoria c’è chi cerca di costruire una nuova pratica dell’intolleranza?
Elie Wiesel, premio Nobel per la Pace nel 1986, trascorse undici mesi nei campi di sterminio di Auschwitz (vi perse la madre, il padre e la sorellina) e Buchenwald. Ricordare non è solo un tributo ai milioni di donne e uomini annientati nei lager.
L’antisemitismo e l’odio razziale – riflette Wiesel – segnano anche quest’inizio di secolo. Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne esaltano le gesta […] Stiamo lasciando alle nuove generazioni un mondo pieno di paura cosa ne faremo, lo trasformeremo in una fortezza?.
Professor Wiesel, a Roma sono riapparse scritte contro gli ebrei , scritte che negano la Shoah. A un ragazzo di oggi che le chiedesse: cosa è stato l’Olocausto, che risposta darebbe?
È stato il male assoluto. Ecco cosa è stato. Ciò che ha caratterizzato quel periodo fu una determinazione assoluta nel pianificare e condurre a compimento l’annientamento di un popolo. Questo è stato l’Olocausto, in questo consiste la sua novità rispetto al passato: per la prima volta nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia della terra un popolo. Gli ebrei non furono perseguitati e sterminati per motivi specifici, perché credevano o non credevano in Dio, perché erano ricchi o poveri, o perché professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei venivano uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali. Perché erano colpevoli di esistere: questo è l’orrore incancellabile della Shoah.
La memoria dell’Olocausto sembra smarrirsi: c’è chi afferma che ciò è un bene, che ricordare serve solo a perpetuare antiche divisioni.
No, no, sono assolutamente contrario. Dimenticare le vittime significa null’altro che infliggere loro una seconda morte! Una vera riconciliazione, inoltre, non può avvenire che a partire dal ricordo, preservando la memoria di ciò che furono quegli anni. È vero: oggi c’è chi esalta l’oblio, chi ritiene giunto il momento di archiviare il passato. A questa operazione sento il dovere morale di ribellarmi, ieri come oggi: perché per nessuna ragione al mondo è possibile cancellare la distinzione tra il carnefice e la sua vittima. Ed ancor oggi l’Olocausto insegna che quando una comunità viene perseguitata tutto il mondo ne risulta colpito.
La diffidenza verso il diverso sembra oggi concentrarsi sui rom…
Di nuovo dovrebbe sorreggerci la memoria: ricordo che nei lager nazisti morirono migliaia e migliaia di rom. Morirono assieme a milioni di ebrei. Non intendo entrare in polemiche politiche, ciò che voglio dire è che l’Europa ha un debito verso la popolazione rom. Questa consapevolezza dovrebbe guidare la definizione di politiche di integrazione, il che naturalmente non significa giustificare comportamenti malavitosi che riguardano la persona, il singolo individuo e non l’etnia di appartenenza.
Mi lasci aggiungere che la multietnicità propria delle società moderne non va vissuta come un pericolo bensì come un valore, un’opportunità comune di crescita, ma perché questa aspirazione si trasformi in realtà compiuta è necessario far vivere una cultura della solidarietà che è qualcosa di più ricco e impegnativo di una cultura della tolleranza.
Sento parlare di classi separate per bambini immigrati, di sbarramenti…, ma una società multietnica pienamente democratica, deve abbattere i ghetti e non realizzarne di nuovi. L’inclusione non è nemica di un comprensibile bisogno di sicurezza.
Per chi ha vissuto l’esperienza dei lager nazisti ha un senso la parola “perdono”?
È la domanda che ha accompagnato la mia esistenza di sopravvissuto. Ma parole come perdono o misericordia non trovano posto nell’inferno di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka…. No, non è possibile perdonare gli aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne esaltano le gesta. In questi sessantatré anni, ho pregato più volte Dio e la preghiera è la stessa che recitavo quando ero rinchiuso nel lager: “Dio di misericordia, non avere misericordia per gli assassini di bambini ebrei, non avere misericordia per coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald, e Dachau, e Treblinka, e Bergen-Belsen. Non perdonare coloro che qui hanno assassinato”.
Ma questo non vuol dire condannare per sempre il popolo tedesco, perché noi ebrei, le vittime, non crediamo nella colpa collettiva. Solo il colpevole è colpevole. I nostri aguzzini volevano cancellare la nostra identità, prima di negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli marchiati a fuoco sulle nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno ucciso sei milioni di ebrei ma non sono riusciti a cancellare la nostra identità.
Dal passato ad un presente inquietante. Lei ha usato parole durissime contro il presidente iraniano Ahmadinejad. Perché?
Perché costui, nel ridicolizzare le verità storicamente accertate, nell’offendere la memoria dei sopravvissuti all’Olocausto ancora vivi, glorifica l’arte della menzogna. Da numero uno dei negazionisti al mondo, da antisemita con una mente disturbata, dichiara che la “soluzione finale” di Hitler non è mai esistita. E non basta. Secondo Ahmadinejad, non c’è stato un Olocausto nel passato, ma vi sarà nel futuro. Elucubrazioni di un fanatico? Sì, ma il fanatico si rivolge a folle che plaudono alle sue idee. Parole vuote? Lui non parla per nulla. Sembra impegnato nel mantenere le sue “promesse”.
Sarebbe un errore mettere in dubbio la sua determinazione. Una persona non predica odio per niente. Appartengo a una generazione che ha imparato a prendere sul serio le parole del nemico. Anche perché queste parole sono accompagnate da fatti: chi c’è dietro l’organizzazione terrorista degli Hezbollah? L’Iran. L’Iran li fornisce di tutte le armi più sofisticate e degli ufficiali che addestrano le loro milizie. Gli Hezbollah non vogliono la nascita di uno stato palestinese a fianco dello stato d’Israele.
Il loro unico obiettivo – e del presidente iraniano – è la distruzione di Israele. Ecco perché io sostengo che Ahmadinejad non può avere un posto nel panorama dei leader politici internazionali. Dovrebbe diventare “persona non grata”, per quello che sta facendo al suo paese, al suo popolo, a tutta l’umanità.
Israele. Cosa rappresenta per Lei?
L’alba dei nostri sogni. L’affermazione del diritto del popolo ebraico ad un suo focolaio nazionale. Un diritto difeso a caro prezzo in questi sessant’anni.
Israele potrà un giorno vivere in pace con i palestinesi?
È la speranza che so di condividere con la grandissima maggioranza degli israeliani consapevoli che non esiste altra soluzione che quella di due stati che vivano fianco a fianco, optando per la pace. Ma perché ciò possa accadere è necessario che i palestinesi comprendano che non è con l’odio e la violenza praticati da gruppi estremisti come Hamas che vedranno realizzate un giorno le loro aspirazioni.

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